di Elena Scalabrin
1. L’aborto in America latina
Il 22 febbraio di quest’anno la Corte costituzionale colombiana ha depenalizzato l’aborto fino alle 24 settimane di gestazione e spostato l’aborto all’interno del diritto alla salute e all’autodeterminazione della gestante. Si tratta di una sentenza storica per il Paese, che dal 2006 legittimava l’aborto solo in caso di rischio per la salute fisica o mentale della gestante, in caso di gravidanza risultato di violenza o di malformazioni del feto che non permettano la vita fuori dall’utero. Ma la sentenza è storica anche a livello internazionale, in quanto fa entrare la Colombia nel ristretto numero di Stati latino-americani e non solo che permettono l’interruzione volontaria di gravidanza in un largo spettro di possibilità. Per avere un quadro generale, basti guardare l’immagine sottostante, già usata nell’analisi di Isabella Bourlot, in cui l’unico aggiornamento riguarda la Colombia.
Figura 2: Mappa della liberalizzazione dell’aborto, datata 2021.
Ma andiamo per gradi. Oltre all’Argentina, di cui si è occupata la collega, fino all’anno scorso solo Cuba, Uruguay, Guayana, i territori francesi d’oltremare e Porto Rico permettevano di abortire entro una certa tempistica. In Messico la situazione si sta evolvendo negli ultimi anni, ne parleremo più avanti. Molti Stati vietano totalmente l’aborto: El Salvador, Honduras, Nicaragua, Repubblica Dominicana, Haiti e Suriname. Gli altri prevedono sostanzialmente l’illegalità dell’interruzione volontaria di gravidanza tranne per determinati motivi. Quest’anno la Colombia si è unita alla marea verde del movimento pro-aborto nella Regione, con una sentenza che permette un lasso di tempo molto ampio per abortire liberamente. Per informarsi sul contesto storico e sociale della Regione, riferirsi all’analisi della collega.
In generale, il Centro America è l’area dove l’aborto è meno sicuro in tutto il continente. Si registra il 18% di interruzioni di gravidanza sicure contro il 99% degli USA e del Canada.Si stima che dal 2010 al 2014 6,5 milioni di gestanti abbiano indotto l’aborto, con 760 mila casi annui di complicazioni per l’operazione non sicura. Si tratta di un dato significativo soprattutto considerando che per esempio in Colombia le complicanze dovute all’aborto illegale sono la quarta causa di morte di materna.
A livello regionale, è bene considerare alcuni aspetti. Prima di tutto, stigma e pregiudizi sono presenti in tutte le società coinvolte e spesso chi è denunciata per aborto, spesso da parte del personale medico o sanitario, fa parte delle classi più povere, o in quanto minore o perché non guadagna abbastanza, per poca istruzione, perché appartenente ad una categoria marginalizzata (per esempio i popoli nativi) e per questimotivi è soggetta a discriminazione Per questo, rimuovere gli ostacoli istituzionali e culturali all’educazione sessuale e ai contraccettivi, difendere dalla violenza, assicurare un aborto degno, sicuro e responsabile e l’accesso a servizi di maternità, così come la giustizia contro l’aborto forzato sono tutti passi necessari per una cittadinanza libera e famiglie sane, che costruiscono un Paese in crescita e benessere.
Figura 3: Di aborto illegale muoino soprattutto donne vulnerabili. (credit labottegadelbarbieri)
Come secondo punto, è dimostrato che gli aborti sono tanto più sicuri quanto più le leggi sono libere, così come la mortalità materna è maggiore con l’aumentare delle restrizioni. Va da sé che criminalizzare l’interruzione volontaria di gravidanza costa allo Stato sia in termini di possibili morti sia come sistema sanitario, in quanto spesso aborti illegali fatti in centri non sicuri causano complicanze da guarire (possibilmente) in strutture adeguate. A questo proposito, è consigliabile prevedere un approccio sicuro e olistico, che inizi dall’accesso diffuso e gratuito agli anticoncezionali e segua tutto il percorso fino all’assistenza durante il parto.
Guardando agli aspetti positivi, come previsto dalla collega, in Cile l’Assemblea costituente ha promosso un articolo sui diritti sessuali e riproduttivi che al suo interno liberalizza l’aborto in ogni circostanza, ma bisognerà aspettare luglio, quando i lavori cesseranno e il popolo dovrà votare la nuova costituzione. Dal 2018 al 2020, infatti, gli aborti legali nel Paese sarebbero stati 1.827, un numero che dimostra quanto l’apertura legale del 2017 sia insufficiente.
