Le figlie di nessuno

da | Dic 9, 2018 | Testimonianze e contributi

di Raquel Rosario Sanchez, specialista in studi della donna, di genere e di sessualità e scrittrice – Traduzione di Irene Starace (Bambole spettinate&Diavole del focolare)

L’ ufficio della Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite spiega quanto gli stereotipi di genere siano dannosi per i diritti umani con queste parole: “uno stereotipo di genere è un’ opinione o un pregiudizio generalizzato sugli attributi o le caratteristiche che uomini e donne possiedono, o dovrebbero possedere, o sulle funzioni sociali che entrambi svolgono, o dovrebbero svolgere. Uno stereotipo di genere è nocivo quando limita la capacità di uomini e donne di sviluppare le loro facoltà personali, realizzare una carriera professionale e prendere decisioni sulle loro vite e progetti ”.

Lei che ne pensa? Siamo d’ accordo su questa definizione? Si potrà migliorare, ma io oso assicurare che oggi tutti conosciamo il danno che possono causare gli stereotipi di genere. Tuttavia, se questa affermazione fosse vera, allora perché nell’anno 2018 molti paesi e istituzioni pubbliche stanno promuovendo gli stereotipi di genere utilizzando argomenti sia di diritti umani che di giustizia sociale?

Ci dice un’ adolescente: “Sono Jazz! Da quando ricordo, il mio colore preferito è stato il rosa. Tra le mie attività preferite ci sono: ballare, cantare, fare piroette, disegnare, giocare a soccer, nuotare, truccarmi e fingere di essere una pop-star. E mi piacciono molto le sirene! Le mie migliori amiche sono Samantha e Casey. Ci divertiamo sempre insieme. Ci piace usare tacchi e vestiti da principesse. Ci piace anche fare piroette acrobatiche e salire sui trampolini. Ma io non sono come Samantha e Casey. Perché ho il cervello di una ragazza nel corpo di un ragazzo”.

Che vuol dire quest’ ultima frase? Che vuol dire che esistono cervelli di ragazze e cervelli di ragazzi?

Carismatica ed energica, Jazz è stata trasformata in una star della televisione negli Stati Uniti. Ha il suo reality show sul canale TLC, è modella e appare spesso sulle copertine delle riviste per adolescenti. Questa citazione fa parte del suo libro per bambini intitolato Sono Jazz, in cui spiega: “Nella mia infanzia, non giocavo quasi mai con le macchinine, né con gli attrezzi o i supereroi. Solo principesse e travestimenti da sirena. I miei fratelli mi dicevano che queste cose erano da bambine. Mia sorella dice che io parlavo sempre dei miei pensieri e sogni da bambina e di come un giorno sarei stata una donna moooooolto bella”.

Cosa sognano le bambine? Quali pensieri sono da bambine?

Al momento della pubblicazione del libro, Jazz era minorenne e anche adesso è molto giovane (ha 18 anni), per cui il centro di quest’ analisi non è lei, ma il discorso che le persone adulte hanno costruito intorno alle persone minorenni, come lei, che esprimono disforia di genere.

Avanti, donne, che questa faccenda non si risolverà finché non la risolveremo, e già da parte nostra abbiamo perso troppo tempo evitandola.

Cos’è la disforia di genere? E’ una condizione che provoca angoscia in alcune persone, che sentono che l’ espressione di genere che vogliono presentare e il loro sesso biologico sono in discordanza. E’ un sentimento acuto di essere nati “nel corpo sbagliato”. Come argomenta l’ artista e attivista inglese Jonathan Best, appena un decennio fa intendevamo la disforia di genere come una condizione legittima che riguarda in primo luogo (ma non esclusivamente) persone che si identificano come trans. Ma da allora le politiche di genere hanno sperimentato una trasformazione seria, dato che, come analizza Best, “attualmente sono dominate da persone che considerano la disforia di genere un termine arcaico e quasi di cui vergognarsi. Invece di parlare di disforia di genere, si è creato un nuovo termine: identità di genere”.

