Rosanna Marcodoppido, pittrice e grafica

da | Apr 20, 2013 | Interviste/Video

Intervista di Marina Pivetta a Rosanna Marcodoppido per l’uscita del catalogo che raccoglie le sue opere di pittura e grafica dal 1963 al 2013.

Marina – Partiamo dalla copertina del catalogo dove è riprodotta un’ opera di dieci anni fa: festa di lettere e colori. Nella festa, la gioia del pensiero e dell’azione creativa. La moltitudine di colori, che si compongono e scompongono nello spazio, danno vita a campiture definite e a intersecazioni volute. Tra queste, i segni, i simboli della parola. Il verbo gioca in spazi apparentemente non suoi. La tua parola incide il colore, si fa poesia, ma anche pensiero politico, azione civica

Rosanna – Sì, in me tutto si fonde ma non è così nella molteplicità delle mie relazioni. Resta forte il bisogno di essere autentica. Di capire chi sono in un divenire continuo. Quali le mie emozioni? Le intuizioni? Il senso della vita? Come mettermi in relazione con l’altro, con l’altra, insomma, come far sì che questo mio sentire e capire possa essere comunicato? Cerco di dare risposta a questi interrogativi con l’ arte, la poesia e l’iniziativa politica.

M – Se capisco bene è come l’acqua che sgorga da una sorgente unica ma che prende poi percorsi diversi. E’ possibile che questi si ricongiungano poi in un fluire unico?

R – Non te lo saprei dire. Fino ad ora, ho tenuto separata la sfera della mia creatività artistica dal mio impegno civile, anche se questi due mondi hanno trovato e trovano dentro di me un’ interazione continua. Si alimentano reciprocamente. Mi piacerebbe farli incontrare anche fuori, in ambiti che non li prevedono , ma fino ad ora si sono intrecciati e fusi solo in me. Forse perché non tutti/e hanno le stesse curiosità, gli stessi bisogni esistenziali, estetici…Probabilmente solo in momenti particolari questa pluralità di linguaggi si manifesta in modo corale dando al momento politico una complessità non sempre immaginata o praticabile.

M – Quanto dici, mi fa venire in mente una iniziativa, di parecchi anni fa, promossa dal gruppo Scienza della vita quotidiana che metteva assieme riflessione seminariale, il cibo come arte e l’arte figurativa, dando la possibilità di degustare cibi particolari e ammirare i lavori di Emma Baeri esposti sulle pareti della Casa Internazionale. Insomma, una creatività che abbracciava e riproponeva diverse espressioni del sapere.

R – Sì la creatività è un bisogno umano che nasce dalla necessità di immaginare e costruire il nuovo. Però è un termine troppo generico. Vanno dunque, fatti dei distinguo. La creatività artistica ha un qualcosa in più rispetto a quella che le donne hanno sempre messo in pratica restando nel ruolo loro assegnato: un creare che partiva da abilità manuali, anche altissime, ma che si esprimevano solo in una quotidiana ripetitività. La creatività artistica è invece quella che costruisce e trasmette un senso dinamico del vivere, nuova coscienza, superamento del presente. E’ un continuo lavoro non solo sulle tecniche espressive ma anche su se stesse/i. Ci si deve mettere in gioco senza limiti: trasformare in colore, segni e parole, significati e passioni, il dolore, ma anche il nostro bisogno di grazia, di leggerezza. Dobbiamo dare corpo a luci ed ombre. Dobbiamo saper creare dalle emozioni per restituire emozioni e un nuovo sguardo sulle cose. Questa è la dimensione creativa dell’arte.

M – Non vorrei essere ripetitiva, ma tornerei all’arte della politica. Non pensi che se si applicasse questo modo di concepire la creatività anche alla politica ci sarebbe una maggior attenzione, una maggior partecipazione nella gestione della cosa pubblica? L’impegno civico non sarebbe più un pesante obbligo, una routine ma un piacere creativo capace di portare emozione e cambiamento. E, questo, non avvicinerebbe di più uomini e donne alla politica?

R – Credo proprio di sì. Se vado a rileggere alcuni miei testi politici mi accorgo che cerco di trasmettere anche emozioni. La mia scrittura politica difficilmente è espressione soltanto di un ragionamento razionale, è quasi sempre presente una comunicazione emotiva che meglio consente di capire e far capire attraverso altri legami percettivi. Al centro c’è sempre il valore che per me ha la relazione. Non ci sono perciò fratture tra me donna che fa politica e me donna artista. Inoltre la politica è, o dovrebbe essere, il luogo della ricomposizione dei saperi e, come tu sai bene, l’arte è sapere profondo, interiore, necessario.

