Donna e lavoro, di Adele Pesce, il Manifesto 1986, Adele Pesce

da | Ott 29, 2010 | Scritti d'archivio

Come è possibile tenere insieme le analisi che riguardano le donne con quelle più generali sui lavori e sulle occupazioni? Possono le donne, senza perdere o attenuare la loro specificità e differenza, addentrarsi sul terreno generale delle strategie occupazionali e proporre alternative valide per tutti, per le donne e per gli uomini? E come possono farlo con autorevolezza, prive di potere come sono in tutte le istituzioni culturali e politiche? Come utilizzare, dilatandoli, gli spazi che si sono conquistate negli ultimi anni?
Penso che oggi sia possibile, anche se possibile non significa certo facile, più di ieri. Non perché lo consentano le pieghe di una malintesa "modernizzazione", ma perché, proprio partendo dalla presenza continua delle donne dell’universo dei lavori, che ha segnato differentemente tutte le epoche storiche, si possono più facilmente individuare i profondi cambiamenti nei modi in cui le donne si rapportano oggi a questo universo.
   Occorre partire dalla presenza, questa si profondamente diversa da quella di ieri, delle donne nel mercato dei lavori dell’economia ufficiale. Sostengono giustamente alcune studiose (penso a una recente analisi di Lorenza Zanuso apparsa sul primo numero di Politiche del lavoro) che si possono distinguere tre generazioni di donne; una prima generazione che si presentava sul mercato dell’economica ufficiale solo prima di formare una famiglia e che poi ne usciva definitivamente per diventare "casalinga a tempo pieno" (e questo anche se continuava ad effettuare, oltre al lavoro di servizio nella famiglia, tutta una serie di lavori nell’economia informale); una seconda generazione che entrata nel mercato del lavoro ne usciva per ragioni familiari (il matrimonio, i figli piccoli) e tendeva poi a rientrare; una terza generazione di donne che si presenta stabilmente sul mercato del lavoro dell’economia ufficiale, che richiede con forza un lavoro, e una volta intrapreso un percorso lavorativo professionale, non intende lasciarlo per tornare alla famiglia, vuole semmai cambiarlo con uno migliori, più rispondente ai suoi interessi ed alla realizzazione di sé. E’ la generazione caratterizzata da ciò che molte analisi francesi, svolte da donne, chiamano il rifiuto sia dell’alternativa che dell’alternanza tra lavoro di mercato e famiglia; si stabilizza piuttosto nell’arco della vita delle donne il cumulo di queste attività, una situazione che in Italia è più nota con il nome di doppia presenza.
   La presenza crescente delle donne tra la popolazione attiva negli ultimi dieci quindici anni, al di là delle possibilità concrete o meno di trovare lavoro, è un dato di portata sconvolgente che chi si occupa di occupazione tende di solito ad ignorare o a considerare ancora come un boom di breve durata che prima o poi subirà gli effetti di scoraggiamento della crisi, della caduta dei livelli generali di occupazione.
   La crisi, invece, la diminuzione dei posti di lavoro, non ha comportato il minimo movimento di ritorno delle donne al focolare domestico. Anzi, proprio la carenza di occasione di lavoro, sembra rendere più irriducibile la scelta delle donne di presentarsi sul mercato del lavoro.
   Questo mutato atteggiamento delle donne nei confronti dei lavori e dell’occupazione, che si collega con altri mutamenti sia soggettivi che strutturali (la modifica delle strategie matrimoniali, la riduzione del numero dei figli e una scelta di maternità sempre più consapevole, l’aumento dei livelli di istruzione, l’introduzione di leggi di parità non solo nel lavoro ma nel diritto di famiglia, ecc.) sconfigge, forse per la prima volta nella storia, la tesi delle donne come esercito industriale di riserva, delle donne che entrano nella sfera del lavoro remunerato nei periodi di espansione economica o di penuria di manodopera e che vengono espulse dal lavoro nei momenti di crisi e di disoccupazione.
   Le donne stanno invadendo il mercato del lavoro in un periodo di crisi, ma gli studi degli specialisti maschi preferiscono non accorgersene (quando se accorgono parlano del pericolo rappresentato dalle donne sul mercato del lavoro) e continuare a considerare valida (o a desiderare che sia ancora valida) la tesi dell’esercito femminile di riserva. Come si spiegherebbero altrimenti le ricorrenti analisi per indagare se le donne intendono veramente restare nel lavori di mercato, se non sentono i richiami di un ritorno a casa, e la stupefatta emozione quando dai sondaggi emerge ribadita la loro volontà di essere presenti stabilmente – il che non significa con un unico e solo lavoro per tuta la vita – nell’economia di mercato?
   Al dato della maggiore presenza delle donne tra le forze attive del lavoro (occupate e occupati più disoccupate e disoccupati) si accompagna anche un mutamento nell’equilibrio tra livelli di occupazioni maschili e livelli di occupazione femminili. In quasi tutti i paesi dell’Ocde, con l’esclusione dell’Inghilterra che rappresenta un caso a parte, l’occupazione femminile negli ultimi dieci anni non solo ha retto, ma è aumentata, contrariamente a quella maschile che è invece diminuita. Ciò significa che la crisi avrebbe beneficiato le donne a danno degli uomini? Basta osservare, anche per un istante soltanto, le curve della disoccupazione per rendersi conto del contrario; insieme alla crescita vertiginosa della presenza attiva nel mercato del lavoro, alla crescita meno vistosa ma pur sempre significativa dell’occupazione femminile, anche la disoccupazione delle donne non cessa di crescere, in particolare per quanto concerne le giovani generazioni. Può sembrare un paradosso ma è la stessa crescita della disoccupazione femminile a rappresentare un formidabile indicatore dell’evoluzione radicale del rapporto delle donne con il lavoro e disoccupazione.
