C’era una volta e c’è ancora

da | Dic 1, 2020 | Editoriali

di Marta Ajò

Che l’individuo fin dalla più tenera età si attrezzi per ricercare il modo migliore per attraversare l’esistenza è inconfutabile. Dal primo respiro, alla succhiata del latte, al deglutire le pappine, a gattonare per mettersi in piedi, la ricerca d’appoggi, d’accudimento, d’insegnamento fino ad attraversare la fase pre-post adolescenziale, poi la formazione, il sesso e tutto quello che di successivo avviene fino all’ultimo respiro che nessuno vorrebbe esalare.

Nessuno nasce per stare male. Eppure se guardiamo alla storia dell’uomo ci si chiede come sia stato possibile che esso sia sopravvissuto e si sia riprodotto in condizioni di vita difficilissime. Pochi gli esempi, dalla mancanza di riscaldamento, alle enormi distanze da percorrere, alle aggressioni di molte malattie, all’adattamento ambientale, alla difesa personale, alla comunicazione ecc.
Povero uomo, verrebbe da dire, che ha fatto proprio di tutto per arrivare al XXI secolo. Anche combattuto guerre di potere, rivoluzionato sistemi inventandone altri, difeso ideali o abbandonandoli o tradendoli.
Povero uomo che puntando all’universo, alla ricchezza in terra, al potere personale, alla ricerca del benessere sta tanto male.

Riprodottosi in modo eccessivo in alcuni luoghi o troppo poco in altri, convivendo in ricchezza e povertà distribuiti entrambi senza equità, sfruttando terra, ambiente ed individui, alla ricerca di un controllo assoluto sulla vita.
Pover’ uomo che non trova soddisfazioni, motivazioni alla propria esistenza che lo esaudiscano.

Questo secolo non consente di essere sprovveduti, nostalgici, romantici. Parole, pensieri ed atti di chi ci ha preceduto confermano che a questa perfezione non siamo arrivati e non potremmo arrivarci. Perché se non bastassero i danni che l’individuo si auto produce da solo, ci si è accorti che si deve e dovremo fare i conti con l’universo, la natura, l’ambiente.
Ma anche con se stesso. Le relazioni infatti, siano esse di natura sociale, politica, personale o di genere, assumono forme e contenuti diversi a seconda di dove nascono e si consumano: il rapporto tra giovani e vecchi, tra fasce sociali, tra culture e religioni, tra uomo-donna ecc.
Invece tutto si muove nell’insieme e prescinde da forme organizzative vere e proprie, più o meno imposte.

La pandemia del Covid 19, contro cui ci si sta difendendo e confrontando da quasi un anno, è la dimostrazione che non tutto è prevedibile e controllabile neanche in questo secolo a cui affidiamo tante aspettative per il futuro.
In particolare è l’uomo, in quanto tale, che non ha dimostrato di essere all’altezza.
Perché se è vero che nei secoli precedenti ha forse rischiato o sofferto più di ora, la capacità di elaborare ideali, di aggrapparsi a percorsi religiosi e identitari, di porre la famiglia al centro della sfera affettiva, la partecipazione e la solidarietà di gruppo hanno garantito la motivazione della vita stessa.

Diverso lo schema di oggi. Stordita da sistemi tecnologici che non sempre appaiono indirizzati appunto al benessere individuale e collettivo quanto piuttosto ad economie incontrollate, la società attuale appare come un branco confuso, un gregge sparpagliato alla ricerca dell’appezzamento migliore che non riesce ad individuare.

Ultima sponda, rivolgersi con altrettante ed altre aspettative alla politica che da sempre è stata lo strumento di coesione sociale per programmare forme e regole di benessere comune.
C’è ora un tempo più meno lungo.
In attesa del prossimo DPCM, nel periodo che ne deriverà con le prossime festività, che si perpetuano malgrado tutto e tutti, forse si comprenderà che la nostra appartenenza altro non è che il nostro essere umani.

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