26 novembre 2019, il giorno dopo. E' ora di cambiare rotta?

da | Nov 26, 2019 | Donne e violenza di genere

di Isa Maggi

 

 

Ieri, 25 novembre, giornata per tutte noi molto intensa, dedicata a momenti di sensibilizzazione sul fenomeno della violenza maschile di genere.

Due momenti per noi degli Stati generali delle donne molto importanti. Il primo, nel pomeriggio, l'inaugurazione della #panchinarossa a Montecitorio e per questo ringraziamo il Presidente Roberto Fico e la Vicepresidente Maria Edera Spadoni.

Il secondo, l'accordo con Unioncamere e con il sistema camerale italiano che in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ha voluto promuovere una serie di incontri di approfondimento in moltissime città italiane sul tema della condizione femminile, con particolare riguardo alla partecipazione al mercato del lavoro e alla creazione di impresa.

Un’opportunità che ad oggi è stata colta da numerose Camere di Commercio, che già dai giorni scorsi, e poi nelle prossime settimane sono impegnate in specifici appuntamenti per illustrare il progetto, coinvolgendo e sensibilizzando anche giovani, imprese e cittadini/e.

Il progetto Panchine rosse, diffondendo le panchine sul territorio, lancia un monito contro la violenza sulle donne e si fa carico dell’urgenza di realizzare la parità di genere. Un modo, quindi, per alimentare un processo di consapevolezza nella società, dove ancora molte donne sono vittima di discriminazioni o di soprusi, ma anche per prendere coscienza e valorizzare la presenza femminile e le pari opportunità nei luoghi di lavoro e nell’impresa.

E poi #panchinerosse nei Conventi, in tantissimi Comuni, alcune per ricordare donne uccise come a Garlasco, in provincia di Pavia, per “non dimenticare” Chiara Poggi e a Napoli per ricordare Tiziana Cantone. In entrambi i luoghi erano presenti le mamme, “donne coraggio” che stanno elaborando il loro dolore aiutando tante altre donne.

Ma anche in Argentina, in Messico, in Spagna le #panchinerosse sono diventate il simbolo delle azioni di contrasto verso la violenza di genere, per non dimenticare le vittime e sono diventate luogo di ascolto e di riflessione per tutta la collettività.

Ma dopo la pubblicazione avvenuta proprio ieri dei dati Istat su cosa pensano gli italiani e le italiane del fenomeno della violenza è ancora più necessario agire e sottolineare che la violenza contro le donne non è la conseguenza di follia, raptus, separazioni, gelosie, ma è soprattutto il risultato della dipendenza relazionale, della incapacità a gestire i conflitti, della incapacità a controllare la rabbia e l'aggressività, è il risultato di atteggiamenti ostili alla parità di genere e favorevoli al dominio maschilista patriarcale.

Lo scorso 19 novembre ha avuto luogo l’audizione dell’Istituto nazionale di statistica presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e sulla violenza di genere. Nel corso dell’incontro sono emersi segnali inequivocabili di un sentire ancora troppo diffuso che fiancheggia di fatto alcune forme di violenza. Nel documento originato dall’audizione e reso pubblico leggiamo che “il 25,4% delle persone (27,3% tra gli uomini e il 23,5% tra le donne) ritengono accettabile il controllo dell’uomo delle attività della compagna o la violenza contro di lei tramite schiaffi. Inoltre, il 31,5% delle persone ritiene che le donne che non vogliono un rapporto sessuale riescono a evitarlo e il 23,9% che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire”.

L'Italia continua a non essere un Paese per donne (e dai dati emerge che anche le donne fanno la loro parte nella non comprensione del fenomeno in atto.)

Nei giorni scorsi la Polizia di Stato ha presentato a Milano il rapporto “Questo non è amore 2019” che fa il punto sul fenomeno della violenza sulle donne. Si è passati dal 37% di femminicidi sul totale delle vittime di sesso femminile del 2018, al 49% nel periodo gennaio-agosto 2019.

Dal 2012 ad oggi sono state 870 le donne uccise dal partner, da colui che dovrebbe declinare il sentimento in gesti di protezione.

Ogni giorno in Italia 88 donne subiscono atti di violenza. Vittime italiane in altissima percentuale (l'80,2 per cento dei casi) con carnefici italiani nel 74 per cento dei casi.

Ogni 15 minuti in Italia una donna subisce violenza.

