di Linda Laura Sabbadini*
Come aiutare le donne afghane a ritrovare la libertà
Ascolliamo Azada Afghani, la donna afghana che è
fuggita dal Paese a causa dei talebani come migliaia
di suoi concittadini. Azada, bellissimo nome. Significa
libertà nella lingua afghana. E in effetti le parole del suo
articolo di ieri su questo giornale, parlano di libertà.
Libertà persa inesorabilmente. Lo dice chiaro. Ma anche
libertà desiderata, anelito di libertà.
Dobbiamo ascoltare il suo monito. Cristallino, nitido, di
una forza straordinaria. Azada ci incita a non credere
alle parole dei talebani. Non sono quelli che vogliono
apparire. Non è vero che rispettano i diritti delle donne.
Dicono di farlo per l'istruzione ma poi esplicitano che le
bambine devono andare solo alle elementari. Dicono di
farlo per l'economia, ma poi non fanno tornare al lavoro
le donne nel settore pubblico. Nessun posto sarà per le
donne tra i ministri o i vice. Non ci sono elementi
oggettivi che possano indurre a pensare che sono
cambiati. Abbiamo il dovere come singoli cittadini, come
società civile, come governi, di ascoltarla. Per molte
donne è stato uno shock questo ritiro frettoloso e
disorganizzato. O forse le donne hanno esternato di più
le loro emozioni. Tutte a dirci…facciamo qualcosa…ma
che cosa…come? Aiutiamo le donne afghane, un clima
generale di sorellanza e di forte solidarietà si è
sviluppato. Ci riempiamo di telefonate, messaggini, sui
social. Eravamo tutte felici dell'eliminazione del burqa
in quel Paese così lontano da noi. L'avevamo vissuta
come una vittoria per tutte noi. E anche nel vedere tante
ragazze a scuola e all'università.
Poi il colpo. Il ritiro, la resa già scritta nel trattato di
Doha, che non prevede mai, leggetelo per favore, la
parola diritti. Lascito di Trump, uno che per le donne ha
“scarse attenzioni”, ed è un eufemismo. Ma attuato da
Biden, purtroppo.
E allora penso. Nel 1948 le Nazioni Unite approvarono la
Dichiarazione universale dei diritti umani il cui articolo 1
dichiara: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali
in dignità e diritti”.
Se un regime nascesse con il dichiarato proposito di
opprimere una parte della popolazione per
motivi religiosi, etnici, di salute fisica, età, di genere odi
orientamento sessuale, questo Paese si collocherebbe al
di fuori del Diritto e della legittimità internazionale.
Le donne afghane sono esseri umani. Non si può
scendere a patti con un regime che si costituisce sulla
premessa della discriminazione delle donne.
Non c'è relativismo cultural, realpolitik, o diplomazia
internazionale che possano giustificare la benché
minima legittimazione internazionale di un tale
scempio. Noi siamo l'Europa e non possiamo tollerarlo.
Dobbiamo esigere rispetto dei diritti delle donne, fare
pressione in tutti i modi possibili perché ciò avvenga.
Bisogna mantenere corridoi umanitari permanenti.
Bisogna ottenere un organismo indipendente che vigili
sul rispetto dei diritti delle donne e dei diritti umani.
L'Europa deve diventare una volta per tutte
protagonista.
Qualsiasi interazione deve essere accompagnata da
precisi e verificati atti che dimostrino il rispetto da parte
dei talebani delle pari dignità e della non persecuzione
delle donne afghane. Stiamo con Azada e tutti gli
Afghani che vogliono la libertà e la democrazia.
Non possiamo firmare cambiali in bianco ai talebani.
Non possiamo lasciare sole le donne afghane. Né
abbandonare il popolo afghano alla barbarie.
Libertà, o meglio Azada come dicono gli Afghani.
*Linda Laura Sabbadini è direttora centraleIstat. Le
opinioni qui espresse sono esclusiva responsabilità
dell'autrice e non impegnano l'Istat
La Repubblica, 04/09/2021