Lo stato di adottabilità del minore non può essere revocato se la madre soffre di una patologia delirante e persecutoria che ha irrimediabilmente compromesso la sua capacità di prendersi cura del figlio e il padre è assente. E la semplice speranza di recupero delle capacità genitoriali non basta a far venir meno lo stato di adottabilità del minore.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 11745 di oggi, respingendo il ricorso di un padre e di una madre contro il decreto con cui il Tribunale per i minorenni di Milano aveva dichiarato lo stato di adottabilità della figlia. La piccola era stata tolta alla famiglia, dopo che la madre aveva mostrato i sintomi di una patologia delirante e persecutoria che aveva inciso negativamente sullo sviluppo psicofisico della bambina. Il padre poi non era stato giudicato in grado di accudire la figlia, essendosi allontanato da casa proprio nel momento in cui la malattia della moglie era nella fase più acuta, e non fornendo alcun valido e concreto progetto di vita che comprendesse anche la bambina. I due contestavano la decisione dei giudici invocando il principio costituzionale espresso all’art. 30 che sancisce il diritto dei genitori di educare, istruire, mantenere i figli. La Suprema Corte ha però respinto con forza le argomentazioni della difesa, affermando che il principio richiamato, prima ancora di sancire un diritto, sancisce un vero e proprio “obbligo” dei genitori a provvedere al mantenimento e all’educazione dei figli. I giudici di Piazza Cavour non hanno poi mancato di ribadire che l’esigenza primaria è sempre quella di garantire una crescita armonica e compiuta del fanciullo. Alla luce dell’esclusivo interesse del minore dunque, “l’adozione è fondata su una situazione grave e irreversibile, che non viene meno in seguito a una mera espressione di volontà dei genitori, una "speranza" di recupero delle capacità genitoriali, che non è sicuramente idonea al superamento dell’abbandono”.