2. Il caso Messico
Prima di concentrarci sull’oggetto dell’analisi, la Colombia, dedichiamo del tempo ad un caso particolare nella regione: il Messico. Qui l’aborto è legale in modo differenziato a seconda da stato a stato, ma la situazione ha accelerato ultimamente. A ottobre 2021 la Corte suprema ha depenalizzato l’aborto nello stato federato di Coahulia e ha ritenuto incostituzionali le leggi sulla vita umana dal concepimento, ma bisogna aspettare evoluzioni future per verificare l’adattamento dei singoli dipartimenti. Ad oggi, su 32 stati federati messicani, l’aborto è contemplato in modo diverso da stato a sato. Ossia, è libero: in 4 stati fino a 14 settimane (Città del Messico, Oaxana, Veracruz e Hidalgo); ovunque in caso di violenza; in 29 stati in caso di aborto imprudente o colposo; in 16 in caso di pericolo di salute per la gestante; in 16 in caso di gravi malformazioni del feto; in 15 in caso di inseminazione artificiale non consensuale e in 2 per motivi economici.
Si considera che dal 2007 al 2016 siano state presentate 4000 denunce per aborto in tutto il territorio nazionale, di cui 228 hanno ricevuto sentenza, con un totale di 138 incarcerazioni, che dovrebbero durare dai 15 giorni ai 6 mesi secondo lo stato federato di competenza. Ricordiamo che stigma e stereotipi sono presenti nella società e nelle istituzioni e vanno sconfitti. A questo proposito, la marea verde del movimento pro-aborto iniziato in Argentina si sta espandendo in tutta l’America latina e lascia ben sperare.
3. Colombia, avanguardia
Per ribadire quanto l’aborto in America latina e in Colombia sia una questione di classe, secondo Human Rights Watch, in Colombia dal 1998 al 2019 il 34% dei processi per aborto vedeva imputate dipendenti domestiche e nel 2013 gli aborti con complicanze erano il 33%, ma la stima arrivava al53% nel caso di gestanti povere.
Queste evidenze dimostrano che passare ad un provvedimento così aperto può salvare molte vite, come spiegano altri dati. Si stimano 828 morti per aborto che dal 2005 al 2017, a cui vanno sommati i numeri sommersi, essendo spesso casi di interruzione di gravidanza illegale. Nel solo anno 2008 si contarono 400 mila aborti, di cui solo 322 legali. Senza contare la disinformazione diffusa e il fatto che i medici tendevano a dilatare i tempi prima di intervenire, mettendo ulteriormente a rischio la vita delle pazienti. Per un aborto illegale la pena sarebbe da 1 a 3 anni di carcere e il 25,2% delle detenute per questo reato nel 2019 erano minorenni.
Figura 4: Contro le gravidanze di minori. (credit reporteindigo)
La decisione della Corte costituzionale è chiara: “a partire dalle 24 settimane, la donna potrà essere perseguita penalmente se realizza un aborto che non rispetti i tre motivi” (violenza, salute fisica o psicologica della gestante, feto inadatto alla vita fuori dall’utero), riporta France24. La richiesta di revisione della legge del 2006 è stata presentata dalla campagna Causa justa, che ingloba vari movimenti femministi colombiani, e le motivazioni riportate nell’articolo sono le seguenti: evitare il carcere alle gestanti che pratichino aborto dato che è un diritto, evitare il carcere al personale medico e sanitario che le supporti, evitare le maternità imposte che impediscono l’autonomia e l’autodeterminazione della gestante e la sue decisioni riguardo il proprio corpo e che compromettono il suo progetto di vita. Come risulta evidente, si è tenuto conto dell’impatto che una gravidanza portata a termine può avere nel lungo periodo nella vita delle persone coinvolte, superando il qui e ora e considerando anche le categorie vulnerabili o marginalizzate o in senso ampio estendendo il diritto di autodeterminazione sia al proprio corpo che al progetto di vita. Si può considerare un passo avanti enorme per la Colombia e per l’America latina tutta.
Come ricorda un altro articolo della stessa emittente, secondo l’ordinamento colombiano, se durante un processo penale entra in vigore una norma più favorevole o che cancella il crimine, il processo si può annullare e nel caso di sentenza emessa si può rivedere, altro aspetto positivo non scontato.
Come anticipato, la decisione della Corte costituzionale, pur non cancellando del tutto il reato, sposta l’aborto all’ambito del diritto alla salute, che è fondamentale e indipendente. Nello specifico, l’aborto rientra nell’ambito della tutela dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne, soprattutto in un’ottica di genere e protezione dalla violenza; sancisce la protezione della vita della gestante durante la gravidanza e la libertà di coscienza della gestante e prevede il diritto all’uguaglianza, quindi il contrasto alla discriminazione.
