Non rileva che il comportamento vessatorio sia durato poco, bastano due condotte a integrare il delitto ex articolo 612 bis Cp: il gesto di tagliarsi le vene mette sotto pressione psicologica la parte offesa – Sentenza del 24 novembre 2014
È punibile per stalking anche chi, davanti alla vittima, minaccia di togliersi la vita. Lo ha affermato la quinta sezione penale della Cassazione con la sentenza 48690/14, pubblicata oggi.
Con la pronuncia, la Suprema corte rigetta il ricorso di un uomo, condannato dalla Corte d’appello di Torino, perché responsabile del reato di stalking ai danni di una ex. La condotta delittuosa si era concretizzata in messaggi, telefonate e appostamenti nei luoghi frequentati dalla vittima. Ma soprattutto, l’uomo, per cercare di dissuadere la donna dall’intento di lasciarlo, avrebbe attuato tre presunti tentativi di suicidio, per poi, attribuire a lei la responsabilità morale del gesto estremo. Il giudice di secondo grado reputava irrilevante la circostanza che l’atteggiamento assillante dell’imputato fosse durato una settimana o poco più.
Tanto basta per configurare il reato ex articolo 612 bis Cp. La Corte di legittimità, conformemente alla decisione dei giudici di appello, rigetta il ricorso.
Alla persona offesa venne cagionato un perdurante e grave stato di ansia e di paura, e che la stessa fu al contempo costretta ad alterare le proprie abitudini quotidiane; l’ipotesi accusatoria è che pertanto la donna venne a subire due degli eventi di danno previsti dalla norma incriminatrice, fermo restando che, ai fini della configurabilità del delitto di atti persecutori, deve intendersi sufficiente che se ne produca anche uno soltanto.
Proprio su quest’ultimo punto la Cassazione afferma che integrano il delitto di atti persecutori di cui all’articolo 612 bis Cp anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice e la sentenza impugnata dà ampiamente contezza dell’iterazione dei comportamenti posti in essere dall’uomo, sia pure in un assai breve lasso di tempo, sottolineandone in particolare la valenza intrinsecamente finalizzata a cagionare nella persona offesa uno stato di grave ansia.
Stato che può senz’altro derivare dalla prospettazione di A a B della volontà di uccidersi, facendo in modo il primo che B assista a gesti di valenza autolesiva, dei quali lo stesso B venga indicato come moralmente responsabile e con tanto di proclama da parte di A del disegno di tentare nuovamente di togliersi la vita. La persona offesa, infatti, venne a trovarsi profondamente turbata sul piano psicologico dalle assillanti condotte del ricorrente, soprattutto a causa del gesto di tagliarsi le vene che l’imputato realizzò più volte al cospetto di lei: tali gesti furono obiettivamente idonei a porre la donna in una condizione di elevata pressione psicologica. I giudici di legittimità respingono il ricorso e condannano l’imputato a pagare le spese di processo. Emiliana Sabia