Il nuovo parlamento iraniano che terrà la sua seduta inaugurale il prossimo 27 maggio avrà più donne che religiosi. Diciassette donne, infatti, tra venti giorni occuperanno uno dei 290 seggi del majlis, contro i sedici religiosi eletti nella seconda tornata elettorale di venerdì 29 aprile.
I risultati ufficiali diffusi sabato hanno mostrato un dato chiaro e incontrovertibile: i candidati riformisti e moderati alleati con il presidente Hassan Rouhani hanno riportato una significativa vittoria, superando per numero di seggi i loro rivali conservatori. Ciò non accadeva dal 2004.
A fare da cornice a questa importante conquista, la nomina di un numero cospicuo di donne, quasi tutte provenienti da ambienti riformisti, che costituiranno il 9 per cento della rappresentanza totale di parlamentari nel majlis. Un dato, quest'ultimo, considerato alto per la Repubblica Islamica, soprattutto se confrontato con l'uscente parlamento che contava solo nove deputate, esplicita espressione dell'ala conservatrice.
Il calo del numero di religiosi: le ragioni
Il graduale calo del numero di religiosi nel parlamento iraniano è iniziato dopo la Rivoluzione islamica del 1979. Il declino di una rappresentanza clericale in parlamento può essere ricondotta a due fattori.
In primo luogo il dissiparsi del fervore rivoluzionario alla fine del 1980 ha influito notevolmente. In origine, il clero era considerato il principale pilastro della Rivoluzione Islamica, e in quel contesto specifico il padre della Rivoluzione islamica, l'Ayatollah Khomeini, aveva promesso al popolo iraniano di mantenere quest'ultimo lontano dalla scena politica. Ma così non è stato.
Diversi religiosi si sono poi mischiati alla politica assurgendo a ruoli politici di primo piano, perdendo così la loro aura morale irreprensibile. Se nel primo e nel secondo parlamento i religiosi conquistarono rispettivamente il 50 e il 55 per cento dei seggi, in quelli successivi persero notevolmente numeri.
In secondo luogo, la crescente tendenza alla de-clericalizzazione registrata negli ultimi tre decenni è da attribuirsi anche a un cambio generazionale. È emersa di fatto una nuova generazione di elettori con pochi legami emotivi con la rivoluzione e i suoi ideali. L'evoluzione delle preferenze negli elettori ha costretto molti esponenti del clero – candidati a cariche politiche – a evidenziare nelle loro campagne elettorali maggiormente le loro qualità professionali, piuttosto che il pedigree religioso.
Ma la rappresentanza clericale è diminuita in maniera significativa dopo le elezioni per il rinnovo del terzo majlis (1988-1992). Da allora i religiosi hanno continuato a perdere terreno politico nelle varie legislature.
Tuttavia, è importante sottolineare come i religiosi continuino a rappresentare tutti e tre i rami del governo. Il Consiglio dei Guardiani è un organismo di dodici membri, composto per metà da esponenti religiosi. Il capo della magistratura incaricato dal leader supremo è scelto fra il clero. L'Assemblea degli esperti, cui spetta la supervisione dell'operato della Guida Suprema, nonché la sua nomina, è un organismo elitario clericale.
Oltre a esercitare un'elevata influenza nelle istituzioni politiche, i religiosi hanno una notevole rappresentanza nelle Guardie Rivoluzionarie, ossia il braccio militare del governo di Teheran.
Il caso di Minoo Khaleqi
Sul numero effettivo di donne elette nel decimo parlamento iraniano aleggia un piccolo giallo, intorno alla figura della 30enne Minoo Khaleqi, deputata riformista, attivista ambientale e dottoranda in Giurisprudenza.
Khaleqi, figlia di un ex ministro dell'ex presidente riformista Khatami, il 26 febbraio era stata eletta nel collegio di Isfahan, conquistando il terzo di 5 seggi. Ma il 20 marzo, in coincidenza con il capodanno persiano (Nowruz), i suoi 193.399 voti erano stati cancellati su decisione del Consiglio dei Guardiani.
Secondo voci diffuse dai media locali, dietro questo annullamento ci sarebbe l'accusa rivolta alla donna, responsabile secondo alcuni, di aver stretto la mano a un uomo mentre si trovava in viaggio all'estero e di non essersi coperta il capo con il tradizionale hijab.
(Nella foto la prima pagina di Sharvand newspaper che mostra i volti delle 17 donne elette nel decimo parlamento iraniano)