di Donatella Donato e Emilia Heredia Pisa
Un gruppo di donne, tra cui alcune di cultura gitana, del quartiere El Cabanyal di Valencia ha avviato una ricerca e messo su diverse iniziative per trasformare il territorio. Per sbarazzarsi di razzismo e discriminazioni, per coltivare una prospettiva femminista, per prendersi cura del proprio quartiere, dicono quelle donne, si può partire dalla vita di ogni giorno: incontrarsi in una scuola, fare un orto insieme, mettere in comune racconti, fare fotografie, imparare ad accogliere fragilità e solidarietà, sferruzzare all’uncinetto
Gli incontri del gruppo di donne, tra cui alcune di cultura gitana, del quartiere El Cabanyal di Valencia per parlare, ridere, piangere, preparare iniziative per il territorio sono spesso accompagnati da sferruzzate all’uncinetto
Sebbene in passato ci siano state delle controversie, è ormai accettato, soprattutto sulla base di prove linguistiche, che i popoli rom discendono da gruppi che lasciarono l’India, precisamente la regione del Punjab, alla fine del primo millennio. Il secolo XIV è il momento in cui la maggior parte dell’emigrazione romaní raggiunse l’Europa soprattutto i Balcani e le zone situate in quella che oggi è la Grecia meridionale e probabilmente entrarono in Spagna attraverso il Nord Africa nello stesso periodo.
Oggi, la società spagnola è un crogiolo di realtà storiche e culturali con le proprie peculiarità, lingue e popoli. In questo contesto multiculturale, è necessario far sapere che nonostante la realtà rom in Spagna abbia diversi secoli di storia ed è molto varia, continua a definirsi come una “disputa storica democratica irrisolta”. Infatti nonostante i risultati ottenuti dall’instaurazione della democrazia nel migliorare le condizioni di vita della popolazione rom, ci sono ancora situazioni che richiedono l’attenzione delle autorità pubbliche e di tutta la società, per garantire che gli uomini e le donne rom esercitino la loro cittadinanza su un piano di parità con gli altri cittadini e cittadine.
L’esperienza di ricerca-azione partecipativa che di seguito si racconta si svolge nel quartiere El Cabanyal, nella città di Valencia, in un contesto sociale caratterizzato dal dinamismo delle associazioni e dei movimenti sociali, ma anche dal conflitto e dalla segregazione tra comunità di culture diverse, in particolare la cultura gitana e non gitana o paya. L’obiettivo principale è quello di contribuire al dibattito sui progetti di innovazione sociale che promuovono processi di empowerment femminile, creare reti di scambio e contribuire alla riflessione sulle strategie di partecipazione nella co-generazione di conoscenza per il cambio e il benessere sociale. La prospettiva teorica dello studio è, da un lato, la tradizione della teoria socio-critica, per comprendere e problematizzare l’esistente, dall’altro, la ricerca come azione che ha il potenziale di contribuire al miglioramento personale e comunitario, favorendo connessioni trasformative, ottimizzando le risorse presenti, decostruendo la narrazione dominante e costruendo una comunicazione diversa per raccontare i territori, il mondo dei movimenti, le reti locali, la democrazia partecipativa, l’associazionismo, la solidarietà, l’antirazzismo.
Il processo di trasformazione è interconnesso con il modo di costruire discorsi capaci di favorire lo scambio di conoscenze, promuovere la giustizia sociale e la cura dei territori. È una proposta che intende la pedagogia come una visione del mondo (leggi anche Educare, un processo comune), la ricerca come una possibilità per studiare ciò che sta succedendo nel qui ed ora e l’azione sociale come superamento della dominazione sessista, razzista e capitalista.
Proponiamo una ricerca femminista che rivela un’antica trama di trasmissione dei saperi e di dialogo tra i valori, approfondendo la relazione tra il pubblico e il privato, tra il quartiere e la città per sollevare nuove questioni e dare voce a quelle esperienze che possono rivelare riflessioni e pratiche di donne che mettono in discussione i confini e ci invitano a ripensare e ridisegnare altri e diversi paesaggi vitali. In questo processo, la ricercatrice sociale, a partire dalle sue esperienze, analizza e approfondisce quei postulati teorici, metodologici, epistemologici ed etici alla base delle diverse forme di colonialità dell’essere e del pensare. Elabora la sua critica alle relazioni sociali capitaliste e patriarcali collegando la sua analisi al movimento femminista internazionale e alle risposte che si intendono dare alle varie forme di violenza attuate sulle donne. Siamo noi donne, le protagoniste di questo studio che, di fronte a uno spazio urbano sempre più atomizzato, consideriamo la possibilità di creare una società non subordinata alla logica del profitto e del mercato, ma su relazioni e pratiche sociali costitutive e co-partecipative.
