Carcere al marito per i maltrattamenti abituali alla moglie che non si sottomette, 2 gennaio

da | Gen 3, 2013 | Anno 2013


Carcere al marito per i maltrattamenti abituali alla moglie che non si sottomette
Inutile per l’imputato invocare «scatti d’ira» di fronte a vari episodi denunciati dalla parte offesa, costretta anche a scappare da casa


 
Scattano le manette al marito che, sistematicamente e abitualmente, maltratta fisicamente e verbalmente la moglie, la quale, «in assenza di sottomissione», ha sempre denunciato gli episodi e abbandonato più volte il tetto coniugale. Inutile per la difesa eccepire che le condotte incriminate fossero dettate da «contingenti scatti d’ira». Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza 25 del 2 gennaio 2013, ha ritenuto inammissibile il ricorso di un 46enne contro il giudizio di colpevolezza della Corte d’appello di Catanzaro che lo ha ritenuto responsabile penalmente del reato di maltrattamenti e delitti ai danni della moglie, condannandolo alla pena di quasi tre anni di reclusione. La sesta sezione penale, in linea con la Corte calabrese, ha ritenuto l’uomo responsabile di tali reati, sottolineando che «in tema della sistematicità e abitualità della condotta violenta la Corte dedica una autonoma disamina considerando i ripetuti episodi di violenza fisica e verbale ai danni della moglie, la cui frequente ricorrenza e l’effetto prodotto di sopraffazione sistematica della vittima e del nucleo familiare, tale da rendere dolorosa e precaria la stessa convivenza, tanto da indurre la donna a dove abbandonare, per alcuni periodi, l’abitazione familiare, ha fatto concludere per la sussistenza del delitto in esame sotto il profilo oggettivo e soggettivo». Insomma, per piazza Cavour gli episodi di ingiuria e percosse, continui e sistematici, con la mancanza «di sottomissione della donna» che aveva sempre denunciato gli episodi e abbandonando anche più volte il tetto coniugale, configurano il reato ascrittogli, non permettendo di concedergli il beneficio della sospensione condizionale della pena. Pertanto, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a mille euro alla cassa delle ammende.