di Maria Fabbricatore
Di abusi sessuali sulle suore si parla da anni. Molte le inchieste giornalistiche tra silenzio e la paura….
Abusi sessuali sulle suore. Dialogo con una Madre Badessa di RomaMercoledi, 12/02/2020 – La pioggerellina d’inverno copre il rumore dei passi e rende il Monastero ovattato, più di quanto sembri, al nostro arrivo. Il suono soffocato di una chiave apre il grande portone chiuso dall’interno. La voce sottile della Madre Badessa ci accoglie dentro le mura di quello che fu un tempo un grande complesso con scuole e altri servizi aperti al quartiere di una grande periferia romana. Ci salutiamo cordialmente, la Madre Badessa conosce il motivo della nostra visita. Abusi sessuali, stupri, sfruttamento, violenze insopportabili sulle suore da parte di preti e vescovi. Le nazioni coinvolte son tante, più di quelle che possiamo immaginare, e cresce di anno in anno, da quando negli anni ’90 fu denunciato dal settimanale statunitense National Catholic Reporter con la pubblicazione di documenti riservati, redatto da religiosi per religiosi, denunciate da sr. Maria Marie McDonald, luogo l’Africa e Roma, con la diffusione dell’Aids, sempre più frequente nei preti che si recavano in quelle regioni che chiedevano disponibilità sessuali alle suore, perché ritenute più “sicure”.
Si recepiva in modo chiaro che si trattava di una strage. Di suore sottomesse agli abusi di preti e vescovi, di violenze ripetute nel tempo, di aborti anche multipli per non rovinare carriere dei preti o vescovi. Di gridi di aiuto non ascoltati, anzi senza nessun supporto da parte del clero. Oggi le denunce non si contano più. L’eclatante gesto delle dimissioni della direttora Lucetta Scaraffia dopo la denuncia sulla rivista Donna Chiesa Mondo delle scorso anno, ha aperto il vaso di pandora.
Una delle risposte al problema è stato poi il numero dello scorso 26 gennaio di Donna Chiesa Mondo dedicato agli abusi subiti, sessuali e di potere. Un blando palliativo per una ferita profondissima, estesa, che compromette non solo i paesi africani, indiani, del sud del mondo, ma paesi europei civilissimi. Un allarme insonorizzato, soffocato all’interno di conventi e monasteri dai quali ancora emerge poco e nonostante le denunce sembra essere la punta di un iceberg.
“Sono entrata in monastero quasi cinquant’anni fa”. La Madre Badessa è irreprensibile, e per lei sembra incomprensibile tutto questo rumore sulle violenze. “Sono sconcertata. Non si può fare di tutte le erbe un fascio, e non in tutti i monasteri. Qui, infatti, è diverso perché abbiamo avuto la scuola”. E così forse è rimasta sconcertata anche Josephine Villoonnickal, di 44 anni. La prima a rompere il muro di omertà a Kerala. Come raccontato nell’inchiesta da l’Associated Press già anni fa. La suora ha denunciato alla polizia il suo vescovo di averla stuprata 13 volte in due anni; il presunto colpevole dopo tre settimane di detenzione è libero in attesa che gli organi preposti si pronuncino. Ma le testimonianze sono decine. Insabbiate con razionalità e discernimento dagli apparati ecclesiastici, come consuetudine.
Soffocate dal silenzio le urla delle suore. Il problema reale di questi monasteri e conventi di suore, in tutto il mondo sono i soldi. I monasteri sono tali in quanto sono autosufficienti. Il vero problema di tutte le consacrate è che dipendendono dai preti e dai vescovi. Si fanno i salti mortali anche per le spese minime di sopravvivenza giornaliera. Se una suora rimane incinta deve chiedere aiuto per abortire, una suora non ha soldi, ma i preti si. L’abuso di potere è una consuetudine accettata da tutti. La condizione di sottomissione al clero maschile è acclarata per la maggior parte e in tutte le latitudini.
Che i preti o i vescovi o i monaci possano avere anche una vita sessuale “attiva” è consuetudine e molto spesso accettata come tale: “un monaco americano – continua la Madre Badessa sorridendo – una volta ospitato nel nostro monastero, mi chiese se poteva uscire fuori dagli orari convenzionali, io gli chiesi il motivo e lui mi rispose tranquillamente lei deve sapere che io ho una figlia, Madre, e io gli risposi che allora doveva uscire dal monastero”.
Il tono cambia quando gli chiediamo se qualche sorella si è mai confidata con lei “No, mai. Qui è come un deserto, un'isola. Forse mi credono retrograda e hanno paura di un giudizio”.
La paura di essere giudicate è il freno per le denunce, ma anche l’arma che usa il clero abusante.
Il Papa negli ultimi anni ammette gli abusi e chiede “trasparenza totale”.
La nostra interlocutrice si raccoglie nelle vesti nere, rassettandole come a coprire meglio il proprio corpo: “nei monasteri è più difficile che avvengano queste cose (abusi sessuali), sa perché?, perché ci insegnavano a non avere amicizie particolari, neanche tra di noi, per paura di relazioni lesbiche. Ci insegnano che degli ospiti se ne occupa 'l’incaricata' e basta. Noi abbiamo deciso di ospitare solo il ramo femminile, del ramo maschile solo chi conosciamo bene”.
Una cautela che, ad esempio, non è servita a Doris: era una novizia di 22 anni che fu abusata in Vaticano da un prete dove risiedeva per completare la sua formazione spirituale e prendere i voti. Dopo anni, nel 2010, ha denunciato tutto alla Madre Superiora e ha rinunciato alla vita religiosa. La sua storia è contenuta nel documentario Religieuses abusées, l’autre scandale de l’Église, risultato di tre anni di inchieste, andato in onda il 5 marzo scorso sul canale televisivo francese Arte; ora non è più disponibile sul sito internet. Doris era entrata nella Famiglia spirituale “L’Opera” e si occupava della biblioteca. Il prete aguzzino era il responsabile: controllava tutto quello che facevo, me lo ritrovavo ovunque, in cucina, nella lavanderia”.
Le suore sono chiuse e il silenzio le rende vittime doppiamente per la paura di denunciare e vittime delle gerarchie che a loro volta usano il silenzio a cui sono abituate ed educate per proteggersi e proteggere i predatori. Le suore che restano incinte sono obbligate ad abortire in segreto. Oppure a dare il bimbo o la bimba in affidamento.
Chiediamo ancora alla Madre Badessa perché secondo lei le vittime non si confidano o fanno fatica ad avere fiducia: “Io non lo so, non mi sento in grado di aiutare. Ma le dico una cosa: se le vittime ancora esistono e sono vive, e sono morti quelli che hanno abusato, allora le vittime si devono invitare al perdono”.
“Bisogna agire presto – diceva nel 1998 suor Mc Donald – perché la situazione peggiora anziché diminuire”.
Omertà, silenzio, paura. Parole che pesano e che restano macigni sulla veste nera, chiusa e rigida del corpo della Chiesa.
fonte: http://www.noidonne.org/articoli/abusi-sessuali-sulle-suore-dialogo-con-una-madre-badessa-di-roma-16622.php