Abbiamo di recente assistito a un fatto sconcertante: un senatore leghista ha proposto un DDL che ha intitolato «Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere», o meglio “Disposizioni per ostacolare l’evoluzione verso una società più giusta e rappresentativa.”. La Lega ha preso poco dopo le distanze e il giorno dopo lo stesso promotore l’ha ritrattata.
Il DDL proponeva il divieto dell’uso di termini femminili per indicare cariche pubbliche e professionali, facendo un passo indietro per l’uguaglianza di genere e l’evoluzione della lingua italiana.
Siamo in tante e tanti a interrogarci sul perché sia potuto accadere in Italia nel 2024 un fatto così fuori dal comune.
È fuori dal comune perché si inserisce in un momento in cui da molte parti (più autorevoli di chi ha proposto il DDL) ci arrivano segni che la lingua italiana sta muovendosi in una direzione opposta e contraria, dimostrandosi una lingua viva e uno strumento di inclusione e rappresentazione.
È antistorico e sessista associare il genere maschile all’autorevolezza e ancor peggio affermare che il femminile possa essere un’offesa alle istituzioni. Nonostante alcune tra le più alte cariche dello stato si aggrappino al maschile come a un salmone che nuota controcorrente, la sensibilità delle persone sta cambiando e siamo pronte e pronti a un cambiamento che è già in corso.
L’aspetto più inquietante è che il DDL proponeva una sanzione per l’uso di termini femminili, una proposta evidentemente sproporzionata e punitiva, che riflette un approccio che penalizza la libertà di espressione e la promozione di un linguaggio che celebra la diversità piuttosto che sopprimerla.
L’uso di termini femminili per cariche pubbliche non è una “modifica impropria”, ma un riconoscimento della presenza e del contributo delle donne in ruoli di leadership e professionali. Imporre una lingua neutra o maschile universale, indipendentemente dal genere dell’individuo, è un’esclusione non solo linguistica ma anche sociale, che rende invisibile l’identità di metà della popolazione.
Secondo le disposizioni di questo decreto anche le parole della preghiera “Salve o Regina” che si rivolge alla Madonna come “avvocata nostra” se pronunciate in un atto pubblico sarebbero fuori legge.
Il mistero più grande è: come è stato possibile che una posizione così iniqua sia riuscita a trasformarsi in un atto formale della Repubblica Italiana? E come mai è stato rinnegato in un tempo così breve?
La risposta a entrambe le domande è una sola: la paura.
Un cambiamento è in atto, i cambiamenti spaventano, e l’effettiva parità dei generi fa molto paura a chi teme di dover dividere i propri privilegi con un numero di persone che improvvisamente raddoppia. Il rinnegare questa posizione è frutto della solita paura di perdere consenso, la paura di non piacere a tutti e a tutte, perché alcune opinioni si possono manifestare solo in circoli ristretti, dove tutti e tutte sono d’accordo, ma condividerle apertamente così come ha fatto il senatore Potenti, è troppo rischioso.
Io sono evidentemente soddisfatta che questa proposta di disegno di legge sia naufragata, ma purtroppo non credo che sia fallita perché chi l’ha rinnegata pensi che effettivamente fosse sbagliata nel contenuto, ma credo che sia successo solo per paura.
Marianna Ghirlanda
AmministratRICE delegatA
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