M – Per meglio capire quanto si va dicendo mi soffermerei su due opere riprodotte nel catalogo: Riparazione del 1995 (lavoro che è stato anche ripreso nel manifesto dell’esposizione dei tuoi lavori al castello Manservisi di Porretta Terme) e Ricucire del 2002. Lavori che utilizzano due paradigmi pittorici: quello astratto, dove lo spazio è percorso da campiture di colore e quello simbolico/figurativo dato dal segno di un ipotetico filo atto a rammendare una lacerazione. Posso dire che in quella cucitura ci sei tu, anche nella tua complessità politica?

R – Si, io sono una che crede che l’incontro con l’alterità, ogni tipo di alterità, sia una possibilità di grande arricchimento. Quando in questo incontro si radicalizzano le differenze io sono quella che non sa stare nella contrapposizione che ne deriva, non ci voglio stare perché è mortifera e toglie verità. Cerco di capire le ragioni dell’una e dell’altra parte e questo in politica è penalizzante essendo prevalente la cultura del conflitto come campo di battaglia, dove ci deve per forza essere chi vince e chi perde.

M – Questo modo di fare politica mi sembra risenta di una tradizione ottocentesca, quella propria delle fazioni contrapposte. Il negativo di questo atteggiamento consiste nel fatto che a perdere siano non solo le parti in conflitto ma anche le persone. Non crescono, rimangono abbarbicate a idee e comportamenti che non sono stati capiti e quindi probabilmente posti male. Se invece dello scontro tra posizioni rigide ci fosse un confronto, un ascolto, una voglia di capire e conoscere, come tu hai detto, ci sarebbe un arricchimento reciproco.

R – Quello che tu hai puntualizzato non vale solo per la politica, ma per qualsiasi tipo di rapporto umano. Quando le differenti posizioni entrano in conflitto si tende a costruire la logica amico/nemico. Io, ripeto, sto a disagio profondo nella contrapposizione, Allora, che cosa vuol dire la ricucitura? La ricucitura è la riparazione del danno che provoca questo mettersi in una logica bellica. Non è un problema di buonismo, ma di intelligenza . E’ la mia intelligenza che si ribella e mi porta a riconoscere le ragioni ovunque esse siano, mi porta a capire il danno insito nella pratica del disconoscimento e della demonizzazione. L’irrigidirsi su una posizione, la propria, è una condizione deprivante di una possibile nuova conoscenza.

M – Il porsi all’interno di una parte che si contrappone all’altra dà una forte identità fusionale, emotiva. Praticamente il noi e la sua intelligenza collettiva- se malata- può assorbire, fino a cancellarla, l’intelligenza individuale. E qui mi sembra si nasconda un altro grosso problema. Come garantire un sano equilibrio tra l’io e il noi, tra l’individuo e il gruppo. Vorrei fare un accostamento, anche se azzardato. L’insieme dei soggetti, nelle loro caledoscopiche diversità, se in comunicazione tra loro, formano quell’identità collettiva indispensabile alla specie umana. Dunque, una comunità è tanto più ricca quanto è più consapevole delle proprie differenze, del perché dei propri conflitti. Si arricchisce solo se li sa superare. Questa modalità di lettura può valere anche per la singola persona?

R – Qui bisogna capire che cosa si intende quando si dice persona. Io ho preso maggiore consapevolezza di me come soggetto quando ho capito di essere fatta sì di alcune certezze, ma anche di frammenti, contraddizioni, ambivalenze…, questo lo si può capire nei miei ultimi lavori che titolo autoritratti. Sono frantumazioni del sé, uno sguardo onesto su me stessa, sulla mia interiorità. Se io mi riconosco soggetto attraversato da ambiguità e contraddizioni come faccio a non riconoscerle e accettarle come dati ineliminabili anche in altri soggetti? Questo porta a vedere che la verità delle cose è, a volte, una verità scomposta che ci costringe a cercarla là dove risiede. Così io sto nel groviglio delle situazioni, mi ritrovo là dove si scontrano gli opposti, lì cerco verità e parola, materia difficile da decifrare e ordinare, e questo mi porta ad avere problemi grossi nella pratica politica e nelle relazioni. Questa mia scomoda posizione, che comporta a volte amarezze e perdite dolorose, peggiora ulteriormente quando i conflitti non sono esplicitati, ma agiscono con modalità egualmente distruttive.

