Storia di Alessia, studentessa dal profilo istituzionale non-standard

da | Mar 4, 2023 | Dietro la lente

 

            Perché parlarvi di Alessia? Questa ragazza, di anni 18, studentessa non-standard, è una mia paziente da un paio d’anni, tuttavia un non-modello di ciò che dovrebbe chiamarsi prodotto dell’istruzione e cultura italiana. Ma perché focalizzarsi su una giovane, invece che sulla scuola in generale?
Alessia è un nome inventato, per raccontare di come vive l’utenza generica di un istituto superiore, per esempio, e invento ancora, a Monza, non lontana dalla grande Milano.

            La scuola superiore, che conosco personalmente, ha i tratti di un’istituzione “anomica”. Mi sto riferendo ad un contesto, come lo definirebbe Emile Durkheim, di comunità che non permette ai soggetti di provare un senso aggregante di appartenenza, che permetta di avere un senso come individui all’interno di una società, che li riconosca. Questa scuola li fa sentire soli, soggetti isolati, anche riuniti in classe.
L’istituto a cui è stata iscritta Alessia per ben 5 anni, è conosciuta in zona come un “diplomificio”. Questo significa, in termini di apprendimento, di risultati scolastici, ovvero di impegno e motivazione, e di frequenza scolastica (quanti abbandoni scolastici, ovvero drop-out nel corso degli anni) fallimentari, che si possono valutare come quasi un nulla da un punto di vista delle conoscenze e competenze acquisite. Posso affermare questa sconfitta per l’istruzione, senza esprimere antipatici moralismi e ipocrisie o atti simbolici di sottomissione ad un regime, che non c’è di fatto, perché in Italia si ha un ordinamento democratico, perciò parlo liberamente .

            Un giorno di primavera, Alessia era accompagnata da una docente di sostegno e una di italiano quando si era recata presso il parco nelle vicinanze della scuola. Si sa che quel parco è frequentato da corrieri della droga. Lei e qualche suo compagno, con cui giocavano a bocce (chissà se le famiglie erano al corrente di ciò che stavano facendo!) vengono avvicinati da un uomo che propone loro delle sostanze stupefacenti. A quel punto vedono arrivare una presenza dei Carabinieri di Monza che blocca lo scambio. La studentessa è in lacrime, i suoi compagni agitati e molto a disagio, quasi increduli. Le insegnanti hanno fatto fatica a spiegare ciò che stava succedendo, probabilmente per un loro stesso disagio nell’affrontare l’accaduto.

            I Carabinieri riferiranno, subito dopo, che il contesto di svago non era adeguato e gli studenti potevano essere comunque esposti al consumo di droga. Come del resto nel cortile della scuola. Come quando gli studenti nei viaggi di istruzione vengono accompagnati in luoghi in cui comportamenti di eccesso possono avere luogo con troppa facilità.
Come non asserire che le istituzioni, rappresentati in questo evento da una Forza dell’Ordine, i Carabinieri, non abbiano aiutato a prevenire o riparare il fallimento di altre istituzioni, come quello di questa scuola! Lo Stato non sta a guardare, questa è la mia esperienza, tuttavia nella fatica, sia come uomini che nell’essere soldati, nella battaglia per far riconoscere e affermare la giustizia con una qualità civile adeguata, per tutti noi.

            Tuttavia il nocciolo “duro e cattivo” della vita scolastica per Alessia, era il fenomeno che subiva di bullismo antisemita. Era inserita in una classe in cui veniva insultata e bullizzata per le sue radici ebraiche. Alessia, ho saputo, che fuggiva nel mezzo delle lezioni, piangendo, umiliata, di solito offesa da Edvige, dai capelli rossi, alta e sfrontata, rispetto a lei che invece è castana, ma timida ed educata, piccola di statura e minuta. A volte, mi hanno riportato professoresse e gli stessi studenti, c’erano cori inneggianti il fascismo cantando: “faccetta nera bell’abissina”, oppure salutando con la mano tesa e alta, il tipico saluto fascista. Gli insegnanti non riuscivano a fermare la violenza di questi atti, erano silenti, indifferenti, “sull’Aventino”, mi viene da accusare, facevano commenti come: “Alessia non è forte!”. Di quale forza si parla? La forza brutale sembra del bullismo che gli stessi insegnanti usavano nel gestire verbalmente i comportamenti inadeguati della loro classe, e non solo nella classe di Alessia! Questi insegnanti sembravano alienati nel lavoro, assolutamente non padroni del loro vita mentale e sociale, privi di un vero e forte equilibrio psicofisico e niente affatto consapevoli di come la devianza può inserirsi, e prima ancora, insinuarsi in tutti i contesti di vita.

            Quali educatori o mentori dei nostri figli sarebbero, questi insegnanti che dovrebbero condurre gli studenti, insomma anche chi educano, ad una vita di benessere e di armonia generale, se seguono passivamente i danni dell’inciviltà, risultato anche della cattiva gestione della scuola, priva di principi morali, valori ed etica. Queste sono dimensioni importanti, ovvero i principi fondamentali per ogni formazione e cultura (alcuni di loro ironizzavano sull’importanza autentica dell’istruzione! Come gli scettici, figli dell’ignoranza). Per uno studio dell’ambiente del personale docente e scolastico, leggere di Paolo Mottana: “Piccolo manuale di controeducazione” edito da Mimesis e la “Gaia educazione”, edito come l’altro testo da Mimesis.

            Come psicoterapeuta, nelle nostre sedute, ho ascoltato Alessia nelle sue difficoltà psicologiche causate da questi contesti di vita, comprendendo non già che era una “diversa” o ipersensibile verso la violenza, ma che ve ne era troppa nella sua vita, eccessiva, perfino in un contesto educativo come quello di questa scuola superiore.
Da qualche tempo il nostro lavoro di psicoterapia è giunto al termine. Oggi Alessia lavora soddisfatta, come cameriera in una caffetteria presso il centro della città, con un contratto regolare e un orario rispettoso della sua vita personale.

            Non c’è più chi la offende perché ebrea? Ci sono ancora corrieri della droga che l’avvicinano? Magari sì, magari no, ma ha imparato che ci può essere chi la difende e chi comprende il danno della violenza, istituzionale e no.