di Marta Ajò
Era il 1951 e Sanremo apriva il Festival della Canzone Italiana sommerso da una valanga di fiori.
Ovunque; su scale, platea, palchi, camerini, ingressi e viali.
Essi si mostravano rigogliosi e profumati, rigorosamente sanremesi e italianissimi, a simboleggiare l’eleganza e la bellezza italiana, il clima mite della costa ligure e l’ospitalità del Paese.
Anni, i ’50, nei quali la protagonista era la musica italiana, lingua, passione, melodramma, amore, allegria, speranza, retorica ma anche conferma di un Italia che stava faticosamente e caparbiamente riprendendosi dopo anni di guerra. I nuovi ricchi andavano a Sanremo, gli altri ascoltavano la radio.
Poi, dalle canzoni colme di retorica “familiare-patriottica” si passò ad “osare” una canzone diversa e meno stucchevole e da “Papaveri e papere” per la canzone italiana si aprì una nuova fase. Fu il tempo di “Nel blu dipinto di blu” che travalicò ogni confine.
La televisione, infine, ne fece un momento di unione nazionale sdoganando la frase “Perché Sanremo è Sanremo”.
Nei decenni successivi il Festival divenne una vetrina dell’Italia e dei suoi disagi dove i temi sociali e la contestazione fecero capolino in modo più o meno evidente. Amore e rivoluzione, ugualmente rappresentati, s’incrociavano fra vecchio e nuovo. Cantanti giovani e meno giovani si contendevano il palco e la vittoria.
Pur conservando alcuni stereotipi (tutt’oggi presenti), questa Manifestazione ha testimoniato ed espresso oltre la musica, il cambiamento sociale e culturale del Paese.
Ed anche il Festival di Sanremo è cambiato come il Paese e il Mondo.
Niente è più lasciato alla vena musicale, alle note o alle voci. La musica italiana si è allineata alle tendenze, alle mode, alla cultura dell’immagine e del denaro, ai social e al virtuale. I fiori sono spariti.
Sanremo sembra avere perso la sua identità originaria per saldarsi con “nuovo” imposto dalle grandi compagnie discografiche che promuovono-impongono i propri “artisti” ad un pubblico per lo più orientato alle fasce giovanili più influenzabili e plasmabili.
La melodia sembra quasi appartenere alla preistoria della nostra tradizione musicale alla quale i giovani non riescono ad accedere senza entrare in competizione con la musica preferendo l’introduzione di un linguaggio comune che li caratterizzi.
Dunque e per fortuna, il Festival di Sanremo non è rappresentativo di tutto il panorama musicale italiano ma piuttosto un business finalizzato dove, come già avvenuto, una vetrina di autori ed interpreti spesso nascono e spariscono in stagioni brevi e senza futuro.
Questa è la verità sulle, purtroppo, non novità del Festival del 2019.
Le polemiche sul linguaggio, sull’abbigliamento, sul trucco o parrucco, sulle rappresentanze di genere lasciano il tempo che trovano.
Nessuna novità e tutto si ricollocherà nella “norma”tra pochi giorni.