Sostituire un termine con un altro rappresenta un problema, e non semantico. La percentuale della popolazione mondiale che soffre di disforia di genere è probabilmente minuscola, anche se riconoscibile (perché la disforia si può diagnosticare), ma l’identità di genere, in teoria, si trova in ogni essere umano vivente (nel nostro cervello? nella nostra anima?): l’estensione della popolazione passa a 7.7 miliardi di persone.

Sotto questa nuova strutturazione, si capisce che l’identità di genere prevale sia sul sesso biologico, che sulla costruzione sociale del genere, ed è considerata “l’ unico determinante che una persona sia una donna o un uomo: cioè, l’unica cosa che serve ad essere una donna o un uomo, in ogni contesto e circostanza, e immediatamente, è un sentimento. Non è necessario avere una diagnosi di disforia di genere, né tantomeno un processo di transizione”, spiega Best.

Sviluppare politiche pubbliche in base a sentimenti intangibili, specialmente quando questi entrano in conflitto con politiche pubbliche costruite in base a realtà materiali (sesso, età, status economico…) rappresenta un dilemma più o meno grave. Ma questo lo ignoreremo, perché in quest’articolo quel che mi interessa di più sapere è: dove si collocano le persone con disforia di genere in questo nuovo scenario?

Nonostante la maggior parte dell’ attenzione mediatica su questo tema la ricevano persone che, come Jazz, sono nate maschi, è arrivato il momento di analizzare ciò che confermano le statistiche: che la prassi delle politiche di identità di genere la rappresentano, nella maggioranza dei casi, bambine e adolescenti che soffrono di disforia di genere.

In alcuni paesi, come l’Inghilterra, si è visto un incremento esponenziale, in cui il 70% dei minorenni che presentano “problemi di genere” sono bambine e adolescenti, che sono mandate a centri medici per “ricevere una terapia”. Se nel 2009 c’erano 40 bambine e adolescenti in cura in “cliniche del genere”, nel 2017 questa cifra è arrivata a 1806 : un incremento di un 4000% in meno di un decennio. L’ Ufficio delle Parità del governo inglese ha detto: “Abbiamo prove che questa tendenza si sta presentando anche in altri paesi. Non ne conosciamo ancora il perché, né l’ impatto a lungo termine”.

La stragrande maggioranza delle persone trans adulte non riceve nessun tipo di terapia ormonale né trattamenti chirurgici. Allora perché quest’ insistenza, improvvisa e aggressiva, che dobbiamo mettere bambine, bambini e adolescenti sulla strada di un percorso medico irreversibile? Perché all’ improvviso ci sono tante bambine e adolescenti a riempire le sale d’attesa delle “cliniche di genere”?

Anche la dottoressa e ricercatrice statunitense Lisa Littman, dell’ Università di Brown, si è interessata al tema e, a fine agosto, ha pubblicato uno studio scientifico sulla disforia di genere in bambine e adolescenti.

Solitamente, la disforia di genere precede l’ auto-identificazione in qualsiasi categoria di genere diversa da quella assegnata alla nascita, e comincia presto. Cioè, il sentimento di angoscia e disagio per il sesso biologico si presenta per un lungo periodo, prima che la persona annunci “sono trans” o “sono non-binaria”. Però ciò che Littman ha riscontrato nella sua ricerca è che, al contrario di quel che si è osservato in precedenza nella disforia di genere, le bambine e adolescenti che ha studiato stanno sperimentando una disforia di genere accelerata (Rapid Onset Gender Dysphoria), che sembra rispondere ai modelli di un contagio sociale e presenta una concomitanza con altri temi delicati come la depressione, l’ansia, i disturbi dello spettro autistico, la violenza sessuale, l’abuso di sostanze stupefacenti e l’ orientamento sessuale lesbico. Ricordiamo che, nelle diagnosi di disturbi dello spettro autistico, le bambine e adolescenti di solito sono sotto rappresentate, proprio per il ruolo che giocano gli stereotipi di genere nel personale medico.

