di Paola La Grotteria, psicoterapeuta psicoanalitica
Dalla bacheca Facebook di Avv. Cathy La Torre, 26/10/2021. VIA LIBERA DAL SENATO: LA PARITA' SALARIALE E' LEGGE!
“Finalmente!
Finalmente la Legge sulla parità salariale è stata approvata anche dal Senato, dunque è divenuta Legge dello Stato.
E se vi state chiedendo come mai serva una legge per equiparare gli stipendi e le condizioni di lavoro tra uomo e donna, a rispondervi è la realtà: in Italia le donne, in media, guadagnano circa il 24% in meno degli uomini a parità mansionale. Senza contare che in periodi di crisi come quello da cui stiamo uscendo, a perdere il lavoro sono state per il 70% donne.
Questa legge non solo segna un passo di civiltà importantissimo, ma agirà concretamente ad esempio riconoscendo sgravi contributivi alle aziende che applicheranno la parità non solo a livello salariale ma anche organizzativo e professionale, senza dimenticare i diritti per la maternità.
Inoltre, per le aziende sopra i 50 dipendenti ci sarà l'obbligo di un rapporto periodico per verificare i progressi in tema di parità effettiva tra i dipendenti uomini e le dipendenti donne.
Insomma, qualcosa si muove nel verso giusto, e se è vero che non basterà una legge a colmare un vuoto di decenni di discriminazioni e di miliardi di PIL persi (sì, perché la mancata emancipazione femminile costa non solo a livello sociale ma anche economico!), con questo voto oggi l'Italia riconosce un principio basilare: l'essere donna non potrà più significare divario economico e professionale. ”
Questa avvocatessa a me piace perché è una libera pensatrice, difende i diritti femminili, ha un entusiasmo che mostra nel proporre battaglie coraggiose a favore del cambiamento di prospettiva di vedute sulle questioni dei diritti civili delle donne, ancora concepite come appartenenti al “sesso debole” per alcuni, o, ancora il “secondo sesso”, per citare Simone de Beauvoir, scrittrice e filosofa francese del secolo scorso, compagna di una vita di Jean Paul Sartre, il filosofo del nichilismo.
Il fenomeno del mobbing colpisce entrambi i sessi ma per caratteristiche e aspetti di genere si differenzia in mobbing femminile e in mobbing maschile. La prevenzione è un aspetto fondamentale volto a sensibilizzare e informare su ciò che accade negli ambienti di lavoro e, la violenza psicologica è ben presente e viene esercitata anche in questi contesti.
La Fondazione Maugeri di Pavia ha analizzato la casistica di denunce di mobbing sul lavoro nell’ultimo decennio, 345 persone (197 donne e 148 uomini). La fascia di età femminile che maggiormente è colpita da questo fenomeno si aggira tra i 34 e i 45 anni, periodo nel quale aumenta la richiesta di permessi, di part–time, dovuti agli impegni coi figli e con la famiglia. Queste sono richieste che possono causare disturbo e malcontento nei datori di lavoro e nell’ambiente, andandosi a instaurare conflitti e azioni vendicatrici sulla vittima lavoratrice (discredito, attacchi personali, ripicche, sottovalutazione), a volte, fino a portare alle dimissioni volontarie.
In questo esperimento sociale, sono state svolte delle interviste nell’area modenese prendendo un campione di 508 donne e 295 uomini, dove all’interno di tale campione è stato scelto un gruppo ristretto di donne sul quale condurre una ricerca di tipo qualitativo, l’insieme di riferimento empirico e ristretto ma essendo queste donne a parlare di sé stesse, hanno fornito molti elementi di riflessione e di analisi. In merito a questo, sul tema della differenza sessuale sul luogo di lavoro, emergono alcuni aspetti tra i quali :
• essere donna è fonte di discriminazione sul luogo di lavoro per vari motivi che hanno a che fare con la forza fisica, con il pregiudizio sulle capacità femminili da parte dei superiori che ostacolano l’inserimento e la carriera con criteri di valutazione differenziati tra uomo e donna.
• la differenza sessuale è legata al corpo, al corpo femminile sessuato che non è neutralizzabile sul luogo di lavoro come non lo è nel sociale e nell’immaginario collettivo, oggetto di sguardi, parole e atti da parte maschile.
Mutatis mutandis, fatto questo preambolo a mo' di premessa riflessiva sul concetto che il lavoro femminile è da sempre stata una dimensione “marginale”, da quando le donne sono state considerate come delle educatrici per i loro figli, casalinghe e mogli indaffarate ai fornelli, il fatto di aver acquisito o di cercare di acquisire una dignità nella società soprattutto maschile, propongo il caso di Fabiana F., mia paziente di 28 anni, determinata e volitiva, molto intelligente, ma con una famiglia che ha preferito da sempre relegarla a “capro espiatorio”, così che la “strana”, la ragazza “facile” era lei, piuttosto che derubarla del suo reddito, già in grado di guadagnarselo dall'età di 16 anni!
