giovedì 13 ottobre 2011, 16:05
A Bologna tra il 21 e il 23 ottobre il XXV Congresso dell'associazione
di Marta Ajò
8 marzo, 1966. Roma, via della Vite, 13. Marisa Passigli, della Presidenza dell’UDI ma anche dirigente politica e membro del Comitato Centrale del PSIUP (il Partito della sinistra che sarebbe scomparso nel 1971) consegna a tutte le donne che incontra, nella sede della rivista ‘Mondo Nuovo’, un ramo di mimose. Quel giorno c’incontriamo: Marisa Passigli, buone maniere, voce pacata e dolce, ed io, giovane studentessa impegnata in ricerche di politica internazionale. “Perché non t’iscrivi all’Udi? Noi donne abbiano tanto da fare”, mi dice.
Sono un po’ irritata. Ho 20 anni e il mondo che ho davanti ai miei occhi è in ebollizione. In molti paesi esplodono movimenti di liberazione, alcuni regimi dittatoriali stanno per cadere, ho rapporti con i resistenti in esilio e riconosco loro stessa esaltazione:sono convinta che le mie azioni serviranno alla libertà e a migliorare il mondo. Ci sono il Vietnam, la Baia dei Porci. Dallas e la morte di Kennedy, le Black Panters, il Cile, la guerra del Vietnam. L’URSS, la Cina, la Corea ma anche la Grecia dei colonnelli e l’Algeria; l’Apartahid in Sudafrica e l’Eritrea, i palestinesi in cerca di uno Stato. Di tutto ciò m’interesso, studio, leggo.
L’UDI? Unione donne italiane? Ma di cosa parlava quella donna? Il mio sguardo si soffermava sul mondo e non sul mio genere; mi sarei sentita offesa e discriminata se mi avessero considerata ’diversa’, le battaglie per la libertà e per i diritti non hanno sesso pensavo. Sbagliavo, aveva ragione Marisa.
Già dal 1944-45, nel dibattito avviato all’interno delle componenti dei gruppi di difesa delle donne per rivendicare la loro partecipazione e rappresentanza nella riorganizzazione del paese, emerse l’esigenza di associarsi per rafforzare il senso delle loro rivendicazioni. Nacque così l’UDI, inizialmente sostenuta all’inizio dal Partito Comunista Italiano e quindi mai completamente autonoma dalle scelte centrali: certamente però, fu portatrice di nuovi orizzonti anche in quel partito, spesso dimostrò le proprie divergenze con una linea troppo rigida e si scontrò con i dirigenti, talvolto di comune accordo con le donne socialiste e democristiane.
Nell’organizzazione militarono nomi storici come Nilde Iotti, Giglia Tedesco, Luciana Castellina, Marisa Rodano, Luciana Viviani, Rosetta Longo e moltissime altre. Il primo impegno che dovettero affrontare fu quello per il diritto al voto, ma molti nel tempo altre sï¬de le videro in prima linea: la ricostruzione dopoguerra e il paciï¬smo, la parità di salario, il riconoscimento del lavoro rurale, il divieto di licenziamento alle donne sposate, la denuncia del caporalato e il sostegno al lavoro a domicilio, le leggi per la tutela della lavoratrice madre, la richiesta della pensione per le casalinghe, l’istituzione degli asili nido, consultori e servizi sociali; il nuovo diritto di famiglia, l’aborto, la contraccezione e il divorzio.
Battaglie che hanno unito e qualche volta diviso il movimento delle donne, portandolo a scontri in piazza e nelle sedi istituzionali. Le diverse posizioni politiche, delle militanti e dirigenti dei partiti, non impedirono comunque la mediazione, nella necessità d’imporre al dibattito parlamentare il comune obiettivo di agire nell’interesse delle donne e della società nel suo complesso. Negli anni ’70, in seguito alla ricerca di un’autonomia politica sempre più deï¬nita, il legame con il partito si allenta e, di conseguenza, viene a mancare il necessario sostegno economico. Un doloroso scioglimento diventa inï¬ne inevitabile.