La metà della popolazione adolescente dello studio di Littman aveva subìto un evento traumatico recentemente, come la morte di un parente o un abuso sessuale. La maggioranza di queste adolescenti aveva dichiarato il suo orientamento sessuale come lesbico, prima di dichiararsi trans. La loro auto-identificazione come maschi avviene dopo che hanno passato molto tempo su forum online (come Tumblr o Reddit) per adolescenti trans, e molte volte si è manifestata tra gruppetti di amiche che si dichiaravano maschi allo stesso tempo.

Dire che alcuni attivisti promotori delle politiche di identità di genere hanno voluto mettere in croce Littman quando ha pubblicato il suo studio, significa sottovalutare la faccenda.

Perché? Perché il concetto della disforia di genere accelerata suggerisce che il genere può essere influenzato dal mondo che ci circonda, e pertanto… costruito socialmente. Ovviamente, non possiamo permettere che si esponga nessuna falla nell’intelaiatura che sostiene una teoria travolgente, vero?

Un numero significativo di attivisti ha fatto con Littman quel che fanno con qualsiasi donna si faccia avanti su questo tema: una campagna di diffamazione e una valanga di pressioni al suo datore di lavoro, in questo caso l’ Università di Brown, perché rinneghi sia lei che il suo studio. Littman non è stata la prima a mettere in discussione la maniera in cui bambine e adolescenti presentano disforia di genere in maniera accelerata. Il problema è che lei è stata la prima a poterlo dimostrare in un ambiente accademico, e la norma è che questo tipo di ricerche si vieti.

Nemmeno le sue conclusioni sono state un’ anomalia. L’ endocrinologo Michael Laidlaw spiega: “Uno studio sui servizi di identità di genere in Finlandia informa che “il 75% degli adolescenti hanno ricevuto o stanno ricevendo trattamento psichiatrico per ragioni altre dalla disforia di genere”. Lo stesso studio ha dimostrato che il 26% aveva disturbi dello spettro autistico e che una percentuale sproporzionata rispetto alle precedenti di bambine e adolescenti (87%) veniva inviata alle cliniche. Questo conferma i risultati dello studio recente di Lisa Littman, che ha mostrato che una percentuale simile (62.5%) di adolescenti aveva “una condizione psichiatrica o una disabilità nello sviluppo neurologico prima della diagnosi di disforia di genere”. Anche lei riporta un numero sproporzionatamente alto di femmine colpite (83%) rispetto ai maschi”. In Inghilterra, la “clinica di genere” Tavistock and Portman riporta che un 35% di bambine e adolescenti a cui è stata diagnosticata la disforia di genere ha disturbi dello spettro autistico. La invito a leggere questo paragrafo di nuovo e ad analizzarlo con calma.

La risposta dei dirigenti della prestigiosissima Università di Brown di fronte alla campagna di diffamazione contro la loro ricercatrice è stata una dimostrazione internazionale di viltà: hanno ritirato la notizia sullo studio di Littman dalla loro pagina web e, fondamentalmente, hanno chiesto scusa perché i risultati non sono piaciuti a un collettivo in particolare, che avrebbe potuto dedurre che “invalidava le sue prospettive”, secondo il loro comunicato. Questo mea culpa dell’ università, così vergognoso, di fronte alla pressione degli attivisti, ha fatto sì che le si ritorcesse contro: lo studio si è diffuso come la polvere, raggiungendo tipi di pubblico che forse non si sarebbero mai interessati al tema.

Io non sono stata l’ unica a rendermi conto che molti degli attivisti che hanno fatto pressione sull’ Università di Brown erano persone nate maschi. Questo deve chiamarci a riflettere. Come spiega la giornalista inglese Janice Turner: “la maggioranza dei leader del movimento trans sono donne trans, che non sono mai passate per la voragine che è la pubertà femminile, con tutte le sue certezze intense, ma passeggere. Molte fanno la transizione dopo aver avuto figli e figlie. Cosa gli importa della fertilità di bambine e adolescenti con problemi?”

