Il termine non ha più portata offensiva come in passato: è da escludere che la semplice attribuzione di una qualità sulle preferenze del soggetto abbia di per sé un carattere lesivo della reputazione – Sentenza, 30 Novembre 2016
Dare dell’omosessuale a qualcuno non integra il reato di diffamazione.
E così, la Cassazione sdogana tale parola che a conti fatti non è più da considerare come un insulto come accadeva in passato. Lo sancisce la quinta sezione penale della Suprema corte con la sentenza 50569/16, pubblicata il 29 novembre.
Con la pronuncia, gli “ermellini” accolgono il ricorso di un uomo, condannato alla pena pecuniaria dalla Corte di appello per diffamazione per aver definito una persona “omosessuale”. Stando alla difesa del ricorrente, la parola non ha carattere offensivo, sia evocando la perdita di carattere lesivo dell’espressione nell’evoluzione del linguaggio comune, sia evidenziando come il significato del termine non possa considerarsi un insulto.
Alle stesse conclusioni si spinge anche la quinta sezione penale. Va escluso – questo il commento del collegio – che il termine “omosessuale” usato dall’imputato «abbia conservato nel presente contesto storico un significato intrinsecamente offensivo come, forse, poteva ritenersi in un passato nemmeno tanto remoto». E infatti, «a differenza di altri appellativi che veicolano il medesimo concetto con chiaro intento denigratorio secondo i canoni del linguaggio corrente il termine in questione assume infatti un carattere di per sé neutro, limitandosi ad attribuire una qualità personale al soggetto evocato ed è in tal senso entrato nell’uso comune». È da escludere, inoltre, che la semplice attribuzione della qualità, riguardante le preferenze sessuali del soggetto, «abbia di per sé un carattere lesivo della reputazione del soggetto passivo e ciò tenendo conto dell’evoluzione della percezione della circostanza da parte della collettività, quale che sia la concezione dell’interesse tutelato che si ritenga di accogliere». La sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.