Questi i titoli dei giornali che, necessariamente devono aggiungere qualcosa:
“E’ morta in battaglia a 22 anni l’Angelina Jolie del Kurdistan, Asia Ramazan Antar, dal 2014 combattente contro l’Isis in Siria per conto del gruppo curdo Women Protection Units”.
Ovvero: Asia, una donna del Kurdistan è morta in questo terribile conflitto che non lascia intravedere soluzioni a breve. Lei, una delle tante donne che sono morte in combattimento o altre modalità, terribili e cruente, per mano dei loro nemici. Si è raccontato anche di fosse comuni in cui sarebbero state sepolte vive. Ma non sono i particolari di questa guerra orrenda su cui occorre soffermarsi.
È questa fastidiosa, inutile, finta sensibilità, così maschile e cortese, di definire Asia, questa combattente, simile ad una delle icone simbolo dello star system con cui nulla ella aveva a che fare.
“L’Angelina Jolie del Kurdistan” e questo come dovremmo considerarlo? Un riconoscimento in più? Una differenza di sostanza? Un motivo in più di dispiacersene, perché se fosse stata brutta il Kurdistan non avrebbe perso niente? O i media non avrebbero avuto interesse a mettere la notizia in rilievo?
Invece se muore una combattente kurda-bella, ricorda che la bellezza femminile comunque, in qualsiasi circostanza e in qualsiasi contesto, è per sé stessa degna di nota, di osservazione, magari di fantasie erotiche.
Le donne del Kurdistan, moltissime, morte fino a ora per la loro causa ma anche per altri distratti dai propri interessi, quelle che consapevolmente rischiano la propria vita ogni giorno in quell’inferno di fuoco e violenza, se sono brutte, non fanno notizia.
Di Asia, fanno notizia e meravigliano le sue doti di soldatessa (non era una donna debole?) e fa appassionare la sua bellezza, che ricordava l’attrice americana più pagata al mondo.
Ci si stupisce, della sua breve vita, la giovane età della sua fine, 22 anni, ma anche il fatto che si sia arruolata a 18 anni nelle milizie curde che combattevano l’Isis.
Quello che accade in altre parti del mondo, ci sfiora solo quando mette in discussione la nostra vita o in pericolo i nostri modelli di vita, mentre Asia e le donne turche, la sua morte, le loro vite, il loro futuro sono invece molto lontane da noi.
E’ difficile comprendere. Noi che ci laviamo la mattina, coccolate dalle nostre creme e dai nostri abiti alla moda, noi che cresciamo i nostri figli, amiamo e ci lasciamo amare. Cosa saremmo noi in quelle circostanze se non persone in preda al panico. Il dramma, la durezza e la precarietà di vita di quelle donne per noi sono solo notizie che si sovrappone ad altre più rasserenanti, più familiari.
Nella nostro civilissimo mondo, non siamo abituati all’idea che una ragazza, giovane e soprattutto bella “come un’attrice”, possa morire in uno scontro a fuoco di una sporca guerra.
Eppure è una realtà di cui prendere atto. Questa giovane ventiduenne è morta per la libertà e l’indipendenza del suo paese, il Kurdistan, valori che anche noi abbiamo conosciuto nella seconda guerra mondiale ma che troppo presto abbiamo dimenticato nell’egoismo che opprime la società moderna.
Asia Ramazan Antar, una ragazza giovane, simile a tante altre che noi incontriamo, che ci sono figlie, non ha avuto il tempo di crescere e godere della vita. Faceva parte dell’Unità di Protezione delle Donne (YPJ), una unità militare femminile all’interno dell’Unità maschile di Protezione Popolare (YPG) ed ha partecipato alla liberazione di Kobane dall’ISIS.
A noi non può piacere che Asia Ramazan Antar, venga ricordata come l’ Angelina Jolie del Kurdistan e pensiamo che non avrebbe voluto.
Perché Asia Ramazan Antar, valorosa combattente, è morta credendo nella necessità di conquistare la democrazia, dove potessero essere professati libertà e dignità per tutti e che le donne trovassero il loro riconoscimento di genere e di persone, per porre i mattoni di una rinascita che non ha fatto in tempo a vedere.