Attivisti promotori delle politiche di identità di genere incentivano le persone giovani a interpretare qualsiasi disagio sentano per il loro corpo come un segno che sono trans. O come minimo, non-binarie. Qualsiasi delle due (o 71) identità può mettere bambine e adolescenti vulnerabili su una strada che comincia con gli inibitori della pubertà e finisce con la sterilizzazione irreversibile. Cioè, una soluzione medica, chirurgica e permanente per una situazione o sociale o psicologica.

Gli inibitori della pubertà non sono “un bottone di pausa”, come sostengono alcuni dottori, perché, una volta che si inizia questo processo, in un 100% dei casi di bambine e bambini studiati, questo trattamento diventa il preludio degli ormoni del sesso opposto (testosterone per le bambine/estrogeni per i bambini). Senza inibitori della pubertà, un 85-90% di casi studiati di minorenni che si identificano come trans desiste prima dei 18 anni e trova la tranquillità nel suo sesso (in maggioranza come donne lesbiche o uomini gay), mentre la percentuale restante continua il suo processo di transizione. Però, se si aggiungono gli inibitori della pubertà a quest’ equazione, abbiamo un 100% di bambine, bambini e adolescenti convinte/i che il loro corpo e la loro mente si trovano in uno stato di incongruenza permanente. Cioè, si torna indietro poche volte, perché, una volta che quest’ adolescente ha nello stesso tempo la barba e una vagina, la confusione e l’ angoscia sulla dissonanza tra il suo sesso e il suo genere non solo continuano, ma si intensificano. Cosa crede lei che stia succedendo?

Più impariamo su questo tema, più certezza abbiamo che qui c’è qualcosa che non quadra. Se il genere è così fluido e questo è un tema di libertà, perché l’ insistenza e la pressione politica per medicalizzare bambine, bambini e adolescenti che, nella maggioranza dei casi, se ne pentiranno? Perché la rigidità senza cuore di manipolare genitori disperati, convincendoli che è preferibile avere “un figlio vivo invece di una figlia morta” (alludendo al suicidio che la bambina potrebbe commettere), se non appoggiano trattamenti medici sperimentali, con effetti secondari non definiti?

In questo momento, la Svezia si trova nelle fasi preliminari di un progetto di legge che permetterebbe a persone minorenni (dai 15 ai 18 anni) di ricevere chirurgia genitale e terapie ormonali senza la necessità del consenso dei genitori. In alcuni paesi, lei può perdere la custodia di suo figlio o di sua figlia se si rifiuta di consegnare questa persona minorenne sotto la sua tutela a ditte farmaceutiche perché facciano esperimenti con la sua salute (lei incorre in “abuso” e “negligenza”). Se noi femministe ci sbagliamo e questa è la nuova frontiera dei diritti umani, allora dovremo ripensare molte cose.

Se l’ adolescente demirogenere (me lo sono appena inventato) dovrebbe avere il diritto assoluto alla sua autonomia, perché non dovrebbe averlo l’ adolescente bulimica? Sia l’ una che l’ altra considerano che il bisturi rappresenta l’ unico ostacolo tra la loro salute mentale e felicità. L’ unica cosa che separa il corpo di entrambe da questo strumento è un insieme di decisioni di persone adulte. Queste ritengono che, in un caso, la questione dev’essere trattata con molta attenzione e sempre sotto la supervisione degli adulti, mentre nell’ altro, la società viene indottrinata per giustificare che meno ostacoli separino minorenni e sale operatorie, meglio è.

Tra i due casi, la scelta più sana sarebbe appoggiare l’operazione dell’ adolescente con il problema alimentare, perché, se si facesse una liposuzione, sappiamo, con certezza quasi totale, che ingrasserà di nuovo. L’ adolescente con la disforia di genere, al contrario, affronta l’ eventualità di un’ isterectomia per prevenire il rischio di cancro all’ utero (la sua anatomia non è pronta per sopportare tanto testosterone), un prolasso vaginale, un incremento esponenziale del rischio di contrarre problemi del tratto urinario, malattie cardiovascolari (come i coaguli di sangue e l’ apoplessia), una diminuzione drastica della mineralizzazione delle ossa e osteoporosi precoce. Così come oggi vediamo un incremento di adolescenti mandate a “cliniche di genere”, tra 10 anni vedremo un incremento di giovani che presenteranno osteoporosi a 25 anni e avranno bisogno di una sostituzione dell’anca a 26.