M – Parliamo di identità e di forza

R – Non c’è bisogno di costruire la propria forza su di una appartenenza. La forza ti viene dal grado di verità che puoi dare a questa appartenenza. I diversi soggetti che insistono su una medesima identità collettiva, penso all’Udi, ma in generale anche al femminismo, possono esprimere verità differenti. Questo fa nascere dei conflitti. Il problema dunque è come costruire le modalità di confronto tra noi. Se c’è verità nella comunicazione è molto più facile anche la gestione del conflitto che è sapienza politica e dà forza reale all’identità

M – Ma che cosa è la verità?

R – Secondo me la verità è una questione di approssimazione, non è data una volta per tutte e proviene dalla esperienza che fai: ogni esperienza porta con sé determinate parziali verità. Per questo nella vita secondo me la cosa più entusiasmante sono le relazioni, anche se rappresentano la maggiore fatica dell’esistere; le relazioni come luoghi di emozione e di conoscenza reciproca, è da lì che si struttura una idea più complessa di verità , di libertà e di una possibile felicità.

M – Un’altra opera l’hai titolata Io tu noi. Su di una rete tesa da un telaio e da questo definita, limitata, hai incastrato delle sagome di donne e di uomini. Alcune le hai segnate con la parola io, altre con la parola tu. La poesia di questo lavoro si coglie immediatamente. Ma cosa d’altro può essere letto?

R – Se si sta in uno spazio politico, come sto io nell’Udi, l’obbiettivo è di costruire un noi che non tolga forza e valore ai tanti io che siamo. In questa opera non è un caso che non ci sia scritta la parola noi, c’è però un filo rosso che lega tutto. Nel farla ho pensato in generale alla politica. E’ importante costruire un noi che non sottragga senso ai tanti io. I tanti io che non possono non mettersi in relazione. E’ qui che emerge con forza il tu, da qui può nascere il noi, presupposto necessario di ogni pratica politica.

M – Verità e forza sono un binomio che necessitano anche, e soprattutto, della parola libertà Verso la libertà è il titolo di un altro tuo lavoro: su di un telaio una fenditura segna il corpo lacerato ma anche riparato di una farfalla. Quale il senso?

R – Questo lavoro è nato perché ho voluto rappresentare in tutto il suo orrore la mutilazione genitale, ma alla fine non mi sono fermata all’orrore, ho voluto dare un’uscita positiva, così da quella lacerazione è nata una farfalla. Credo che ci sia sempre una possibilità di uscita dal male, di conquista di pezzi di libertà. Ho un bisogno profondo di conoscere, di cercare, di mettere mano al caos, al dolore, al disordine. E’ proprio attraverso la conoscenza del groviglio che si trova la verità. Sono i grumi di filo che spesso trovi nei miei lavori, attraverso i quali posso dare senso -dipanandoli- alla complicata geografia della mia esistenza, della nostra esistenza.

M – Voglio chiudere questa intervista riportando quanto tu scrivi per introdurre le pagine che riproducono le stampe e il libro d’artista, alcuni tuoi ultimi lavori. Devo ricordare qui anche i tuoi disegni che, se non compaiono in questo catalogo, possono essere ammirati nei due libri editi dal Centro Internazionale della Grafica di Venezia: Senza titolo che raccoglie poesie e disegni e Nel segno, un percorso di ricerca in cui a partire dal disegno costruisci intrecci e assonanze tra segno grafico e parola poetica.
Ma, leggiamo quanto riportato sul catalogo: "Imparare un mestiere usando materiali dimenticati o sconosciuti e recuperare il piacere di lavorare insieme, la pazienza dell’attesa, la sorpresa del risultato. Zinco, rame, legno, plexiglas, acido, colofonia, tarlatana, inchiostri, gommalacca, cartone, veline, vernice, bulino, colla per tentare una restituzione di sé, di desideri e sconfitte o della rara e gioiosa leggerezza di essere nel mondo."
Da qui si può capire quanto sia stato importante, per te, imparare anche le tecniche dell’incisione. Da qui si può anche capire quanto sia importante sia per chi fa arte , sia per chi fa politica non smettere mai di cercare, di imparare, di porsi di fronte al nuovo con la necessaria curiosità.

il paese delle donne