Ma da quel momento ognuna continua a partecipare in prima persona alle convocazioni e l’autoï¬nanziamento diventa la
risposta al bisogno di indipendenza. Tale condizione organizzativa ed economica ha permesso la libertà di sperimentare pratiche politiche diverse.
Nel nuovo millennio, l’UDI decide infatti di affrontare la crescente complessità dei nuovi assetti nazionali e internazionali e il 29 novembre 2003 rilegge il proprio acronimo, Unione Donne Italiane, trasformandolo in Unione Donne in Italia, per sottolineare la propria attenzione alle donne che, nate altrove, vivono nel Paese: “vogliamo farci riconoscere –
dicono – per costruire un noi con le donne che sia fecondo, in un momento generale particolarmente difficile sotto molti punti
di vista. Siamo convinte che occorra un cambiamento radicale nell’assetto sociale e nella cultura politica del nostro Paese,
nel suo modello di sviluppo. Non si esce da questa crisi, economica e ï¬nanziaria, senza una nuova visione della politica, ï¬nalmente rispettosa degli esseri umani, degli animali e della natura. Occorre ormai costruire una inedita civiltà umana, continuando così il lavoro già avviato dalle tante donne che ci hanno preceduto in questi 150 anni di unità nazionale e questo non può che preï¬gurare una democrazia condivisa. Tra donne e uomini”.
Negli ultimi anni l’azione dell’Udi si è contraddistinta per alcune campagne nazionali su questioni di grande attualità politica e sociale: ’Immagine amiche’, dedicata a contrastare con un’azione politica puntuale, organizzata e condivisa, le immagini lesive e gli stereotipi femminili ovunque, non solo nella pubblicità; ’Staffetta contro la violenza’, per ribadire che la violenza sessuale e il ’femminicidio’ si possono sconï¬ggere ed eliminare dalle relazioni tra i generi; ’50 e 50… ovunque si decide’, in difesa di una democrazia a due: non per parlare di una rappresentanza di genere ma perché, continuano “noi non vogliamo che le donne rappresentino le donne ma che le donne esercitino un diritto costituzionale: la possibilità di essere candidate ed eventualmente di farsi eleggere per rappresentare uomini e donne”.
Il Congresso è stato introdotto da una giornata dedicata ai temi del lavoro che da sempre costituiscono un nodo principale: “La grave situazione economico-sociale attuale impone alle donne di riflettere sulle loro condizione lavorativa e sul mondo del lavoro, iniziando a mettere in discussione i modelli dello sviluppo economico alla base della struttura sociale del nostro Paese. Il sistema attuale, deprimendo e depauperando le risorse, riduce le possibilità di conciliazione tra lavoro e tempi di vita, le possibilità di impiego per le donne e la qualità del loro lavoro. Quali prospettive e futuro per le donne in tale contesto?”. Per parlare della situazione del lavoro femminile oggi, del precariato, di nuovi modelli per affrontare la crisi attuale e risolverla in un modo inedito, ’al femminile’.
Il congresso ï¬ssato a Bologna, tra il 21 e il 23 ottobre 2011, è un momento di partecipazione in cui l’Udi potrebbe ritrovare un ruolo che sembrava ormai appartenere al passato. Fra le molte associazioni e i movimenti nati recentemente, (‘Se non ora quando’, ‘Pari e dispare’, ‘Donne e informazione’ ecc.) in seguito alle grandi manifestazioni di
piazza che si sono svolte recentemente, l’Udi giocherà un ruolo da comprimaria.
