L’associazionismo, quello che noi oggi chiamiamo “terzo settore”, ha le sue vere radici negli Stati Uniti d’America. Figlio di quella “nuova società”, che si era evoluta in un contesto multietnico e multirazziale, era frutto della straordinaria immigrazione proveniente da tutte le parti del “vecchio mondo”, che in quel contesto creò una società libera, senza gli orpelli di regnanti e nobili, che invece continuavano a connotare l’Europa alla fine del ‘900. Fu però uno studioso europeo, Alexis de Tocqueville, francese di nascita e pure nobile, ad analizzare la nascita e l’evoluzione dell’Associazionismo, mettendo a confronto in modo preciso l’enorme differenza che caratterizzava il contesto sociale del nuovo mondo se rapportato al vecchio.
Questo studio, divenuto un libro-diario che al rientro di Tocqueville in Europa circolò con il titolo di “La democrazia in America”, contribuì sicuramente a far attecchire il seme del volontariato anche in Europa. Oggi il settore dell’associazionismo No-Profit, definito Terzo settore, è sicuramente una colonna importante del welfare. È definito “terzo settore” in quanto si differenzia dal Primo, lo Stato, che eroga beni e servizi pubblici, e dal Secondo, il mercato o settore profit, che produce beni privati, andando a completare e sostenere quei campi “scoperti” che sfuggono sia al primo che al secondo, venendo incontro ai bisogni personali ed alle esigenze delle categorie deboli, impossibilitate ad accedere agli strumenti del mercato, e neppure ad usufruire della mano pubblica.
Questa mia riflessione, non vuole certo affrontare la storia e l’evoluzione delle strutture socioassistenziali e di volontariato in genere, ma analizzarne solo alcune problematiche, comuni alla gran parte delle Associazioni, e riferite sia alla loro struttura organizzativa che al loro funzionamento.
Lo faccio da “appartenente” ad alcune associazioni sia a San Marino che in Italia, e quindi dopo essermi resa conto di persona delle ragioni e dei motivi che sono alla base di determinate regole della loro vita sociale. Il problema, certamente il più importante per la conduzione di una associazione, è la sua rappresentanza, ovvero la struttura di gestione e comando, che deve far in modo che essa duri e si perpetui nel tempo. Partendo dal presupposto che la gran parte degli appartenenti alle associazioni è costituita da persone entrate a farne parte volontariamente, e che conseguentemente non ci sono né traguardi personali da raggiungere, carriere o retribuzioni, ci sarà chi, per un determinato periodo farà il Presidente, chi il Vice, chi il Segretario, il Tesoriere, il Consigliere del Direttivo e così via. La durata dell’incarico può essere varia, da un anno a più anni, ma certamente con il fondamento basilare della regolare rotazione.
Non so a quanti, questo sistema di parità ed uguaglianza, possa calzare a pennello: lo condivido e sottoscrivo senza se e senza ma, perché ritengo che sia la formula più giusta possibile. Cerco di chiarire i motivi di questo mio convincimento. Per farlo parto da un concetto che, esulando dalla logica profit, entra proprio nel suo contrario: il no-profit. No-profit che, nella mia visione di servizio, significa proprio operare senza trarne benefici o vantaggi personali; quindi, il fatto che il gruppo mi abbia scelto per fare temporaneamente il Segretario, il tesoriere o il Presidente, o il responsabile di una commissione, significa che mi ha considerato capace di farlo (e per me questo dovrebbe costituire un grande motivo di orgoglio), ma anche che – alla scadenza del mandato – devo rientrare nei ranghi e riprendere, come prima e più di prima, il mio ruolo di servizio per cui sono entrata a farne parte.
Chi entra in un’associazione sa che il suo motto operativo è “servire, impegnarsi per il raggiungimento delle finalità statutarie al di sopra dell’interesse personale”, espressione che esprime, in modo chiaro, che chi entra a farne parte deve farlo non per avere vantaggi o servigi, ma per dare, per offrire la sua competenza e la sua professionalità agli altri, senza nulla chiedere in cambio. Faccio parte di associazioni dagli anni Ottanta del secolo scorso. In questo non breve periodo, ho svolto praticamente diverse mansioni: Presidente e socio fondatore del Soroptimist nel 1989, coordinatore a San Marino per la Fondazione Marisa Bellisario dal 1994, Presidente e socio fondatore del Kiwanis nel 2002, dal 2015 Segretario Generale dell’Associazione San Marino-Italia eletta Presidente per il triennio 2020-2023.
Credetemi, al termine di ogni incarico, non ho mai avuto problemi a riprendere il ruolo di socio del club o a dimettermi nell’impossibilità di una costante ed attiva partecipazione. Pensate che questa mia logica sia difficile da accettare? Non è difficile, basta pensare sempre che siamo tutti utili ma nessuno è indispensabile, e che, se siamo coerenti, accettando di far parte di una libera associazione di servizio, dovremmo entrare per servire, non per servircene.
di Elisabetta Righi Iwanejko