Rapporto Censis: chi sta salvando l’Italia sono le donne

da | Dic 12, 2013 | Donne e lavoro

di Dario Di Vico

 

Anche il Censis sceglie di scommettere sulle donne. Superando un certo scetticismo degli anni passati il 47simo rapporto sulla situazione sociale del Paese stavolta parla esplicitamente di loro “come nuovo ceto borghese produttivo”. Dopo cinque anni di pesante crisi non solo il protagonismo femminile non è stato asfaltato ma addirittura si propone in chiave di rifondazione dal basso della classe dirigente. Già da qualche anno i sociologi avevano cominciato a individuare una sorta di effetto elastico: le risorse rosa erano rimaste troppo a lungo compresse nella società italiana per una serie infinita di vincoli, una volta preso però l’abbrivio avrebbero riguadagnato posizioni in maniera molto veloce. Ed è quanto è avvenuto in questi anni “controvento” – ovvero in un contesto recessivo che in linea di principio non aiuta certo ad aprire le società – grazie a un sovrappiù di motivazioni.

I numeri lo attestano: il saldo delle imprese femminili nell’ultimo anno è stato di 5 mila in più, sono aumentate anche le cooperative con titolare donna e soprattutto le società di capitali a conduzione femminile (9 mila in più). Ma al di là dei freddi dati la novità sta proprio nel giudizio straordinariamente caldo del Censis, che riconosce alle donne capacità di resistenza ma anche di innovazione, di adattamento difensivo e persino di rilancio e cambiamento.

La società italiana nella fotografia scattata da Giuseppe De Rita è “sciapa e malcontenta” e proprio per questo è meritoria una ricognizione che punta a identificare i soggetti che si muovono in controtendenza. Le metafore a cui ricorre – come d’abitudine – il Censis per indicare l’alto valore aggiunto di questi sforzi quest’anno sono due, “energie affioranti” e “sale alchemico”, e servono a indicare fenomeni capaci di andare oltre la mera sopravvivenza alla crisi. E qui accanto alla “borghesia rosa” il Rapporto scommette sulla faticata soggettività degli stranieri che vivono in Italia, sia in termini imprenditoriali sia di partecipazione sociale. E ancora De Rita sottolinea “l’importanza crescente” delle centinaia di migliaia di italiani che studiano e/o lavorano all’estero e che un giorno possono essere richiamati a fare un’Italia orizzontalmente operante nella grande platea della globalizzazione. Infine il Censis rinnova la sua fiducia sulle forze di territorio, almeno quelle che si stanno affrancando dal localismo e stanno mostrando una carica di immedesimazione tra la vita della comunità e le imprese. Cosa che una volta valeva solo per l’Olivetti e oggi invece si registra in buona parte del Nord.

Sul piano lessicale, terreno di impegno tutt’altro che secondario del deritismo militante, la proposta del Rapporto è di sostituire la vecchia espressione di “coesione sociale” con “connettività”. Non stiamo parlando della banale connessione tecnico-digitale – avvertono gli estensori – ma addirittura del filo rosso del nuovo sviluppo. E chi meglio delle donne ha dimostrato la capacità di fare rete, di costruire “nuova civiltà collettiva” partendo dalle esperienze orizzontali e non dalle agende fitte di priorità individuate a tavolino? Il Censis continua a credere nella spontaneità dei processi sociali e nella loro lenta maturazione, spera che si connettano generando ulteriore valore aggiunto, pensa che in fondo sia questo il vero argine al populismo e se i tempi della politica non sono quelli della società, beh .. pazienza.

Scrive De Rita: Non si costruisce nessuna classe dirigente con annunci di catastrofe emessi a ritmo continuo, con continue chiamate all’affanno, con continue affannose proposte di rigore, con un continuo atteggiamento pedagogico cui è sotto inteso un moralistico pregiudizio nei confronti delle qualità civili della gente. Forse mai come quest’anno il Rapporto aveva dedicato così poco spazio al quadro politico: sette paginette, tabelle incluse, in un librone che ne conta 540. Il titolo del capitolo contiene già un giudizio piuttosto netto (“avvitamento della politica”) e il testo si appunta criticamente sul ritorno del decisionismo testimoniato dai 664 provvedimenti emanati dai governi Monti e Letta, di cui però sono stati realmente adottati solo 225, pari al 33,9%.

È risaputo che il governo dei tecnici prima e quello delle larghe intese dopo non abbiano entusiasmato De Rita che in quest’occasione ha voluto soprattutto sottolinearne il paradosso tra una produzione legislativa poderosa e la cronica incapacità di implementazione delle novità. Quanto alle virtù salvifiche dei riti delle primarie o delle nuove leadership il Rapporto non ne parla: preferisce riporre le speranze, come da tradizione, sulle trasformazioni collettive di lungo periodo. Anche per questo inneggia alle donne.

 La 27ma Ora