Cibo e donne Parole di chef

da | Mar 17, 2024 | Testimonianze e contributi

 

Tra gli eventi del decennale degli Stati generali delle Donne abbiamo pensato di organizzare incontri e dialoghi sul tema del cibo visto da noi donne e soprattutto per declinare insieme le parole del gusto.

Era un tema che avevamo già affrontato durante la Conferenza Mondiale delle Donne in Expo 2015 a Milano quando avevamo ospitato Regina Tchelly, la cuoca delle favelas di Rio in Brasile, come madrina dell’evento.

Il cibo è amore, dicevamo allora ,e lo diciamo ancora con maggiore convinzione oggi, con questa nuova rassegna in cui la sociologa Luciana D’Ambrosio Marri, componente del Comitato scientifico degli Stati generali delle donne, dialoga di volta in volta con chef, donne e uomini.

Ma il cibo è anche una potente leva di cambiamento per un futuro più sostenibile, equo e inclusivo. Valorizzare il ruolo delle donne nel sistema alimentare significa non solo migliorare la loro condizione, ma anche costruire un mondo più sano e resiliente per tutti.

L’idea del cibo come strumento di emancipazione e cambiamento sociale assume una connotazione particolare quando associata al femminile. Le donne, storicamente relegate a ruoli domestici e di cura, hanno sviluppato un profondo legame con il cibo, la sua produzione e preparazione. Questo legame offre un’opportunità unica per esplorare il potere del cibo al femminile come leva di cambiamento positivo in diversi ambiti.

Nell’ambito delle connessioni profonde tra nutrimento e cura, Il primo atto di nutrimento, l’allattamento materno, rappresenta un legame simbiotico tra madre e figlio. Le donne, in molte culture, assumono il ruolo primario di nutrici, gestendo la preparazione dei pasti e la cura alimentare della famiglia.

Rievocando una saggezza ancestrale le donne hanno tramandato di generazione in generazione conoscenze legate alla terra, ai cicli stagionali, alle proprietà nutritive e curative degli alimenti. La loro saggezza ancestrale rappresenta un patrimonio prezioso da riscoprire e valorizzare.

Guardando dal punto di vista della sostenibilità e della biodiversità le donne spesso si occupano di orticoltura, coltivazione di ortaggi e cura degli animali da cortile. Questo legame con la terra ci rende custodi di pratiche agricole sostenibili e promotrici della biodiversità.

Ma è soprattutto nelle aree di cambiamento, verso l’empowerment economico, che l‘accesso a opportunità di lavoro e formazione nel settore agroalimentare può contribuire all’emancipazione economica delle donne, garantendo loro autonomia e indipendenza.

Ed anche nell’ambito della sicurezza alimentare le donne svolgono un ruolo chiave nella lotta contro la fame e la malnutrizione. Promuovere l’ accesso delle donne alle risorse e alla formazione in materia di sicurezza alimentare può avere un impatto significativo sulla salute delle Comunità.

Le donne sono protagoniste dello sviluppo rurale, in particolare nelle aree marginali. Sostenere le loro attività agricole e imprenditoriali può contribuire alla crescita economica e sociale delle comunità rurali. In molte realtà del Sud del mondo, il microcredito permette alle donne di avviare microimprese legate al settore alimentare, creando opportunità di lavoro e autonomia.

La creazione di reti e cooperative femminili facilita la condivisione di conoscenze, esperienze e risorse, rafforzando il ruolo delle donne nella produzione e distribuzione alimentare.

Promuovere l’educazione alimentare nelle scuole e nelle comunità, con un focus sul ruolo del femminile, può sensibilizzare le nuove generazioni a una cultura alimentare più consapevole e sostenibile.

Quali sono le sfide e gli ostacoli che ancora oggi noi donne dobbiamo affrontare?

  • La disuguaglianza di genere: le donne continuano ad affrontare discriminazioni e disparità di accesso alle risorse e opportunità nel settore alimentare.
  • Gli stereotipi di genere: che associano le donne al ruolo domestico limitano le loro possibilità di crescita professionale e imprenditoriale.
  • La mancanza di riconoscimento: Il lavoro delle donne nel settore alimentare è spesso sottovalutato e invisibile. È necessario dare maggiore visibilità al loro contributo e valorizzare le loro competenze.

Come intervenire? Quali sono i modelli positivi da far conoscere alle nuove generazioni?

