Cecilia Robustelli, docente di Linguistica Italiana presso l’Università di Modena e collaboratrice dell’Accademia della Crusca. L’abbiamo intervistata anche per fare il punto sull’uso sessista della lingua a distanza di 25 anni.
Nel 1987 la Presidenza del Consiglio dei Ministri pubblicava il lavoro di Alma Sabatini. Si spiegava che è possibile utilizzare il femminile per tutte le professioni: ministra, sindaca, magistrata, assessora, oppure mettendo l’articolo corretto per altre professioni come vigile, presidente, giudice, cantante. Oggi siamo ancora allo stesso punto. Nulla è cambiato da allora?
Il lavoro di Alma Sabatini ha contribuito a creare una specifica sensibilità nei confronti della discriminazione delle donne attraverso il linguaggio. I risultati ci sono, sia nella pratica quotidiana dove molte persone usano ormai, correttamente, solo forme femminili in riferimento a donne sia nelle istituzioni: in molti statuti comunali, per esempio in quello di Pisa e di Taormina, si legge che è necessario esprimere al femminile le denominazioni degli incarichi e delle funzioni politiche ed amministrative del Comune quando sono ricoperti da donne. E anche il presidente Napolitano, recentemente, ha usato il termine “ministra”!
Ma alla fine si tratta solo di regole grammaticali per cui basta realizzare un buon manuale?
No, è indispensabile conoscere l’importanza del rapporto fra linguaggio e rappresentazione della realtà per capire che usare il genere maschile in riferimento a una donna può avere conseguenze in termini di discriminazione. La grammatica italiana in questo caso richiede il femminile sia che parli di una “maestra” sia che mi riferisca a una “ministra”: non ci sono regole specifiche.
Insieme ai grandi temi complessi, penso ai femicidi, al rifiuto della politica, ai problemi economici, alla disoccupazione, perché è importante porre il tema del sessismo della nostra lingua?
Sì, perché un linguaggio che non riconosce le donne, non attribuisce loro il ruolo che hanno nella società ma le mantiene in una posizione di inferiorità o, peggio, sudditanza, rappresenta una mancanza di rispetto nei loro confronti che può facilitare atteggiamenti denigratori se non addirittura molestie.
Qual è la posizione ufficiale dell’Accademia della Crusca? È possibile che venga presa una autorevole posizione politico-culturale che impegni le amministrazioni, lo stato, le istituzioni e i mezzi di comunicazione per un uso della lingua italiana rispettoso del genere?
L’Accademia della Crusca ha collaborato con il Comune di Firenze al Progetto Genere e linguaggio. Parole e immagini della comunicazione, per il quale ho redatto le Linee Guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo che abbiamo presentato proprio oggi a Firenze, con prefazione della presidente Nicoletta Maraschio. Aveva inoltre curato nel 2011, insieme all’Istituto di teoria e tecniche dell’informazione giuridica, una Guida alla redazione degli atti amministrativi. Regole e suggerimenti, contenente un capitoletto dedicato alla scelta di un linguaggio “rispettoso dell’identità di genere”. Mi sembra un segno eloquente dell’attenzione che l’Accademia dedica a questo tema.
intervista di Loredana Cordero