Una ricerca per trasformare il quartiere
Lo studio Empowerment, Terzo Spazio e Co-partecipazione: un percorso pedagogico tra teoria e pratica. Una ricerca/azione partecipativa e trasformativa nel quartiere de El Cabanyal, inizia nel novembre 2015. Una ricerca intesa come un processo per condividere storie, accogliere le parole e raccontare i pensieri delle persone. Allargare la visione sulla realtà di una territorio che vive una condizione di degrado imposto da una politica locale, che nell’utilizzare lo spazio pubblico come merce, impone una revisione e uno stravolgimento delle relazioni tra le persone e tra queste e il territorio, creando ambienti ideali per lo scatenarsi di emergenze sociali. Attraverso la ricerca-azione partecipativa, abbiamo voluto evidenziare la necessità di ripensare il modello di produzione della conoscenza di un territorio specifico, con la possibilità di allargare l’orizzonte dei differenti modi di vivere. Il desiderio era quello di offrire riflessioni che fornissero il maggior numero possibile di prove materiali ed esperienziali per costituire la base di una diversa progettazione del futuro, in una prospettiva di benessere collettivo, iniziando ad acquisire il punto di vista interno delle persone partecipanti.
L’obiettivo era quello di creare circuiti di generazione e circolazione di conoscenza tra diversi spazi vitali, permettendo un dialogo tra posizioni, considerazioni e letture della situazione che il quartiere stava vivendo, caratterizzata dal conflitto tra comunità di diverse culture. Una crisi che, se osservata da un punto di vista più ampio, non appare come un evento isolato, ma come uno dei tanti episodi inscritti nel quadro della paura e del rifiuto verso l’alterità, che può essere mitigato solo con azioni tempestive volte ad affrontarne le cause, e non solo gli effetti. Attuare strategie per affrontare in maniera multidimensionale questa prospettiva con azioni di prevenzione, educazione e formazione, concentrandosi sullo sviluppo tra i cittadini e le cittadine, di una effettiva partecipazione politica, impegno e responsabilità.
Le riflessioni condivise mostrano la necessità di affrontare il problema dell’esclusione sociale attraverso misure di azione affermativa, superando soluzioni parziali e palliative, proponendo strategie plurali innovative e creative rivolte all’intera popolazione e non solo ai gruppi che soffrono la condizione di discriminazione e marginalità. I risultati hanno permesso di ripensare la categoria dell’incontro e della co-partecipazione nello spazio pubblico, superando la logica dell’inclusione quando è basata su condizionamenti e sottili forme di dominazione. Gli interventi devevano potersi rivolgersi non solo alla parte della popolazione locale che è considerata un oggetto da integrare nel sistema, ma anche al gruppo maggioritario, che impone i suoi codici di comportamento, anche attraverso le politiche di inclusione basate sulla concessione di prestazioni assistenziali individuali, alimentando il sistema di stereotipi e pregiudizi incoraggiando la stigmatizzazione delle persone più povere ed escluse e le nuove forme di dipendenza. Nel caso del collettivo rom, se da un lato le difficoltà di inserimento lavorativo sono legate ai fattori strutturali di una crisi globale, dall’altro l’ostacolo al pieno inserimento lavorativo e al diritto a un alloggio dipende anche da un processo storico di segregazione, marginalità e razzismo nei confronti di questo popolo.
In questo contesto è stato promosso un progetto di innovazione sociale come elemento centrale di una ricerca in pedagogia sociale, con l’obiettivo di promuovere la formazione di uno spazio di interazione, coesione e co-partecipazione. Per recuperare quelle parti della società locale che hanno voluto riconoscere le fragilità a diversi livelli e fare esperienze di cambiamento, riconoscendosi come protagonisti e protagoniste nell’avvio di una vita autonoma e liberata. Puntando su un processo continuo e dinamico di formazione pedagogica e politica, teorica e pratica, moltiplicando la realizzazione di esperienze concrete con metodi e strumenti originali.
Una prospettiva femminista
Stiamo parlando di un gruppo di donne di cultura gitana e non gitana-paya, che hanno iniziato un percorso di azione comunitaria adattandolo alle esigenze particolari del territorio, che si sono incontrate attraverso il “fare insieme”, organizzando eventi, colloqui, promuovendo la formazione di un Terzo Spazio (Bhabha, 2015)1, definito dalle nuove relazioni di interazione e coesione sociale, in una prospettiva femminista. Riflettere dell’intersezionalità delle condizioni di disuguaglianza e sulle molteplici forme di ingiustizia, mettendo in discussione le posizioni dovute alle opportunità e ai privilegi di razza, classe, genere.
Si è così sviluppato un progetto comunitario che ha voluto approfondire le questioni inerenti alle relazioni di potere, sia introiettate che esterne, rappresentando per le protagoniste un’opportunità di superamento e maturazione personale e condivisa. Il cuore del progetto è stata la possibilità di trasformare sofferenze, giudizi, inibizioni, limitazioni in un’esperienza collettiva in cui i sentimenti personali risuonano, integrandosi in un’espressione di esperienze femminili, esplorate e narrate individualmente e in gruppo, in un caleidoscopio di sensazioni, frammenti emotivi, evocazioni, aspirazioni, per liberarsi di quelle strutture che nel tempo hanno condizionato e sommerso l’essere e le relazioni tra persone di culture diverse.
