La violenza contro le donne riguarda tutte e tutti: ci riguarda come comunità. La violenza si combatte con la conoscenza. E la cultura del rispetto non è un traguardo, ma è un percorso. È attorno a questa consapevolezza che si è snodata la nostra riflessione, un viaggio attraverso la storia, il diritto, la sociologia e l’impegno civile.
Abbiamo ascoltato come questo tema sia rimasto a lungo sommerso, persino nella storiografia ufficiale, nascosto sotto una cortina di silenzio che solo la tenacia delle studiose è riuscita a bucare. Questo silenzio non è stato casuale, ma frutto di una civiltà che, come ci è stato ricordato dal pensiero filosofico, si è fondata anche sull’esercizio della violenza, storicamente giustificata dal patriarcato come strumento necessario per il mantenimento dell’ordine.
Portare la violenza fuori dalle mura domestiche, renderla un fatto pubblico e politico, è stata ed è tuttora una fatica improba. È un compito che richiede di “rifondare i saperi” e, prima ancora, di “trovare le parole”.
Le parole, infatti, sono sostanza. È emersa con forza la necessità di un linguaggio comune, che permetta a termini come femminicidio, odio, discriminazione e limitazione della libertà femminile di entrare a pieno titolo nel lessico giuridico. Abbiamo appreso che il diritto, spesso rappresentato come un’entità neutra, non lo è affatto: ha bisogno di evolversi per nominare la realtà e proteggere chi la subisce.
Ma l’analisi non si è fermata alle aule di tribunale. Lo sguardo si è allargato al ruolo fondamentale dell’indagine sociologica e dei media. La competenza scientifica e l’analisi dei dati sono strumenti imprescindibili: la conoscenza, è stato ribadito, agisce come antidoto. È essenziale monitorare come la stampa e l’informazione descrivono la violenza, per evitare quello “strabismo” causato da pregiudizi e stereotipi che distorcono la realtà dei fatti. Serve un approccio multidisciplinare per formare chi ha la responsabilità di raccontare il mondo, affinché la narrazione non diventi una seconda violenza.
Infine, questo percorso culturale approda alla responsabilità individuale. L’appello più vibrante è stato quello rivolto alle nuove generazioni, ai tanti ragazzi presenti: l’esortazione a “fare la propria parte”. Perché se è vero che l’analisi deve essere sistemica, è altrettanto vero che il cambiamento passa per le mani di ciascuno di noi. Ognuno può fare la differenza; ognuno, rompendo il silenzio e l’indifferenza, può contribuire a salvare delle vite.
In conclusione, ciò che emerge è che la lotta alla violenza non è un atto isolato, ma un movimento corale che unisce storia, linguaggio, diritto e società civile.
Perché la cultura del rispetto si costruisce ogni giorno, insieme.
Violenza sulle donne, i dati ISTAT 2025
Il quadro che emerge è quello di un fenomeno strutturale e drammaticamente stabile, che colpisce milioni di donne in Italia, con un preoccupante aumento tra le giovanissime, nonostante una crescita nella consapevolezza.La violenza contro le donne in Italia nel 2025 è un fenomeno che non accenna a diminuire nei numeri, ma cambia nella percezione. Se da un lato le donne sono più pronte a riconoscere la violenza e a lasciare partner abusanti, dall’altro l’aumento delle aggressioni tra le più giovani indica che l’educazione affettiva e il cambiamento culturale sono ancora obiettivi lontani.
Il quadro generale: dimensioni del fenomeno
Secondo le stime preliminari ISTAT 2025 (riferite a donne italiane tra i 16 e i 75 anni), la violenza di genere rimane un’emergenza diffusa:
- 6 milioni e 400mila donne (31,9%) hanno subito violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita (dai 16 anni in poi).
- Violenza Fisica: colpisce il 18,8% delle donne (circa 3,7 milioni). Include minacce, schiaffi, calci, fino a tentativi di strangolamento o uso di armi.
- Violenza Sessuale: colpisce il 23,4% delle donne. Comprende molestie fisiche (19,2%), rapporti indesiderati, fino allo stupro o tentato stupro (5,7%, pari a circa 705.500 donne).
Il rapporto scardina lo stereotipo dell’aggressione avvenuta per mano di sconosciuti in vicoli bui. La maggior parte delle violenze gravi avviene all’interno di relazioni affettive o di conoscenza.
- Partner ed ex partner: Sono responsabili della maggior parte delle violenze fisiche e sessuali più gravi.
- Il 12,6% delle donne ha subito violenza all’interno di una relazione di coppia.
- Oltre alla violenza fisica, i partner esercitano violenza psicologica (17,9%) ed economica (6,6%).
- La pericolosità degli Ex: la separazione è il momento più critico. Il 18,9% delle donne con un ex partner ha subito violenze da quest’ultimo (spesso persecuzioni o stalking), contro il 2,8% da parte di partner attuali.
- Estranei e conoscenti: il 26,5% delle donne ha subito violenza da non partner (amici, colleghi, parenti). Gli sconosciuti sono responsabili prevalentemente di molestie sessuali (58,7% dei casi), ma raramente di stupri.
Il dato sugli stupri è allarmante e conferma la matrice relazionale della violenza:
- 63,8% degli stupri è commesso da partner o ex partner.
- Solo il 6,9% degli stupri è opera di estranei.
- Nuova rilevazione 2025: l’1% delle donne ha subito stupro in stato di incoscienza (droga/alcol), perpetrato quasi sempre da uomini conosciuti (ex partner o amici).
Tendenze:
Confrontando i dati con il 2014, emergono due tendenze opposte:
- Cosa preoccupa:
- I numeri totali sono sostanzialmente stabili: non c’è stata una diminuzione significativa delle vittime.
- Allarme giovani: si registrano importanti aumenti di violenza subita dalle giovanissime (16-24 anni) e dalle studentesse.
- Segnali di cambiamento:
- Maggiore consapevolezza: le donne riconoscono di più il reato e cercano più spesso aiuto presso i Centri Antiviolenza, le forze dell’Orrdine, le associazioni e i loro centri di ascolto.
- Miglioramento nelle coppie attuali: diminuiscono le violenze subite dai partner attuali, segno che le donne tollerano meno e interrompono prima le relazioni tossiche (il 45,9% lascia il partner proprio a causa delle violenze).
- Denunce: rimangono stabili e basse (10,5%), confermando la difficoltà di affidarsi alle autorità giudiziarie.
di Isa Maggi – Stata generali delle Donne

