Affermare il sacerdozio per le donne nella Chiesa cattolica romana, ma soprattuttto ammorbidirne i tratti e viverlo in una dimensione non gerarchica. È questa la nota che mi è arrivata nitida durante il convegno a Jubilee for Women Priests (un Giubileo per le Donne Prete) nella Sala Tosi della Casa internazionale delle donne (Via della Lungara 19, Roma, mercoledì, 1 giugno 2016, ore 15:00-19:30, con Dana English, Tony Flannery, Jamie Manson, Marinella Perroni, Giulia Bianchi e con il coordinamento di Kate McElwee). Ad aprire la porta al dialogo la Women’s Ordination Worldwide (Wow), organizzazione promotrice dell’iniziativa.
Si tratta dell’Organizzazione ecumenica di gruppi nazionali e internazionali, fondata in Austria, nel 1996, al Primo Sinodo europeo delle donne, con l’obiettivo dell’ordinazione per le donne nella Chiesa cattolica romana.
Sono vent’anni, dal 1996, che molte donne affrontano percorsi di disobbedienza, all’interno della Chiesa cattolica romana: più di 150 sono le donne ordinate prete e vescovo, che fanno parte della Wow, nonostante non siano riconosciute dai vertici cattolici romani. Infatti, per la Santa Sede le ordinazioni permangono cementificate in forme maschiliste e misogine. Dunque, le donne continuano a restare al di fuori del sacerdozio, come dimostra il Giubileo dei sacerdoti tenutosi proprio nei primi tre giorni di giugno 2016 e, come Papa Francesco afferma, senza mezzi termini, nell’Esortazione apostolica Envangelii Gaudium (2013).
L’esclusione delle donne dal sacerdozio rimane scolpita nella Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II Ordinatio sacerdotalis (Pentecoste 1994), come ha evidenziato Marinella Perroni, docente all’Ateneo pontificio S. Anselmo e tra le fondatrici del Coordinamento delle teologhe italiane. A ritroso, la teologa ha ricordato il Concilio Vaticano II (1962-1965) come esperienza conciliare che aveva messo in luce la necessità di ripensare la teologia dei ministeri; teologia cattolica dei ministeri religiosi che precedentemente si era andata fissando nel Concilio di Trento (1545-1573). Questa breve digressione ha portato la teologa Perroni a esprimere la sua convinzione che proprio il Concilio Vaticano II, aperto da Giovanni XXIII e concluso da Paolo VI, avrebbe dovuto de-clericalizzare il ministero ordinato e liberarlo dal peso del sacrificio. E così Perroni ha concluso la sua riflessione: Non posso però neppure chiedere alle credenti di oggi di continuare ad accettare un discepolato a due velocità, ministeriale e autorevole per gli uomini, di supplenza e non riconosciuto per le donne. Posso allora chiedere alla mia chiesa di mettersi all’ascolto di quanto lo Spirito dice in questo tempo alle Chiese. Un’apertura, quella appena riportata, che esprime il suo personale punto di vista, come la stessa teologa ha sottolineato, durante il pomeriggio dedicato a un Giubileo per le Donne Prete.
Tra le altre relatrici del convegno: Dana English, ordinata nella Chiesa presbiteriana di Georgetown a Washington, nel 1984, attualmente nell’All Saints Anglican Church di Roma, dove vive con suo marito e i suoi due figli, protesa alla realizzazione di un progetto di Giardino ecumenico a S. Gregorio al Celio, ha evidenziato l’importanza di educare alla responsabilità e all’autorevolezza le figlie. Giustizia e responsabilità sono emerse anche nell’intervento di Tony Flannery, scrittore e frate redentorista irlandese, sospeso dal 2012, attivo nel raggiungimento del sacerdozio per le donne. Attenta ai gruppi cattolici lgbt e impegnata in azioni per la povertà e per gli homeless a New York, la reporter e autrice Jamie Manson che ha sostenuto la centralità del lavoro sul corpo.
Nella Casa internazionale delle donne, durante il convegno a Jubilee for Women Priests, Giulia Bianchi ha presentato la sua ricerca fotografica che comprende anni di studio intrecciati a incontri con più di 70 donne prete, in Nord America e in Colombia. Alla mia domanda se ci sia una fotografia preferita nell’ambito del progetto sulle donne prete, Giulia ha risposto così: Molte direi. Quella di Alta Jacko molto. È il poster con la donna afroamericana con la mano sul volto. Soltanto dopo un periodo di condivisione, la fotografa ligure, che da anni attraversa il nastro di ricerca femminismo e spiritualità, inizia a creare ritratti. Sono le esperienze a far partire gli scatti fotografici. Una carrellata in bianco e nero e a colori che Giulia Bianchi ha voluto far circolare per le strade di Roma, tra Trastevere, Borgo e Prati (28 maggio-6 giugno 2016). E persino la Casa internazionale delle donne, con il chiostro e un incantevole albero di magnolie, con gli spazi simbolici di libertà, con le realtà collettive di studio, lavoro, discussione e condivisione tra donne, con la trasmissione del senso della non subordinazione alle generazioni future, germogliata dal 1983, è stata “superata” dalle strade di Roma per l’esposizione delle foto del Women priests project. La scelta di far girare le foto in città è sembrata all’artista quella più adatta e i manifesti l’opzione più giusta per sintonizzarsi con le donne prete incontrate, con la loro disobbedienza e con la loro convinzione della necessità di diventare donne prete della strada.
©Francesca Melania Monizzi
Pubblicato su 10 giugno 2016 da WEBANTARES