La gente dirà che tutto questo è molto strano e si chiederà che sta succedendo. Ed io mi ricorderò di donne come Lisa Littman.

Gli inibitori della pubertà impediscono la fertilità perché le gonadi non arrivano mai a maturare. Se il suo corpo (sì, il suo) non avesse attraversato la pubertà, i suoi gameti resterebbero immaturi. Gameti immaturi che non sono mai arrivati a svilupparsi non possono fecondare, né essere fecondati. A parte il fatto che non conosciamo ancora l’ impatto del consumo di ormoni del sesso opposto (post-inibitori), in quantità industriale e per anni, sul sistema riproduttivo umano.

Dobbiamo parlare anche del sesso. La sessualità umana non funziona indipendentemente dai nostri organi riproduttivi. Gli inibitori della pubertà potrebbero causare un danno irreversibile al funzionamento e all’attività sessuale, giacché gli organi sessuali non arrivano a svilupparsi, e in troppi casi, non si svilupperanno mai, perché quel corpo resterà sempre intrappolato nella fase dello sviluppo umano (tra i 9 e gli 11 anni) in cui è iniziata la terapia. Il pene, i testicoli e lo scroto di un maschio non hanno avuto l’ opportunità di allungarsi e crescere. Neanche il clitoride e i capezzoli delle femmine. Fare esperimenti con bambine e bambini su questo tema ci sta presentando la prospettiva di migliaia di persone la cui età adulta sarà segnata da una disfunzione sessuale irreversibile e dall’ impossibilità di godere di un orgasmo, se lo volessero. Come si sentirebbe lei se la possibilità di sperimentare un orgasmo le fosse strappata fulmineamente e a vita?

E siccome la popolazione che sta riempiendo le “cliniche di genere” sono bambine e adolescenti, dobbiamo applicare una prospettiva femminista e chiederci: cosa vuol dire che bambine e adolescenti che rifiutano le imposizioni della femminilità sono trasformate in riceventi di sessualità altrui, senza potenziale per il loro godimento?

Gli inibitori della pubertà non sono nuovi. Si usano da molti anni per curare la pubertà che comincia in un periodo considerato “troppo precoce”, per esempio, bambine che si sviluppano a otto o nove anni. Gli effetti collaterali sono stati disastrosi anche su di loro. Senza contare che non conosciamo ancora nemmeno gli effetti secondari che hanno, né questi, né gli ormoni del sesso opposto sullo sviluppo cerebrale e cognitivo delle bambine e dei bambini durante una fase delicata per il loro sviluppo neurologico.

Tutto questo è molto caro. Negli Stati Uniti, risulta quasi impossibile poter pagare il trattamento senza un’ assicurazione medica. Gli stessi dottori che lavorano in “cliniche di genere”, come il Dr. Rob Garafalo, direttore del Programma di Sviluppo di Sesso e Genere dell’ Ospedale Infantile Lurie, a Chicago, spiegano che gli inibitori della pubertà costano circa 1200 dollari al mese (iniettati) e possono costare dai 4500 ai 18000 dollari al mese (impiantati). Gli estrogeni vengono tra i 4 e i 30 dollari al mese, mentre il testosterone oscilla tra i 20 e i 200 dollari.

Spiega un analista e ricercatore statunitense che ha dovuto scrivere sotto l’ anonimato:

“Utilizzando questi costi, e prendendo come esempio una persona di dieci anni, il costo totale della transizione di qualcuno che cominciasse con inibitori della pubertà a 10 anni e li continuasse fino ai 16, sarebbe di 86400 dollari. Attualmente una clinica di genere, come Lurie, ha 725 bambini, bambine e adolescenti in terapia per disforia di genere, e questo ci rivela una somma di 62 milioni di dollari, solo prescrivendo Lupron (inibitore della pubertà) a ognuno di questi 725 minorenni. La transizione è un affare parecchio caro”.

