Cécile Kyenge, le battaglie per lo ius soli e l’abolizione dei Cie entrano a Palazzo Chigi.
Cittadina italiana nata nella Repubbica democratica del Congo, Cécile Kyenge Kashetu è il nuovo ministro dell’integrazione e della cooperazione internazionale. Il colore della sua pelle ha fatto saltare da sopra la sedia gli esponenti della Lega Nord, ma tant’è: residente a Castelfranco Emilia in quel di Modena, è abituata da oltre vent’anni a dribblare i pregiudizi. Da quel "negretta" con cui un commerciante xenofobo la cacciò dal proprio negozio alle più recenti minacce ricevute su Facebook.
Col suo sorriso fiero, Cécile non ha mai dato troppa importanza alle reazioni di chi ha paura della diversità ed è sempre andata dritta per la sua strada.
La laurea in medicina, specializzazione oculistica, poi l’attività politica prima nei Ds e ora nel Pd, che in Emilia Romagna le ha affidato il ruolo di responsabile regionale delle politiche dell’immigrazione.
I più attenti se la ricorderanno in prima linea, seppur mai sotto i riflettori. In corteo, nelle piazze, nelle stanze meno al sole della politica. Negli ultimi tempi per "gridare" che chi nasce in Italia da genitori stranieri è, e deve essere considerato, italiano. Ma prima ancora – era il primo marzo 2010 – tra le anime del primo sciopero dei lavoratori stranieri. Quella "giornata senza di noi" che rammenta che se non ci fossero "loro" – come li chiama qualcuno avendo come alibi la legge Bossi-Fini – interi comparti economici si fermerebbero. L’edilizia e il lavoro di cura, per esempio, a dimostrazione che, se lo si vuole, l’integrazione non solo è possibile ma è spesso già realtà.
E poi Cécile era lì, in tutti quei luoghi dimenticati dai media cosiddetti ufficiali. Le associazioni di donne, dove italiane e migranti si confrontano da anni, gli incontri dove si cercano le strade giuste per dare concretezza alla parola intercultura e in quei lager moderni chiamati Cie, dove vengono trattenuti i migranti sottoposti a provvedimenti di espulsione o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera nel caso in cui il provvedimento non sia immediatamente eseguibile ma in cui basta non avere un documento di identità e avere la pelle o l’accento del colore sbagliato per finire reclusi a tempo indeterminato. Una "barbarie" istituita nel 1998 (prima erano i Cpt) dalla legge Turco-Napolitano che oggi anche la stampa di tutta Italia ha potuto toccare con mano grazie alla campagna "Lasciateci Entrare" di cui Cécile è fra le promotrici. I giornalisti, Cécile, li ha accompagnati nei centri di identificazione ed espulsione di tutta Italia ed ha manifestato davanti ai cancelli più volte per gridare che la clandestinità non è un reato. I reati sono altri e, come tali, vanno perseguiti indipendentemente da chi li commette.
Cécile Kyenge Kashetu ora che il neo premier Enrico Letta l’ha voluta a Palazzo Chigi la conoscono tutti. Ma sono soprattutto i "senza voce" a tifare per lei. I tanti giovani, che sono nati qui e qui studiano, stringono amicizie e si innamorano ma che devono attendere il compimento dei 18 anni per diventare a tutti gli effetti italiani. E soprattutto i loro genitori, padri e madri che dal loro arrivo in questo paese combattono con la burocrazia. Per il rinnovo dei permessi di soggiorno, per l’ottenimento della cittadinanza e, dunque, per il riconoscimento del diritto di voto. Uomini e donne che sperano che per i loro figli il futuro sarà più facile. E poi i più sfortunati, quelli fuggiti dal loro paese e che qui cercano una nuova vita lontani da guerre ed oppressione. E che continuano ad essere confusi con chi delinque anche quando si comportano secondo le regole dello stato che li accoglie.
La nomina di Cécile è sicuramente l’unico vero cambiamento portato da questo nuovo governo che, si condividano o meno le larghe intese, sa però ancora troppo di stantio.
Già la sua candidatura da parte del Pd è stata una sorpresa, speriamo ora che questa nomina sia davvero un passo avanti e non l’ennesima operazione di marketing di un centrosinistra allo sbando che suole confondere il politicaly correct e il dover essere con il giusto e l’essere.
Cécile e tutti quelli che ce l’hanno sempre messa tutta non se lo meritano.
(Alessandra Testa)
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