La ricerca si è costruita insieme, grazie alla consegna ricorrente e preziosa delle parole, delle idee, dei pensieri di queste donne che hanno fanno uscire, dall’ombra della retorica, la condizione di marginalità, segregazione e oppressione. Partendo dalla consapevolezza della nostra fragilità, del bisogno che abbiamo l’una dell’altra, della solidarietà come valore prioritario per cambiare la nostra vita e per agire sulla realtà.
Così si è strutturata una poetica della co-partecipazione, come forma di resistenza, una ricostruzione personale e comunitaria per immaginare un altro mondo possibile. Attraverso la proposta di co-partecipazione reale nella vita sociale infatti si lavora per l’interesse collettivo, secondo un modello nel quale tutte le persone sono membri responsabili della comunità e hanno un ruolo attivo nello sviluppo e nel mantenimento della cultura democratica. È così che il futuro si costruisce da prospettive nuove e inedite attraverso una rimodellazione di piani tradizionalmente separati e pieni di contraddizioni, impulsi conservatori e apertura al cambiamento, riscoprendo il potenziale di un modo diverso di pensare, progettare, agire e vivere.
Si è trattato di facilitare l’incontro, l’espressione personale, la valorizzazione delle identità e delle storie di vita, negoziando continuamente le relazioni di potere. La costruzione di un significato congiunto di quello che continua ad essere necessario per il quartiere e di quello che continuiamo a fare con le comunità presenti, si è strutturata attraverso uno scambio dialettico continuo e profondo, che ha richiesto sforzo ed implicazione.
Vivere il quartiere cominciando da una scuola
La scuola ci è apparsa come il luogo non solo dell’educazione, dell’apprendimento, della formazione integrale delle persone, ma anche lo spazio dove alimentare la curiosità e l’intenzione di sperimentare, il senso di solidarietà e di azione per la giustizia sociale e il continuo richiamo ai valori democratici. È per questo motivo che il progetto si è sviluppato nel centro educativo pubblico locale, impulsando la creazione di patti educativi comunitari come una prospettiva necessaria per cercare di contrastare la crescita della povertà educativa e il deserto culturale, favorire relazioni integrate, capaci di accompagnare i gruppi più vulnerabili nel loro percorso scolastico, innescando processi di cambiamento positivo, con l’obiettivo comune di migliorare le condizioni di vita. Superare le diverse forme di discriminazione e segregazione sociale, costruendo comunità di base basate sulla cura, la solidarietà, il sostegno reciproco per non lasciare sole le famiglie schiacciate da urgenti necessità materiali.
Riteniamo importante cominciare a smuovere e rendere fertile il terreno sociale, intrecciando le azioni e le attività più diverse. Per questo, dare vita e continuità a patti comunitari educativi sensati ed efficaci è una delle più grandi sfide culturali, politiche e sociali per chi crede nell’educazione come opportunità per ridurre le difficoltà sociali, per promuovere la crescita umana e culturale, motore di conversione ecologica, oggi più che mai necessaria. È essenziale mettere in comune, con umiltà e intelligenza, ferite, conoscenze, analisi, progetti, esperienze educative, in un dialogo continuo tra scuola, territorio, comunità, istituzioni2.
Nel nostro studio è stato adottato un approccio narrativo e tra gli strumenti utilizzati, le fotografie scattate durante i momenti più significativi del nostro lavoro hanno aiutato a strutturare molte delle informazioni raccolte, a incoraggiare la discussione critica e a sistematizzare l’intero percorso di co-costruzione della conoscenza. La fotografia è stata usata come testimonianza di tutto il processo, ogni immagine racconta un incontro, un evento, una storia di connessione, le nostre emozioni. È stato organizzato un atlante eclettico, una dettagliata documentazione narrativa, fotografica e audiovisiva3, che mirava a rinnovare i modi di ricodificare il rapporto con il luogo di vita e le relazioni tra le persone. La ricerca è stata concettualizzata come esperienza, narrando ciò che si fa, ciò che si pensa e facendo esperienza dell’esperienza.
La conoscenza storica, locale, rilevante, situata, ancorata alla sfera quotidiana si è messa in moto, provocando riflessioni radicalmente nuove sulle sfide del cambiamento sociale, che hanno permesso di tradurre in azione una percezione “sentipensata” dell’intollerabile oppressione.
La riappropriazione degli spazi di vita, la ribellione alla reiterazione delle relazioni sociali egemoniche, il risveglio della coscienza collettiva passa attraverso la riflessione profonda sul modo in cui la differenza è socialmente e politicamente costruita. A questo si contrappone l’esperienza viva dell’incontro, di persone che si conoscono, si toccano, si parlano, hanno tempo e spazio per sé e per gli altri, dando valore alle relazioni sociali e ai percorsi personali, vivendo il quartiere, dialogando con esso, sperimentandosi come parte integrante di un percorso che in un futuro, speriamo quanto mai prossimo, apra le porte di un altro mondo possibile.
Noi ci crediamo.