E’ dalle storie di Slow Food di Terra Madre che raccolgo la testimonianza di Doha Asoos Mona, contadina palestinese che ha partecipato qualche anno fa a Terra Madre, l’evento internazionale organizzato da Slow Food ogni due anni, a Torino. Doha scrive:”Amo essere contadina. Sono nata a Burim. Mio padre è stato ucciso quando avevo cinque anni. Eravamo quattro bambini. Mia madre aveva 28 anni e ci ha cresciuti lavorando la terra. Amo questa terra perché ci ha permesso di vivere. Mia nonna ha insegnato le sue conoscenze sulla natura a mia madre, mia madre a me e io le insegno a mia figlia. Questo latte è dalle pecore che alleviamo noi, per questo ci fidiamo di lui. Le uova sono delle mie galline. Queste fave fresche e questi peperoni verdi arrivano dal mio giardino. Nell’orto trovo tutto quel mi serve in cucina: cipolle, lattuga, prezzemolo… Il pane lo faccio io. La farina arriva da questi campi e anche il grano. Amo specialmente l’ulivo, lo curo come un figlio. L’ulivo è il pilastro della nostra casa: se ci sono pane e olio, non c’è bisogno di nient’altro, e possiamo ringraziare Dio. La generosità della terra è ciò che ci permette di vivere. E la cucina è ciò che mi dà gioia, mi rende felice».

Burim si trova in Cisgiordania, una delle terre più martoriate del mondo, quotidianamente assediata dai coloni israeliani. Doha non ha nulla di più del suo pezzetto di terra, qualche albero, pochi animali, ma le sue parole esprimono amore, fiducia, gioia, pace, una profonda connessione con la natura, gratitudine, uno stato di operosa serenità.

Lo sguardo femminile, completo in quanto inclusivo del piccolo e del complesso, del privato che è anche comunità, dell’inespresso che sa diventare affermazione, della memoria come della proiezione sul futuro, promuove e consolida l’alleanza tra essere umano e ambiente”.

Sono proprio le donne, insieme ai giovani, coloro che possono interpretare meglio la rigenerazione, immaginando e perseguendo modelli innovativi, pratiche agronomiche orientate all’agroecologia, stili di allevamento che esprimono un ripensamento del rapporto con gli animali, idee originali nella ristorazione e nell’accoglienza.

Così come sono soprattutto le donne ad adoperarsi ogni giorno per divulgare questi valori: insegnanti, formatrici, divulgatrici e comunicatrici.

Lo sguardo delle donne aiuta la rigenerazione nelle aree rurali, ma anche nelle città. Come stiamo diffondendo attraverso il nostro progetto” Le Città delle Donne”.

Nel saggio “Il senso delle donne per la città”, la geografia urbana Elena Granata spiega come le donne, proprio perché escluse dai giochi – e quindi dalla pianificazione urbanistica, per esempio -, si siano storicamente dedicate di più al design dell’abitare: più giardiniere che progettiste, più pedagogiste che ingegnere, hanno maturato un pensiero laterale e pratico sulle città. Una prospettiva che diventa cruciale oggi, per ripensare la relazione tra città e natura, tra spazio, tempi quotidiani, vita e benessere.

Ed ora un piccolo aneddoto, oggi 17 marzo, per un momento di educazione civica, un’occasione per riflettere sui principi su cui si fonda la nostra Repubblica: la Costituzione antifascista, l’Inno di Mameli, il Tricolore come ideale di Nazione unita e libera che ha animato il Risorgimento e la Resistenza.

Era il 26 luglio 1860. Camillo Benso conte di Cavour così scrive in una lettera un po’ in codice e un po’ in ironia: “Nous secondons pour ce qui regarde le continent, puisque les macaroni ne sont encore cuits, mais quant aux oranges, qui sont déjà sur notre table, nous sommes bien décidés à les manger (“Noi sosterremo ciò che riguarda il continente, dato che i maccheroni non sono ancora cotti, ma per quanto riguarda le arance, che sono già sulla nostra tavola, siamo determinati a mangiarle”). Il conte che sta cercando di portare avanti l’operazione “Unità d’Italia”, comunica in francese che non è ancora arrivato il momento di tentare l’annessione di Napoli (les macaroni), capitale del Regno delle due Sicilie, ma che i tempi sono invece più che maturi per l’impresa garibaldina in Sicilia (les oranges).

Come si vede, uno degli artefici dell’unità politica della penisola ragionava (in francese) in termini alimentari più che pittoreschi. Analizzato meglio, il suo ragionamento lascia trasparire una visione precisa del Bel Paese d’allora: una Italia in frammenti, anche dal punto di vista alimentare.

Dalla lettera di Cavour in poi si compirà quell’opera di modernizzazione della penisola che dal punto di vista politico vedrà sorgere lo stato unitario e dal punto di vista culturale corrisponderà ad una lenta costruzione di punti di riferimento comuni per il mosaico frammentato che era stata la penisola fino a quel momento.

Un puzzle da ricostruire o forse da inventare a partire da nuove basi unificanti, con lo sguardo di noi donne.