Siamo a Roma, ottobre 2011, via della Vite 13: mentre ricordo, vicino a me passa una ragazza di 21 anni. La fermo, “Scusa,
posso chiederti se sai cosa è l’UDI?”, mi guarda perplessa, sorride, risponde “Un nuovo supermercato?”.Aveva ragione Marisa Passigli, e la necessità di essere unite e presenti, di partecipare ed informare, inï¬ne di lottare, non si è ancora esaurita.
di Marta Ajò
UDI, 66 anni di lotte
giovedì 13 ottobre 2011, 16:05
A Bologna tra il 21 e il 23 ottobre il XXV Congresso dell'associazione
di Marta Ajò
8 marzo, 1966. Roma, via della Vite, 13. Marisa Passigli, della Presidenza dell’UDI ma anche dirigente politica e membro del Comitato Centrale del PSIUP (il Partito della sinistra che sarebbe scomparso nel 1971) consegna a tutte le donne che incontra, nella sede della rivista ‘Mondo Nuovo’, un ramo di mimose. Quel giorno c’incontriamo: Marisa Passigli, buone maniere, voce pacata e dolce, ed io, giovane studentessa impegnata in ricerche di politica internazionale. “Perché non t’iscrivi all’Udi? Noi donne abbiano tanto da fare”, mi dice.
Sono un po’ irritata. Ho 20 anni e il mondo che ho davanti ai miei occhi è in ebollizione. In molti paesi esplodono movimenti di liberazione, alcuni regimi dittatoriali stanno per cadere, ho rapporti con i resistenti in esilio e riconosco loro stessa esaltazione:sono convinta che le mie azioni serviranno alla libertà e a migliorare il mondo. Ci sono il Vietnam, la Baia dei Porci. Dallas e la morte di Kennedy, le Black Panters, il Cile, la guerra del Vietnam. L’URSS, la Cina, la Corea ma anche la Grecia dei colonnelli e l’Algeria; l’Apartahid in Sudafrica e l’Eritrea, i palestinesi in cerca di uno Stato. Di tutto ciò m’interesso, studio, leggo.
L’UDI? Unione donne italiane? Ma di cosa parlava quella donna? Il mio sguardo si soffermava sul mondo e non sul mio genere; mi sarei sentita offesa e discriminata se mi avessero considerata ’diversa’, le battaglie per la libertà e per i diritti non hanno sesso pensavo. Sbagliavo, aveva ragione Marisa.
Già dal 1944-45, nel dibattito avviato all’interno delle componenti dei gruppi di difesa delle donne per rivendicare la loro partecipazione e rappresentanza nella riorganizzazione del paese, emerse l’esigenza di associarsi per rafforzare il senso delle loro rivendicazioni. Nacque così l’UDI, inizialmente sostenuta all’inizio dal Partito Comunista Italiano e quindi mai completamente autonoma dalle scelte centrali: certamente però, fu portatrice di nuovi orizzonti anche in quel partito, spesso dimostrò le proprie divergenze con una linea troppo rigida e si scontrò con i dirigenti, talvolto di comune accordo con le donne socialiste e democristiane.
Nell’organizzazione militarono nomi storici come Nilde Iotti, Giglia Tedesco, Luciana Castellina, Marisa Rodano, Luciana Viviani, Rosetta Longo e moltissime altre. Il primo impegno che dovettero affrontare fu quello per il diritto al voto, ma molti nel tempo altre sï¬de le videro in prima linea: la ricostruzione dopoguerra e il paciï¬smo, la parità di salario, il riconoscimento del lavoro rurale, il divieto di licenziamento alle donne sposate, la denuncia del caporalato e il sostegno al lavoro a domicilio, le leggi per la tutela della lavoratrice madre, la richiesta della pensione per le casalinghe, l’istituzione degli asili nido, consultori e servizi sociali; il nuovo diritto di famiglia, l’aborto, la contraccezione e il divorzio.
Battaglie che hanno unito e qualche volta diviso il movimento delle donne, portandolo a scontri in piazza e nelle sedi istituzionali. Le diverse posizioni politiche, delle militanti e dirigenti dei partiti, non impedirono comunque la mediazione, nella necessità d’imporre al dibattito parlamentare il comune obiettivo di agire nell’interesse delle donne e della società nel suo complesso. Negli anni ’70, in seguito alla ricerca di un’autonomia politica sempre più deï¬nita, il legame con il partito si allenta e, di conseguenza, viene a mancare il necessario sostegno economico. Un doloroso scioglimento diventa inï¬ne inevitabile.