Chi incolpare? La Mamma o il Papà? Non è infatti una questione di chi sia nato prima, “l'uovo o la gallina” , chi sia il vero colpevole, l'inizio della tragedia, ma di un pensiero collettivo, che aveva avuto riscontro nella coppia genitoriale, tradizionale e arricchita, maschilista e indifferente, poco attenta all'ascolto, che ha preferito consegnare alla clinica psicologica Fabiana, fin da piccola, disinteressandosi in modo diretto, e così da poter definire Fabiana come una “paziente designata”, l'elemento negativo della famiglia, la “pecora nera” della famiglia, pur sfruttando la sua capacità imprenditoriale e, in generale, intellettuale, ma non risconoscendola umanamente, ponendosi in antagonismo, rivali da sempre, specialmente con la figura del padre di Fabiana, ma con una figura materna che colludeva, cioè assentiva l'atteggiamento oppressivo del padre.
Il “paziente designato”, è un termine usato in ambito clinico per descrivere la persona in una famiglia disfunzionale, scelta in modo inconscio per manifestare come diversione i conflitti interni della famiglia, oppure come godimento negativo, volendo citare Jacques Lacan, lo psicoanalista teorico francese, che ha definito l'inconscio come un linguaggio e che seguo nella mia professione di psicoterapeuta psicoanalitica a Monza . Il “paziente designato” è colui che è il portatore scisso del disturbo (forse transgenerazionale) della famiglia.
Il termine viene inoltre utilizzato nel contesto della gestione organizzativa, in circostanze dove un individuo diventa il portatore di un problema di gruppo. Il caso di Fabiana ha origini in uno sguardo indifferente e umiliante del padre e in una madre di ghiaccio e invadente, “una madre coccodrillo”, a dire della mia paziente, che l'ha portata a soffrire di un disturbo alimentare fin da piccola, dall'età di 13 anni. Fabiana arriva da me, grazie all'invio di una mia collaboratrice medico di base, perché sul lavoro, presso un ufficio di marketing e comunicazione dove lavorava a Milano, viene criticata immotivatamente e molestata sessualmente dal responsabile di settore, nel momento in cui c'erano gli avanzamenti di carriera.
Questa reiterata violenza verbale e sessuale, quindi psicologica e volta a far perdere le sue caratteristiche di determinazione e forte motivazione al successo, la porta in modo subitaneo, cioè immediato e veloce, ad avere agiti impulsivi verso i colleghi, il compagno e i familiari, attacchi d'ansia e angoscia, insonnia e ritiro sociale con umore depresso. Dalla letteratura scientifica ho imparato che un cervello “violentato e represso” stimola, a livello di emisfero destro, nell'amigdala, e presso il lobo frontale, una parallela disfunzionalità, in un'ottica delle neuroscienze moderne, per cui le regioni cerebrali atte a gestire il controllo emotivo e verbale, collassano, vanno in black out cerebrale e provocano comportamenti di dolore e sofferenza nel soggetto. Certamente questo tipo di mobbing, o “mal di lavoro” aveva origini nei legami passati della mia paziente, derivato da piccoli, grandi traumi personali che hanno reso l'eziologia del disagio psicologico, ovvero le cause mentali, come consequenziali, quasi determinate in modo logico, evidente. E' utile sottolineare e ricordare innanzitutto, che Fabiana ha imparato a non soggiacere in modo remissivo e passivo all'Altro/Altra, facendo delle sue scelte soggettive, una responsabilità costante.
Oggi Fabiana sembra aver ancora da raccontare di quel lavoro repressivo e violento che tanto assomiglia al suo passato… Si guarda però allo specchio del mio studio in modo vanitoso e con sguardo benevolo, quasi cercando conferma di una sua bella immagine riconquistata… Ha cambiato lavoro, è una responsabile del settore di marketing strategico pubblicitario di una multinazionale americana, continuando a combattere, all'interno del suo lavoro sfruttato specialmente in pandemia, producendo in modo continuativo, massiccio e non riconosciuto, contro un maschilismo prevaricatore, che tanto la guarda come una donna da eventualmente desiderare, cercando di sedurla con velate proposte, ma non riconoscendola intenzionalmente come figura autorevole, anzi volendo toglierle la sua brillantezza professionale, perché cieco di livore e competizione discriminante il suo essere donna, determinando così il suo potere in modo subdolo e bieco.