Nell'82 per cento dei casi chi fa violenza su una donna ha le chiavi di casa: maltrattamenti, atti di stalking, violenze sessuali e percosse sono commessi nel 60 per cento dei casi dal partner o dall'ex partner.

Gli ultimi dati ISTAT riportano che quasi 7 milioni di donne italiane dai 16 ai 70 anni hanno subito almeno una volta nella vita una forma di violenza: nel 20,2% dei casi è stata violenza fisica, nel 21% violenza sessuale e nel 5,4% violenza sessuale grave, come stupro e tentato stupro.

Un dramma, una “emergenza pubblica”, come l'ha definita il nostro Presidente Mattarella.

Una notizia positiva: finalmente, il Ministro dell’Economia Gualtieri ha annunciato l’emanazione nei prossimi giorni del decreto ministeriale per attivare l’accesso alle risorse per gli orfani di femminicidio, con il conseguente sblocco dei soldi.

Sul “codice rosso” le nostre perplessità si stanno rivelando concrete, le Procure sono intasate e molte donne raccontano di infiniti interrogatori, contro le raccomandazioni del divieto di rivittimizzazione cosi chiaramente espresso nella Convenzione di Istanbul. Alcune anomalie dovranno essere riviste e corrette alla luce dell'applicazione sul campo.

Rimangono aperte due questioni fondamentali:

– il tema del lavoro, le donne vittime di violenza hanno la necessità di riacquisire la propria stima e di rigenerarsi attraverso il lavoro e la propria autonomia economica.

Questa parte di accompagnamento, di formazione e di analisi non può essere il frutto di semplificazioni e di improvvisazioni, occorre affidare il servizio a strutture in grado di svolgere queste azioni con competenza.

2- la questione abitativa: non ci sono case e posti letto sufficienti, cosi come la Convenzione di Istanbul ci chiede. Secondo le Convenzioni internazionali ogni Paese dovrebbe essere dotato di un centro antiviolenza ogni 10.000 abitanti: in Italia siamo allo 0,05 ogni 10 mila residenti.

Abbiamo avuto modo , nei giorni scorsi, di scrivere che le case di accoglienza per le donne vittime di violenza e in fragilità economica e sociale sono beni comuni.

Il progetto che stiamo ideando, nasce con l'obiettivo di stimolare una riflessione collettiva sul valore sociale delle donne e promuovere un cambiamento nei comportamenti per la risoluzione concreta dei problemi generati dalla violenza.

Ci siamo battute per anni per attivare sempre più case di accoglienza per donne e case rifugio, adesso il modello che vogliamo attivare, senza scartare eventuali forme usuali di contributo da parte di Regioni e di Ministeri, è un modello di gestione sostenibile delle case per le donne, dove si genera lavoro, buona occupazione di qualità e soprattutto un luogo dove potersi rigenerare personalmente e professionalmente.

Saranno necessari investimenti nelle strutture che verranno messe a disposizione da realizzare con forme di “Social Capital”, diffuso e distribuito sui territori.

Mobilitare gli investimenti rapidamente e su vasta scala sarà una sfida per noi donne.

Occorre un grande coordinamento nazionale per la trasformazione “rosa” del sistema di accoglienza per le donne in fragilità, vittime di violenza, incentrata sulla trasformazione strutturale di edifici inusuali messi a disposizione e sul loro recupero ambientale.

Si tratta di un modello significativo che determinerà la creazione di occupazione e potrà innescare progressi sociali e di valorizzazione territoriale, una vera trasformazione produttiva “rosa”.

Progetto per progetto andremo a cercare soluzioni in ogni parte d'Italia per creare un'opportunità unica di transizione verso un'economia al femminile di soluzione al dramma della violenza maschile di genere, su basi concrete.

Il modello in fase di studio ha il potenziale per generare benessere per le donne e i loro bambini accolti nelle strutture e un reddito.

Garantire lo spazio politico per intraprendere questo progetto sarà il prerequisito per incoraggiare le donne a credere che un cambiamento è possibile e generare azioni collettive di sostegno ai progetti.

Molto resta da fare.

Lo dobbiamo ad Ana Maria, uccisa tre giorni fa a Partinico dopo aver confessato al partner di essere incinta.Lo dobbiamo a tutte le vittime: Chiara, Cinzia, Rosalba, Giulia….

Lo dobbiamo a noi stesse e alla nostra dignità.