Donne che muoiono

da | Lug 5, 2024 | L'impertinente

Come volete che sia scritta una notizia su una donna morta? Un numero, un fatto, un nome, poche righe.
Ma questa volta non è di femminicidi che si scrive, quasi ad averci fatto l’abitudine, piuttosto di quella madre di 40 anni che si è buttata dalla finestra insieme al figlio di soli 6 anni.

La notizia riportata dall’ ANSA:
(ANSA) – Aveva addosso biglietti di addio la donna di 40 anni, una commessa italiana, che si è buttata dal tetto di un condominio in via della Piante, zona Celle, a Rimini, portando con sé il figlio di sei anni, uccidendosi e uccidendo il bambino. Dalle informazioni soffriva di depressione.E’ intervenuto il 118, ma per i due non c’era nulla da fare. La squadra mobile sta svolgendo accertamenti sulla tragedia. La donna, come le altre mattine, era andata ad accompagnare il figlio dai suoi genitori, che vivono nel palazzo, per poi andare al lavoro, mentre il bambino doveva andare ad un centro estivo, accompagnato dai nonni. La quarantenne ha invece raggiunto il tetto della palazzina di cinque piani, da cui si accede da una scala, e si è gettata nel vuoto. Lascia un compagno, a quanto si apprende padre del bambino.

Non è la prima volta che si legge di madri che si suicidano portando verso quell’orribile destino anche  il proprio figlio.
Purtroppo questi fatti rappresentano la soluzione il finale di un disagio preesistente, di cui non sempre si avvertono segnali né richieste d’ aiuto.
In una realtà sociale, non controllabile, che spesso aliena i rapporti ed isola dal contesto, la maternità è sicuramente una delle fasi di maggiore vulnerabilità
In questo caso, non approfondito dalla cronaca né da chi scrive, la donna aveva un lavoro e riferimenti familiari e il figlio accudito.
Cosa porta allora una madre a decidere di farla finita?

La solitudine affettiva, un amore finito male, un lavoro insoddisfacente, una delusione di altra natura, la paura di non farcela a sostenere qualsiasi ipotesi di futuro? Non sapremo mai cosa si poteva fare. Ogni persona vive qualcosa di profondamente sconosciuto agli altri. Forse si poteva aiutare o sostenerla, solo a saperlo? Forse qualche aiuto psicologico, un’ assistenza, chissà!

Però…
E’ sempre giusto ripetere che è diritto di una madre conservare la funzione materna a tutti i costi?
Ovvero, ove si constatino debolezze strutturali e familiari, fragilità mentali, incapacità relazionali o di accudimento? Sono sempre giuste quella battaglie tout court per salvaguardare questo ruolo (forse perché è la vera differenza e strumento) come intoccabile e santificato. Anche quando una maternità sbagliata produca guasti e dolori?
Quando, al contrario, è giusto e doveroso allontanare un figlio dalla madre?
Pensiamo all’allattamento: il latte della madre è “migliore-unico”. Eppure milioni di esseri umani sono cresciuti bene e meglio con quello artificiale.
Cosa realmente serve o cosa è giusto o cosa è meglio, dopo averlo partorito un “figlio-essere umano” per garantirgli una buona vita?

Non sarebbe futile, né compiacente, una riflessione da parte di coloro che sventolano la bandiera dell’essere madri ed ammettere che qualche volta meglio impedire di esserlo. Esistono luoghi di dibattito e di decisioni. Senza scandalizzarsi di porsi questo interrogativo o di esprimere questo pensiero.