di Letizia Paolozzi
Assai spregiudicate, queste femministe impegnate sulla Costituzione. Convinte che bisogna cambiarla. Senza timori reverenziali. Da far tremare le vene ai polsi dei “sacerdoti” della suprema Carta, strenui difensori dei suoi “sacri principi”, nonostante dal lontano 1948, mostri tutti i suoi anni. E le sue rughe. Nata come risposta alle tragedie della Seconda guerra mondiale; come affermazione della dignità umana; come rifiuto della guerra, ha subito “ritocchi” (nella seconda parte), attacchi e tentativi di stravolgimento. Nonostante sia il collante che ci tiene insieme, la tessitura della nostra vita in comune, debole è stato il radicamento della Costituzione. Con il risultato che assistiamo a un legame sociale indebolito, a un patto in dissoluzione. Tanto che Carlo Azeglio Ciampi, da Presidente della Repubblica, fu indotto a condurre una vera e propria battaglia culturale affinché la Carta risultasse motivo di ideale appartenenza. Non è sicuro che ci sia riuscito. Troppo forte, brutale, aggressivo lo scontro politico. Certo, lo spirito costituente continua a riemergere. Ma questo spirito ha bisogno di essere maneggiato con cura.
Alcune donne ci stanno provando. Si sono dette: se è finito il controllo (e il dominio) maschile sul corpo e la mente femminile, bisognerà interrogarsi sul senso dello stare insieme delle donne e degli uomini. E se vogliamo cambiare questo Paese, bisognerà pure interrogarsi su quale sia il posto delle donne e quali gli stereotipi, i luoghi comuni, le immagini offerte dai media.
Quando l’Art.3 recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, ci chiediamo: regge ancora quel “senza distinzione di sesso”?
Nel 1994, portando avanti con altre il lavoro del Centro culturale Virginia Woolf B, Franca Chiaromonte escludeva che fosse possibile condividere quell’auspicio “oggi che la realtà ci appare: più ricca, più sfaccettata di quella dove l’esperienza di donna taceva o veniva messa a tacere, più ricca per tutti”. E insisteva: “ Esiste un luogo sulla terra dove sia possibile ignorare la differenza dell’essere nata donna o nato uomo?”
Insomma, il sipario sulla Costituzione si è alzato. Per merito di alcune donne.
Ricordo un testo di Mariagrazia Campari e Lia Cigarini sull’”iscrizione simbolica della differenza femminile” (Fonte e principi di un nuovo diritto nel “Sottosopra” del 1989) e ancora nella Politica del desiderio (Lia Cigarini, Pratiche editrice, 1995). In tempi più recenti, la discussione ispirata dal clima “costituente” del primo incontro di Paestum (Luisa Cavaliere e Lia Cigarini C’è una bella differenza editore etal, 2013). Fino all’attuale lettura di cinque articoli della Costituzione attraverso gli occhi delle donne, organizzata dal gruppo Se non ora quando – Factory, che ha invitato a commentarli (a Roma, Palazzo delle Esposizioni) Luisa Muraro, Giulia Bongiorno, Michela Marzano, Lea Melandri e Marilisa D’Amico. Si comincia il 31 con Muraro.
Dunque, certe idee sono come il fuoco che cova sotto la cenere. Sarebbe giusto ricordarle, senza ripartire sempre da zero. Se le idee delle donne vengono cancellate, si produce un attentato contro il simbolico al quale lavoriamo. E scompaiono le basi di quella costituente che potrebbe rivelarsi una bussola per il nostro tempo disorientato.