Siamo testimoni in tempo reale di come si crea un business parecchio lucroso medicalizzando minorenni perfettamente sani per trasformarli in pazienti/clienti a vita. Questa è una visione del genere disegnata per il sistema capitalista. Perché farla finita con l’ oppressione, se possiamo commercializzarla?

I trattamenti medici e ormonali non dovrebbero essere l’ unica possibilità per bambine, bambini e adolescenti che presentano disforia di genere. Al contrario, dovrebbero essere forse l’ ultima. La dottoressa Sasha Ayad è una tra le tante psicologhe e professioniste che stanno raccomandando precauzione e prudenza al momento di curare bambine e adolescenti vulnerabili in un clima ostile, che insiste a medicalizzarle al più presto possibile. Fino ad ora, la maggioranza dei dottori e delle dottoresse hanno utilizzato, come lei, il modello “dell’attesa vigile”, in cui non si reprime né si rimprovera la persona minorenne mentre esplora la sua espressione di genere, il suo disagio con il suo sesso, e si lavora su quei fattori di problemi simultanei che menzionavamo all’ inizio di quest’ articolo. Quando la persona arriva all’età adulta, è libera di decidere di optare per i trattamenti ormonali, gli interventi chirurgici, o semplicemente di vivere con l’ espressione di genere che considererà adeguata per sé.

Però le pressioni, antidemocratiche e autoritarie, per seguire “il modello affermativo” di genere si intensificano. Si tratta di un modello che sprona qualsiasi persona adulta con un dovere di cura verso un o una minorenne (maestro, dottoressa, allenatori…) a stare attenta a qualsiasi indizio che dimostri “non conformità con il suo genere” della persona minorenne, e affermarla nel sesso contrario. Questo è un po’ strano, perché dimostrare “non conformità con il proprio genere” è il pane quotidiano della nostra infanzia, dato che questa sperimentazione è ciò che è naturale finché non si è interiorizzato il processo di socializzazione. Ma poche settimane fa, la riconosciuta Accademia Americana di Pediatria ha adottato una politica che promuove il modello affermativo, e insultato il modello a favore della prudenza su questo tema.

Afferma Ayad:

“Io capisco le pressioni che sentono le e i terapeuti da parte delle loro istituzioni perché facciano quel che è politicamente favorevole. Molte e molti hanno famiglie di cui sono responsabili e subiscono una pressione economica a “non mettersi nei guai”. Tuttavia, tutte e tutti abbiamo giurato di mantenere standard etici elevati, e continuare a promuovere il modello affermativo mina i nostri doveri morali e professionali. Io mi chiedo, a che serve avere una carriera di aiuto alle altre e agli altri se bisogna mentire tutti i giorni sul danno che gli si sta arrecando? E quale sarà l’impatto collettivo e cumulativo del mentire e tacere su questo, a lungo termine?”

Dobbiamo parlare di un’altra cosa che si consolida mediante il modello affermativo: l’ eteronormatività. Sotto questo modello, una bambina che rifiuta stereotipi di femminilità è trasformata in un ragazzo che aderisce agli stereotipi della mascolinità. L’Alleanza per i Diritti delle Lesbiche è un’ organizzazione che ha alzato la voce per mostrare la sua preoccupazione per l’ invisibilizzazione del lesbismo in quest’ emozionante rivoluzione del genere. In un comunicato, si è espressa così:

“Fino a pochi anni fa, alle bambine si permetteva di essere ‘maschiacci’: avere i capelli corti, usare pantaloni, giocare con giocattoli e attività considerate maschili, senza dover stare a sentire che dovrebbero cambiare il loro sesso. Molte di queste giovani si definiscono lesbiche quando arrivano all’ adolescenza. Questo non è più permesso. La formazione scolastica che gruppi transgender offrono nelle scuole sta insegnando al corpo docente che queste bambine e adolescenti stanno sperimentando una ‘confusione di genere’ e devono essere guidate e appoggiate perché si autodefiniscano maschi.