Ma da quel momento ognuna continua a partecipare in prima persona alle convocazioni e l’autoï¬nanziamento diventa la
risposta al bisogno di indipendenza. Tale condizione organizzativa ed economica ha permesso la libertà di sperimentare pratiche politiche diverse.
Nel nuovo millennio, l’UDI decide infatti di affrontare la crescente complessità dei nuovi assetti nazionali e internazionali e il 29 novembre 2003 rilegge il proprio acronimo, Unione Donne Italiane, trasformandolo in Unione Donne in Italia, per sottolineare la propria attenzione alle donne che, nate altrove, vivono nel Paese: “vogliamo farci riconoscere –
dicono – per costruire un noi con le donne che sia fecondo, in un momento generale particolarmente difficile sotto molti punti
di vista. Siamo convinte che occorra un cambiamento radicale nell’assetto sociale e nella cultura politica del nostro Paese,
nel suo modello di sviluppo. Non si esce da questa crisi, economica e ï¬nanziaria, senza una nuova visione della politica, ï¬nalmente rispettosa degli esseri umani, degli animali e della natura. Occorre ormai costruire una inedita civiltà umana, continuando così il lavoro già avviato dalle tante donne che ci hanno preceduto in questi 150 anni di unità nazionale e questo non può che preï¬gurare una democrazia condivisa. Tra donne e uomini”.
Negli ultimi anni l’azione dell’Udi si è contraddistinta per alcune campagne nazionali su questioni di grande attualità politica e sociale: ’Immagine amiche’, dedicata a contrastare con un’azione politica puntuale, organizzata e condivisa, le immagini lesive e gli stereotipi femminili ovunque, non solo nella pubblicità; ’Staffetta contro la violenza’, per ribadire che la violenza sessuale e il ’femminicidio’ si possono sconï¬ggere ed eliminare dalle relazioni tra i generi; ’50 e 50… ovunque si decide’, in difesa di una democrazia a due: non per parlare di una rappresentanza di genere ma perché, continuano “noi non vogliamo che le donne rappresentino le donne ma che le donne esercitino un diritto costituzionale: la possibilità di essere candidate ed eventualmente di farsi eleggere per rappresentare uomini e donne”.
Il Congresso è stato introdotto da una giornata dedicata ai temi del lavoro che da sempre costituiscono un nodo principale: “La grave situazione economico-sociale attuale impone alle donne di riflettere sulle loro condizione lavorativa e sul mondo del lavoro, iniziando a mettere in discussione i modelli dello sviluppo economico alla base della struttura sociale del nostro Paese. Il sistema attuale, deprimendo e depauperando le risorse, riduce le possibilità di conciliazione tra lavoro e tempi di vita, le possibilità di impiego per le donne e la qualità del loro lavoro. Quali prospettive e futuro per le donne in tale contesto?”. Per parlare della situazione del lavoro femminile oggi, del precariato, di nuovi modelli per affrontare la crisi attuale e risolverla in un modo inedito, ’al femminile’.
Il congresso ï¬ssato a Bologna, tra il 21 e il 23 ottobre 2011, è un momento di partecipazione in cui l’Udi potrebbe ritrovare un ruolo che sembrava ormai appartenere al passato. Fra le molte associazioni e i movimenti nati recentemente, (‘Se non ora quando’, ‘Pari e dispare’, ‘Donne e informazione’ ecc.) in seguito alle grandi manifestazioni di
piazza che si sono svolte recentemente, l’Udi giocherà un ruolo da comprimaria.
Siamo a Roma, ottobre 2011, via della Vite 13: mentre ricordo, vicino a me passa una ragazza di 21 anni. La fermo, “Scusa,
posso chiederti se sai cosa è l’UDI?”, mi guarda perplessa, sorride, risponde “Un nuovo supermercato?”.Aveva ragione Marisa Passigli, e la necessità di essere unite e presenti, di partecipare ed informare, inï¬ne di lottare, non si è ancora esaurita.
di Marta Ajò