Violenza de genere
E’ successo a Modena e in un paesino del pesarese.
Un italiano e un marocchino hanno sequestrato, malmenato, seviziato, frustato e minacciato fidanzata e figlia rispettive.
I fatti.
A Modena, un uomo di 43 anni, ha segregato la fidanzata, legandola per 20 giorni con catene e lucchetti al letto. La polizia, avvisata in tempo, ha riscontrato segni delle torture sul corpo, tagli, lividi, ustioni da sigarette.
La giovane donna, una trentanovenne originaria della Bielorussia, aveva vistose tumefazioni al volto e alle gambe. L’uomo, dopo averla imprigionata al letto con le catene, l’ha sottoposta a maltrattamenti, imbottita di psicofarmaci e seviziata per tre settimane.
Quello che hanno poi trovato i carabinieri intervenuti sul luogo, fa pensare che la storia poteva finire molto peggio. Nel corso delle ricerche, infatti, gli agenti hanno trovato un impianto di registrazione delle immagini delle sevizie poi archiviate su un hard disk.
Sulla donna i medici hanno riscontrato lesioni guaribili in 30 giorni: trauma cranico e toracico, trauma policontusivo del tronco e degli arti, ustioni. L’uomo è stato arrestato e portato nel carcere di Modena con le accuse di sequestro di persona, lesioni personali e maltrattamenti.
La motivazione di tanta violenza? Era ossessionato dalla gelosia.
Nella provincia di Pesaro, un padre marocchino, ha preso a frustate con un filo elettrico, picchiato violentemente con schiaffi e pugni, infine sequestrato nella soffitta di casa la figlia diciassettenne, perché aveva comportamenti «troppo occidentali».
Una maglietta a maniche corte è stata la cosiddetta goccia che ha fatto traboccare il vaso, di quel padre. Un operaio di 52 anni, regolarmente residente in Italia da una decina d’anni.
Da quando, due anni fa, aveva scoperto che la ragazza (allora quindicenne) frequentava un connazionale, ha iniziato, concorde la moglie, a sottoporre la figlia a pene corporali; schiaffi, pugni fino ad usare la frusta.
Quando i genitori non erano in casa, la ragazza veniva chiusa a chiave in una soffitta.
Ce n’è di che per far desiderare ad un’adolescente di finirla con quella vita.
E, puntualmente, la ragazza ha tentato il suicidio.
Non è che essere italiano o marocchino faccia dunque la differenza.
Quando si considera la propria donna (lungo elenco di mogli, figlie, fidanzate, amanti, ma anche conoscenti ecc.) un oggetto, un divertimento, una proprietà, di cui disporre e a cui imporre il proprio volere, i confini etici e morali, i comportamenti umani non sono differenti.
La cultura? La mancata integrazione? La religione? Di tutto un po’ però…c’è da fare una riflessione.
Dalle storie che purtroppo hanno riempito le cronache quasi quotidianamente e fino ad oggi, emerge che quelli che arrivano ad uccidere le donne dimostrano di odiarle oppure di amarle troppo: quindi le ammazzano.
Chi sono questi uomini persecutori, violenti e assassini? ad agire sono ex mariti, ex amanti, ex conviventi, ex partner, padri e (raramente) fratelli; uomini ossessivi, malati, violenti e ignoranti. Uomini-maschi che annientano per impedire che si affermi la volontà femminile. Evitare che sia una donna a porre fine alla relazione affettiva; una donna a decidere della propria vita. L’atto di uccidere arriva sempre alla fine di violenze domestiche, minacce, discussioni che lasciano presagire al peggio come nei casi citati.
La cronaca registra ma avverte l’amaro sapore di non dire tutta la verità perché, se non mancano le parole per raccontare, mancano quelle per giustificare il perdurare di tale cultura della violenza di genere.
l’Indro 01, 09, 2011