Adolescenti lesbiche che non aderiscono agli stereotipi di femminilità stanno subendo bullismo, venendo stigmatizzate, isolate e messe sotto pressione perché facciano la transizione sociale [cambiando nome e documenti], poiché essere un ragazzo trans è ora considerato un’ identità più positiva e più moderna. Possono essere incentivate a scuola, e dai loro pari, a usare bendaggi del seno, che arrecano problemi per respirare, tra altre complicazioni mediche. Vengono anche incentivate alla transizione medica, senza consultarsi con i genitori”.

Un’ adolescente lesbica che subisce bullismo per il suo orientamento sessuale e/o il suo rifiuto dei modelli della femminilità, sta crescendo in un ambiente che le dice che entrambi i fattori sono sintomi che lei è, in realtà, un uomo. L’ adolescente lesbica diventa allora il ragazzo eterosessuale, e in questo processo, l’ eteronormatività viene ristabilita. Tutte le amiche lesbiche di più di 45 anni con cui ho parlato di questo mi dicono esattamente la stessa cosa: “Raquel, se tutto questo stesse succedendo quando io ero adolescente, in questo momento sarei piena di ormoni e avrei subìto un’ isterectomia e una doppia mastectomia”.

La rivista Rolling Stone, come molti media di inclinazione progressista, si sorprende e vede con piacere che parti degli Stati Uniti dove c’è una grande concentrazione di settori conservatori e religiosi, abbiano “accettato” a braccia aperte che tanti bambini, bambine e adolescenti si dichiarino trans.

“In tutta la Bible Belt, l’infanzia transgender sta trovando accettazione e appoggio in zone tradizionalmente conservatrici”, narra la scrittrice Sarah Netter. “Vengono accolti a braccia aperte”. Non mi dica! Famiglie che griderebbero allo scandalo se il loro figlio le informasse di essere gay, si mostrano euforiche di fronte alla possibilità che il loro figlio gay sia una figlia eterosessuale? Questo non è accettazione, ma rifiuto verso tutto ciò che rompe con l’ eteronormatività.

Va precisato che è perfettamente coerente che una persona religiosa interpreti le cose in questa maniera, perché molte religioni contemplano e promuovono quest’ idea delle “anime femminili” (una donna è una donna perché ha un’ essenza femminile) e delle “anime maschili” (gli uomini sono uomini perché hanno un’ essenza maschile). Le incoerenti siamo noi, che in teoria non crediamo in anime stereotipate, ma ora stiamo difendendo i cervelli rosa e celesti, e più presto ammettiamo che su questo tema ci siamo sbagliate fino in fondo, più facile risulterà uscire da questo pasticcio.

Molte delle bambine e adolescenti che finiscono in “cliniche del genere” sono persone che hanno dimostrato un potenziale enorme. “Mi rattrista che le nostre ragazze più brillanti, creative e uniche vengano cooptate in questa voragine di confusione”, rimpiange Ayad. E’ una tragedia che vengano dirette verso un percorso che non allevierà i disturbi soggiacenti nelle loro nuove identità, e che probabilmente sviluppino un insieme di effetti secondari, e a vita, che li aggraverà.

La salute delle bambine e adolescenti che presentano disforia di genere si sta sacrificando sull’ altare della diversità e dell’ inclusività da parte di persone adulte che non analizzano la cosa con cautela, ed io mi chiedo: per compiacere chi?

Se analizziamo le politiche di identità di genere con calma, ci rendiamo conto che a subire l’ esclusione sono soprattutto le femmine, che vengono escluse ed esiliate dai loro stessi corpi. Perché tante bambine e adolescenti stanno ricevendo il messaggio che le loro personalità, nell’ immenso mare di possibilità che le riunisce, non entrano nel loro sesso? Perché tante bambine e adolescenti vogliono scappare da se stesse?