   Nella struttura dell’occupazione il rapporto tra maschi e femminile segna dunque profondi mutamenti, che tutto lascia ritenere durevoli e certi, che comportano un grande cambiamento delle pratiche sociali.
   Ma se si lascia la struttura dell’occupazione per passare a quella dei lavori, è ancora una volta la segregazione che sembra caratterizzare la situazione delle donne. I mutamenti su questo terreno che pure ci sono (penso per esempio ai percorsi di imprenditorialità femminile e alle forme associative di lavoro che tante donne sperimentano) sembrano lentissimi e tali da non sconvolgere radicalmente la situazione.
   Le donne occupano in tutti i luoghi di lavoro i gradini più bassi della piramide gerarchica e professionale, i loro percorsi di carriera sono più difficili di quelli degli uomini. Le discriminazioni che le donne subiscono sono ancora pesanti e sembra addirittura scattare una sorta di atteggiamento punitivo da parte degli uomini nel proporre alle donne i lavori più precari e dequalificati proprio in risposta alla loro incessante e inflessibile richiesta di occupazione. Questa situazione necessita di almeno due riflessioni: una rinnovata consapevolezza che la segregazione delle donne nel lavoro non nasce dall’interno dell’universo dei lavori, ma è il portato di una contraddizione più vasta esistente tra i sessi nella società. Una contraddizione che occorre saper leggere ed affrontare, che non cancella certo quella tra le classi sociali, che si accompagna a quella anch’essa molto forte tra le generazioni, e che chi promuove le politiche sociali, occupazionali, economiche e del lavoro nel nostro paese non può più ignorare; così come non può certo ignorarla la sinistra all’interno delle sue proposte (non sono forse anche per questa ragione così deboli?) di cambiamento.
   La seconda riflessione è relativa alla "doppia presenza": condizione che non può tradursi per le donne in una stabile "doppia vita". Mentre le donne si presentano infatti inflessibili nel mondo della produzione, gli uomini con altrettanto inflessibile caparbietà, rifiutano di entrare nel mondo della riproduzione, rifiutano di dividere con le donne il variegato e sempre più complesso lavoro di servizio nella famiglia e nella rete del welfare.
   Molti studiosi economisti e politici la maggior parte pensano che questa contraddizione possa essere risolta con le politiche cosiddette della flessibilità, aumentando per le donne i lavori precari e poco gratificanti, a bassa professionalità, e ancora una volta con l’oscillazione – entrate e uscite fluttuanti delle donne nel mercato del lavoro -; accompagnate tutte, queste politiche, dal progressivo restringimento del malfare state, lo strumento in ultima analisi più repressivo per ricacciare le donne a casa, ma che necessiterebbe per essere posto in atto di veri meccanismi autoritari.
   Dopo seimila anni che le donne lavorano le flessibilità che le donne hanno praticamente chiedono e un riequilibrio tra lavoro e vita, e proprio partendo dalla loro esperienza le donne hanno senza dubbio molte cose da dire sulle cosiddette politiche generali. Come ricorda un documento presentato dalla commissione per le pari opportunità dell’Emilia Romagna alla conferenza sull’occupazione femminile promossa dal Ministero del lavoro che si apre oggi, "la stabilità delle tendenze in atto nella struttura dell’occupazione e nell’atteggiamento delle donne nei confronti del lavoro, apre una potenziale competitività tra i sessi, con una differenziazione che si presenterà sempre più accentuata delle donne al loro interno". E questo significa che non si può parlare di "donna e lavoro" al singolare, ma bisogna tener conto sia del fatto che ci sono donne diverse, sia che il mondo dei lavori, anche per il diverso ingresso e la più consistente e stabile presenza delle donne, è un mondo in grande cambiamento che necessita di strategie adeguate sul piano occupazionale e su quello della qualità e organizzazione del lavoro.
   Parlare dunque delle donne e dei lavori significa ripensare nel suo complesso la struttura dell’occupazione, il concetto stesso di lavoro, la più generale organizzazione della società nei suoi aspetti produttivi e riproduttivi, gli stessi termini di uguaglianza e di diversità. Ad azioni positive per la donna che ripercorrono esperienze già fatte in altre nazioni (azioni contro la discriminazione delle donne nei centri di potere, azioni culturali per una diversa divisione del lavoro, di servizio all’interno della famiglia, ecc.) deve accompagnarsi un’attività di intervento e di proposta a tutto campo. Queste cose le donne possono per intanto cominciare a dirle e  …… molte altre.
   L’autorevolezza forse verrà con il tempo.

Commento di Marta Ajò

Una significativa riflessione  di Adele Pesce, sul lavoro femminile e sulle condizioni che ne hanno determinato l’esclusione,  una condizione di marginalità e di sottoutilizzoazione. I rapporti nella società, i limiti della politica ed i ruoli all’interno della famiglia, sono tutti temi che, pur in un’ottica di maggiore consapevolezza, ancora oggi costituiscono materia di riflessione e di crescità culturale, economica e sociale.