Aspetto non indifferente, soprattutto in un’ottica di garantire efficacemente il diritto all’aborto legale, è l’obbligo del personale medico di prestare questo servizio e in caso di obiezione di coscienza l’obbligo di indirizzare la gestante a professionisti che sappiano e vogliano prestare tale servizio.
4. Resistenze
Nonostante l’Argentina, in parte il Messico e da quest’anno la Colombia stiano trasformando l’America latina e abbiano ascoltato la marea verde del movimento abortista dei pañuelos verdes (i foulard verdi simbolo delle manifestazioni), la regione resta fortemente ostile alle donne.
A riprova della difficoltà di rendere libero e sano l’aborto in tutta l’area, citiamo il caso di Cuba, che nell’ultimo anno ha provato due volte ad approvare una riforma del sistema penale che liberalizzasse l’interruzione di gravidanza almeno nei tre casi più comuni nelle legislazioni della regione (la violenza, le possibili ripercussioni fisiche o psicologiche sulla gestante, il feto non adatto alla vita fuori dall’utero), ma entrambe le volte la legge è stata bloccata. La prima volta, era prevista una riforma più ampia del Codice penale, mentre la seconda, a gennaio 2022, ci si era concentrati sull’aborto. Questo nonostante lo Stato detenga il maggior tasso di gravidanze tra minori del continente e la legge preveda due anni di carcere per le gestanti che abortiscano e venti per il personale medico o sanitario che le supporti.
Un altro Stato che oppone resistenza alla marea verde iniziata in Argentina è El Salvador, condannato il 1° dicembre 2020 dalla Corte interamericana dei diritti umani per il caso Manuela, condannata a 30 anni di carcere per aver subito un aborto a causa di un’emergenza ostetrica. La donna era povera, poco istruita e viveva in una zona rurale, dato che conferma quando l’aborto non sicuro spetti soprattutto alle fasce vulnerabili della popolazione.
Figura 5: Illustrazione a supporto del caso Manuela. (credit aldianews)
Nella sua decisione, che crea un precedente e un punto di riferimento per tutta l’America latina, la Corte ha sottolineato punti importanti, trasversali a tutta la regione. Il primo è la necessità di un’educazione sessuale e riproduttiva. Il secondo riguarda il comportamento che il personale medico e sanitario deve tenere. Innanzitutto, l’obbligo del segreto professionale va rispettato e di conseguenza si condannano le frequenti denunce fatte dal personale medico. In secondo luogo, la Corte ricorda di non sottoporre le pazienti a pratiche discriminanti come domande indiscrete e giudizi.
La Corte ha ordinato a El Salvador di modificare le proprie politiche per impedire che storie come quelle di Manuela si ripetano. Il tempo dimostrerà se lo Stato eseguirà la sentenza.
Come se l’opposizione istituzionale all’aborto non fosse un ostacolo abbastanza massiccio, esiste anche una rete di centri antiaborto che si fingono a favore della pratica. Questi centri sono legati al gruppo cristiano conservatore Heartbeat International, fondato nel 1971 negli USA. Non si tratta di centri illegali di per sé, poiché l’illegalità emerge nelle tecniche subdole che usano: si spacciano per cliniche dove abortire in sicurezza e segretezza e invece forniscono informazioni false gravi, chiedono dati personali e prevedono protocolli assurdi (per esempio la firma dell’uomo per il consenso all’aborto, anche in caso di violenza. Una volta che la gestante porta a termine la gravidanza e partorisce, la abbandonano, lasciandola a sé stessa e senza risorse. Non a caso, in America latina esiste il fenomeno dei figli abbandonati, subito o dopo anni.
Il dato peggiore è che questi centri sono diffusi in tutto il mondo: si contano 2.850 organizzazioni legate ad Heartbeat International, di cui 70 centri di assistenza alle donne in Messico, e innumerevoli sparsi in Argentina, Colombia, Costa Rica ed El Salvador.
Nonostante strenue resistenze soprattutto negli Stati più conservatori e ad opera dei centri legati ad Heartbeat International, la marea verde sta avanzando rapidamente: nel giro di due anni tre nazioni cruciali hanno imposto un cambio di rotta al subcontinente e altre sono in fermento. Il prossimo appuntamento certo è a Santiago, in Cile, quando si voterà la nuova Costituzione.
fonte Amistades info