APOSTOLE NELLE GALILEE DELLE GENTI

da | Feb 26, 2022 | L'opinione

di Alice Bianchi

Anni Cinquanta del I secolo, a Efeso, una delle città più grandi e caotiche dell’Impero Romano: sbarchi nella confusione del porto e recuperi, chissà come, un contatto con la comunità cristiana, e domenica ti ritrovi in casa di una coppia di bottegai. Apre la porta Priscilla, che qualcuno chiama con affetto Prisca. Poco più in là c’è Aquila, suo marito. Volti già visti? In effetti hanno viaggiato parecchio. È la vita del commerciante: disponibilità economica, flessibilità a spostarsi. A Efeso sono arrivati da Corinto insieme a niente meno che l’apostolo Paolo. Lui li stima molto: in Grecia è stato loro ospite per un anno e mezzo, e per ricambiare lavorava nella loro attività – Priscilla e Aquila, come lui, fabbricavano tende.

Carismi di coppia
Una coppia con spiccata propensione a tessere legami, come chi per mestiere sta in mezzo alla gente e sa l’arte dell’umanità. Hanno una storia di continui “spostamenti”, mai solo geografici; anche di mentalità, di vita, di spirito: ebrei ma originari del Ponto (nord-est dell’odierna Turchia), emigrati a Roma e poi espulsi perché giudei. Quindi a Corinto, poi a Efeso (Turchia dell’ovest), da dove torneranno a Roma.

Nelle tre ultime metropoli una Chiesa si raduna in casa loro: dev’essere proprio il loro carisma quello di stare con le persone nei contesti più multiculturali, eclettici, di frontiera. A Efeso, per esempio, notano un colto giudeo che predica in sinagoga e nomina Gesù: lo prendono da parte e gli spiegano «con maggiore accuratezza la via di Dio» (At 18,26). Gli fanno catechesi: loro, semplici artigiani, a un esperto di Scritture!

Due caratteri pragmatici, a tratti sfacciati: col bon ton non si sopravvive nei porti di mare, ed è verosimile che l’apostolo Paolo desse più volentieri fiducia a chi come lui sapeva «rispondere della speranza» (1Pt 3,15) con un po’ di faccia tosta. Come Andronico e Giunia, altra coppia che compare nell’elenco dei saluti alla fine della Lettera ai Romani, “apostoli” che erano stati addirittura compagni di prigionia di Paolo. Personaggi affascinanti già così, come sposi.

apostole insigni
Ma se per un attimo ci concentrassimo sulla parte femminile di queste famiglie? Su Priscilla e su Giunia? Tutto quanto si è detto di loro in coppia vale anche per loro sole, con la piccola differenza che gli stessi attributi che suscitano l’ammirazione per i coniugi, in Priscilla e Giunia provocano scalpore, rendendo evidente la novità del Vangelo su carne di donna.

Priscilla parla, insegna, fa la catechista a un giudeo. È detta da Paolo «collaboratrice in Cristo Gesù», espressione che non indica semplicemente chi dà una mano, ma proprio chi condivide alla pari una responsabilità, in questo caso l’apostolato stesso. Priscilla è riconosciuta apostola, e non certo per riflesso del marito, come le proverbiali “grandi donne dietro a grandi uomini”. Anzi, Paolo la nomina prima di Aquila due volte su tre, e anche gli Atti antepongono due volte su tre la moglie al marito. Un dettaglio così insolito che i copisti per abitudine hanno a volte sbagliato a trascrivere.

È l’abitudine che spesso relega nell’ombra i volti di donne autorevoli. Così è stato anche per Giunia, «apostola insigne» (Rm 16,7). La qualifica ha creato imbarazzo al punto che c’è chi ha sostenuto che Andronico e Giunia non solo non fossero sposi, ma fossero due maschi, confratelli. Il nome di Giunia è travisato, quello di Priscilla posposto. Le loro voci però sono state limpide nell’annuncio della Parola, in città complesse, disordinate, faticose. Apostole sulle orme di Colui che sempre precede, nelle varie Galilee delle genti.

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