Un luogo intero per soggetti (interi). La lunga storia di un’esclusione, di Lorenza Minoli, l’Avanti 13/14 marzo 1983

da | Giu 8, 2011 | Scritti d'archivio

La condizione spaziale femminile è precipitata, potremmo dunque dire, in pochi secoli, quelli cioè del periodo "c1assico» della storia greca, in cui riceve completa definizione.
I presupposti però si erano andati preparando in un arco di tempo molto più lungo, quello cioè che va dalle ultime fasi della preistoria (neolitico) agli inizi della storia, periodo in cui s’incontrano nel campo religioso, come in quello giuridico, iconografico e architettonico, segnali viepiù negativi per le donne.

La tabulizzazione del luogo fisico delle donne, un’unica parola che spiega mentre riassume il complesso sistema delle prescrizioni relative, che si forma appunto in quest’arco di tempo, oltre che specchio è stata anche strumento di quella di cui a ben altri livelli era fatta oggetto la donna. (Harem, etim. «luogo proibito», agli uomini, ad eccezione di uno, il marito, per cui era anzi riservato).

Assicurate in casa tutte quelle funzioni di cui essa è naturale portatrice, con l’aggiunta di quelle che via via nella separazione dei compiti e dei luoghi le erano state demandate, l’uomo non potrà più rinunciarvi.
Tra queste funzioni, oltre a quelle di punto di riferimento sul territorio e centro geometrico dello spazio (che il gruppo delle donne aveva acquisito nel lontano periodo della «caccia»), quella di accoglienza all’interno della casa, necessaria all’uomo, secondo Levipas, per quel «dimorare separatamente dal mondo», che gli permette di definirlo definendosi come soggetto.
Ciò sembrerebbe suggerire del resto-aspetto «protettivo di un bene prezioso» caratteristico del sarcofago-casa, che racchiude la sepoltura delle donne etrusche a Cerveteri. L’adiacente sepoltura maschile consta invece del solo letto funebre.

Con l’uscita di casa delle donne però questa funzione, resa vacante, resta alla struttura abitativa vuota, aggiudicabile, perciò assumibile, anche dall’uomo.
La donna la porta con sé.
Rinunciando ad incarnare più oltre il femminile come «accogliente», si è messa in crisi la struttura del dimorare come esistere per l’uomo e quella dell’abitare in senso stretto.

E’ questo, forse, un presupposto fondamentale perché gli individui, di entrambi i sessi, riguadagnino interamente quella soggettività, cui hanno a lungo rinunciato nel demandamento reciproco dei compiti, divenuti attributi degli statuti di maschile e femminile.
Per questi nuovi soggetti interi (non più «a metà») è dunque da ripensare anche la struttura fisica dell’abitare, cioè la casa, e quella del relazionarsi, cioè la città.

Commento di Marta Ajò

E’ quasi commovente,  in questo articolo, leggere quanto le donne abbiano riflettuto sulla loro condizione umana di "emarginate" dai contesti del "potere".
L’autrice ne offre una versione assolutamente personale ed originale, forse anche un po’ confusa, come solo capita al pugile che, ridotto KO, pensa, "ma che mi è capitato?".
E, veramente, c’è poco da ironizzare. Quello che, invece, va rilevato è il tema del rapporto donna-famiglia-casa-città.
Le battaglie che sono state portate avanti affinché i comuni, piccoli e grandi, contemplino orari e servizi a misura umana, specie a misura di donna, è andata avanti nel tempo e qualche buona pratica si è ottenuta.
E’ comunque una questione ancora aperta.