di Letizia Paolozzi
In pochi – non la polizia, non i media – si sono fidati della mamma dei bambini dispersi sul monte Livata. Pare che dopo la santificazione del materno, sia arrivato il tempo della sua demonizzazione. Mi dispiace che la stampa cerchi sempre la caccia al mostro, ha protestato la signora.
Altri “Mostri. Creature Fantastiche della Paura e del Mito” sono visibili a Palazzo Massimo, a Roma, (fino all’1-6-2014). L’esposizione, curata da Rita Paris, che dirige il Museo, ed Elisabetta Setari, è promossa dalla Sovrintendenza speciale per i Beni Archeologici di Roma in collaborazione con Electa e si snoda lungo un percorso labirintico. Si capisce che l’eroe, nel suo viaggio iniziatico, deve cavalcare l’immaginario per dare forma a ciò che è difficilmente spiegabile.
D’altronde, c’è sempre bisogno di un termine di confronto per gli esseri umani e la costruzione della loro identità. Tuttavia, se al giorno d’oggi ci aggrappiamo ai videogames oppure, più tradizionalmente, al lettino dell’analista con una risciacquata dell’inconscio di tutte le angosce, ansie, sensi di colpa, una volta c’era il corteo di Minotauri, Grifi, Chimere, Sfingi, Gorgoni, Idre, ora approdato a Palazzo Massimo dall’Oriente, Grecia, mondo etrusco, italico e romano.
Creature che rappresentano “la mistione fra umano e bestiale” (Laura Cherubini dal bel catalogo della mostra); un rimescolamento di materiali: testa di donna, capelli di serpente, ali di uccello, pinne di pesce, denti di drago, sovrapposti, combinati, metamorfizzati con la sperimentazione del bricoleur di Lévi-Strauss.
I tanti visitatori di un museo fino a poco tempo fa ingiustamente poco frequentato nonostante la ritrattistica di età repubblicana e gli straordinari affreschi della villa di Livia a Primaporta, sfilano di fronte alle sculture, vasi, suppellettili, mosaici violentemente illuminati, guardano “quegli esseri che non trovano corrispondenza nella realtà, nell’ordine naturale, per lo più originati da combinazioni di parti di esseri reali, creati dall’immaginazione dell’uomo, che hanno animato racconti ancestrali e miti. La mostruosità di queste creature, nel repertorio vastissimo dell’arte antica, presenta quasi sempre elementi di nobiltà e di eleganza, per il legame con la sfera cultuale e le imprese mitologiche, alle quali comunque partecipano. Spesso la descrizione degli autori antichi che riferisce le caratteristiche e le azioni delle creature mostruose risulta discrepante al modo in cui sono raffigurate nelle opere che ne hanno trasmesso l’iconografia, perfino nel caso delle orride Arpie, spesso coincidenti con le Sirene dalle sembianze più eleganti” (Rita Paris dal catalogo).
Guardiamole queste Arpie maligne, metà donne e metà uccelli. Prima seduttrici e poi megere, che ghermiscono e portano via innanzitutto il cibo del banchetto di quel disgraziato del re di Tracia, Finneo, capace di profezie e dunque punito da Zeus per mezzo delle odiose creature alate che arrivano dal cielo, afferrano il cibo e defecano su quanto resta del banchetto.
Una trasformazione ancora più straordinaria quella delle Sirene che nella parte superiore del corpo sono donne e nella inferiore da uccelli diventano pesci. Con le pinne sì ma pericolosamente seducenti, giacché possiedono una conoscenza e un sapere iniziatico che comunicano attraverso il canto e la musica. Li abbiamo ancora tra di noi, simili mostri che sorreggono il mito femminile della bellezza accompagnata dalla perdizione.
Eppure i nostri lontani progenitori avevano bisogno di accoglierli così da spiegare le terribili fratture della normalità e dargli forma nell’universo delle idee e delle credenze. Lo fecero attraverso uno sguardo scultoreo che raccontava il terrifico, il portentoso. Quanto al mostrare la persistenza delle figure mitologiche in ambito moderno e contemporaneo sono presenti nell’esposizione un Savinio, un Cavalier d’Arpino e un pittore fiammingo anonimo della prima metà del XVII secolo. Ma dubito che aggiungano qualcosa al pensiero libero di vagare tra i mostri che balzano fuori dalle tenebre.