Non fisserei una data esatta (gli anni Sessanta o i Settanta, chissà?) ma, fatto sta, le donne nel mondo, in occidente, in America, perfino in oriente sono orrmai uscite di casa. La selvaggina ha lasciato la tana ed ha, coraggiosamente affrontato il cacciatore. A suon di cortei, di libri, di organizzazioni femminili e/o femministe. A suon di leggi ma e soprattutto, a suon di presenza nel mondo del lavoro, della culltura, della scienza, dell’organizzazione sociale, della politica.
Per secoli (e, perché no?, per millenni) l’uomo, di maschio in maschio, ha scandiito la storia, ha "fatto" i modi di vivere e di morire, ha decretato l’esistenza dell’anima e, poi, non più. Ha fatto la religione e la guerra. Ha dato il nome, il valore, la consistenza ai sentimenti. Ha definito perametri e ruoli. Così, alla donna, che egli ha voluto monaca – madre – sposa – sorella e, al massimo come Eistein, "collaboratrice" non è rimasta possibilità altra che essere "la differenza". Ella ha coltivato, pertanto, la cultura della differenza: sentimenti, riti, magia, intuizioni, capolavori dell’ago, e della parola, della suggestione ma anche dell’oppressione. La donna, voluta, – cresciuta in casa ha governato la casa. Ha eretto il suo governo in esilio, in casa. Ha avuto come sudditi i figli, e li ha educati "per ruoli", vessati per "ruoli", posseduti "per ruoli". Dietro ogni maschio violentatore c’è una madre complice che odia come lui le donne per la loro presunta fragilità. Dietro ogni guerrafondaio c’è una madre violennta, una belva intanata che preferisce un mondo distrutto dai maschi (dei quali avrebbe voluto far parte) alla materna e femminile politica dei sentimenti.
L’uscita dalla "tana" delle donne ha, certo, positivamente determinato l’arresto e, in prospetttiva, la fine di questa familiare violenza femminile da contrapporre alla violenza patita dalla donna. Ma ha creato anche altri formidabili scompensi. Nei secoli e nel presente, l’uomo ha imparato a tenere le donne, la loro forza e le loro capacità tenute in segregazione, negate, violentate; la loro energia, la loro passibilità. Ora che tutto questo patrimonio viene fuori e si afferma, l’uomo quasi sente di non essere all’altezza di fronteggiare, di incontrare la grande onda del femminile. Perciò si ritira, fugge, nega alle donne l’anima e il corpo.
Intastabile, mutevole, deluso, arrogante l’uomo ha adottato i modelli comportamentali che furono un tempo strategie di sopravvivenza delle donne: la fuga, il dubbio, la repulsa, il rifugio nel mondo dei maschi, la disconferma. E sta seguendo le traccce del suo femminile interiore per conquistare un paritetico rapporto con la donna.
Ma mentre questo avviene grigia è la condizione delle donne che "attendono il nuovo maschio". Per quanto dolorosa però, questa attesa, questo distacco si sono resi necessari. Essi costituiscono, infatti, il preludio al ritorno di Ulisse, l’uomo atteso da Penelope eterna tessitrice di vita notturna e diurna, l’uomo che un giorno tornerà per uccidere, nei Proci, esempi deleteri e balordi di "essere maschio" .
Commento di Marta Ajò
Maria Rita parsi, psicologa e psicoterapeuta con al suo attivo molte pubblicazioni sul mondo dell’infazia e dell’ adolescenza, nonché Direttore della Fondazione Movimento Bambino, per la quale coordina i progetti scentifici e i corsi di formazioni.
In questo articolo, l’autrice mette in evidenza quanto la donna non ricopra più i ruoli che la cultra maschile le aveva destinato sostenendo che davanti a questi cambiamenti l’uomo, avvertendo un senso di inadeguatezza, piuttosto che afrontare la nuova situazione si sarebbe dato alla fuga.
Per molto tempo questo concetto è stato utilizzato e strumentalizzato dai "maschi" per colpevolizzare ancora una volta le donne…