Onestamente, e qui tra noi, perché non dovrebbero volerlo? Che succede nella mente di una bambina quando si avvicina all’ adolescenza? In un sistema patriarcale, osserverà sé stessa come vista attraverso lo sguardo maschile. Si accorgerà che, perfino prima di entrare nella sua uniforme scolastica, milioni di uomini per il mondo l’ avevano già trasformata, lei, l’ adolescente in uniforme, nella loro fantasia sessuale e oggetto su cui masturbarsi. Entra nella fase in cui si accorge, usualmente in maniera inconscia, di passare, come essere umano, da soggetto a oggetto.

Una guida elaborata per le scuole in Inghilterra raccomanda che le bambine e adolescenti con disforia di genere, che stanno usando bendaggi del seno, devono avere accesso a pause extra durante le lezioni di educazione fisica, perché questi restringono il respiro:

“I bendaggi possono dare caldo, sono scomodi e restrittivi, ma molto importanti per il loro benessere psicologico. Può darsi che alcune lezioni di educazione fisica siano difficili, poiché provocano difficoltà di respirazione, problemi allo scheletro e svenimenti”.

Che un’ innumerevole quantità di bambine diventano autolesioniste quando l’adolescenza gli cade addosso come una pietra, lo sanno tutti. Lacerarsi, vomitare, mangiare poco o niente…quanto meno, meglio. Passare un giorno dopo l’altro ad alimentare un odio potente verso questo nuovo corpo con nuovi fianchi e nuovi seni, con sangue che esce da un canale che non si sa molto bene neanche come funziona e ovaie che richiedono attenzione, volente o nolente, ogni volta che provocano dismenorrea, è un avvenimento quotidiano in troppe famiglie. Fomentare odio per questo corpo che non appartiene più ad ogni bambina, ma al patriarcato e agli uomini che gli gridano dietro nella strada, è normale come respirare. E gli uomini che gli gridano dietro sanno perfettamente quanto loro odiano questo corpo, proprio perché piace a loro. E che loro sappiano che il tuo corpo esiste per il consumo altrui fa sì che tu lo odi molto, molto di più.

Quest’ ira non può uscire verso l’esterno perché quest’ adolescente, probabilmente, non sa né cos’è il patriarcato né come funziona: così, può solo canalizzarsi verso l’interno e interiorizzarsi. Tutto questo è vecchio. La novità è che, invece di prendere queste bambine e adolescenti per mano e accompagnarle, con compassione e pazienza, mentre navigano per una fase che sembra impossibile, per il mondo migliaia di persone adulte le stanno prendendo per mano e portando davanti alla porta di un chirurgo che promette di sistemarle una volta per tutte.

Attraverso la storia, la società ha saputo sempre cosa fare delle bambine e adolescenti “che presentano problemi”. Con quelle che escono dal controllo e creano confusione, perché non seguono i parametri. O, detto meglio, quelle che non sanno dissimulare bene come le altre, che non aderiscono alla femminilità. Le mandavano a vivere con parenti lontani, o in conventi, o le internavano in centri psichiatrici. “Lei non c’è più, l’hanno portata via”, dicevano le famiglie di quella problematica che aveva smesso di esserlo.

Quest’ articolo è dedicato alla reincarnazione moderna di queste bambine e adolescenti. Alle stesse che oggi ci dicono che siamo una spazzatura transfoba di merda, e che siamo tutte delle maledette vecchie già scadute perché moriremo presto, con tutto quest’ odio che portiamo dentro… anche loro, le stanno portando via. Ma prima o poi la maggioranza di loro tornerà, e porteranno con sé un’ immensità di domande e inquietudini. Quando lo faranno, cosa gli diremo?

ARTICOLO DI RAQUEL ROSARIO SÁNCHEZ, SPECIALISTA IN STUDI DELLA DONNA, DI GENERE E DI SESSUALITÀ E SCRITTRICE.
PUBBLICATO IN TRIBUNA FEMINISTA: QUI
TRADUZIONE DI IRENE STARACE