Donne: conoscenza, cura, gabbie

da | Ago 31, 2021 | L'opinione

di Nicla Vassallo

La filosofa Nicla Vassallo (https://www.niclavassallo.net/), di fama internazionale, agnostica, attivista, tiene una lezione magistrale, “La cura delle donne”, l’11 settembre a con-vivere, dedicato quest’anno al tema della cura, e una lezione magistrale, “Le gabbie delle donne”, il 19 settembre al festivalfilosofia, dedicato quest’anno al tema della libertà. Qui ci racconta, racconto frutto di un dialogo con lei, come, in preparazioni di tali lezioni, stia riflettendo, tendendo contro della drammatica situazione in Afghanistan.

 

Donne: conoscenza, cura, gabbie

Quando sono stata invitata a con-vivere e al festivalfilosofia, due festival eccellenti, entrambi legati a un amico molto caro, Remo Bodei, ho accettato di buon grado di parlare di filosofie delle donne. Avevo pensieri più o meno chiari, chiari come può averli un filosofo, che ci dice come le cose debbono stare, al meglio, non come stanno, ma che, dal come stanno, deve partire. Rispetto a questi due appuntamenti ero consapevole di trovarmi nel settembre del 2021, vent’anni giusti dal settembre 2001. Non sapevo dell’incubo – benché fosse prevedibile – che avrebbero vissuto da lì a poco le donne in Afghanistan.

Lo scorso 11 maggio, in Fondazione Basso, Giacomo Marramao e io registriamo un dialogo sulle filosofie femministe, e decidiamo per trarne un volume, cedendo i diritti d’autore a Nove Onlus, a sostegno del Progetto Pink Shuttle.
La cosiddetta offensiva talebana inizia ufficialmente lo scorso primo maggio, il 15 luglio oltre un terzo dei distretti dell’Afghanistan è sotto il controllo degli “studenti” (cosa significa studiare?), il 21 luglio oltre la metà. Già, da tempo in tempo, i drammi si stanno rapidamente consolidando ed estendendo.
Ora non mi sto chiedendo se la democrazia sia esportabile, anche perché prima dovrei sapere rispondere alla domanda “che cos’è la democrazia” e “come la conosciamo?”. So che esportiamo armi questo, sì.

Ora ascolto il silenzio dei paesi mussulmani, e non solo il loro. E ricordo che l’Antico Testamento, per quanto “corrotto”, viene considerato un testo divino dalle religioni monoteiste, e che nelle religioni non vigono le argomentazioni, non senz’altro le argomentazioni valide, a differenza di quanto avviene nella filosofia. Un testo del patriarcato. E, che so, a rileggere San Paolo sulle donne viene perlomeno la pelle d’oca. E la caccia alle streghe? Donne che si “cacciano” ancor ora, in troppi paesi. Donne animali, braccate. E, in Italia, da quando abbiamo cancellato il delitto d’onore, e a quanti femminicidi stiamo assistendo?
Vi è tuttavia una discrepanza primaria: da noi le donne hanno un certo margine di scelta, di libertà di scelta, in altri luoghi (quasi) nessuna. Senza poi parlare delle bambine e delle ragazzine.

Qualcuno deve essere ancora convinto che le donne siano oggetti, derivati, e nelle religioni moniste, da una costola di Adamo. Diverse le versioni dell’accaduto religioso-mitologico, che si trovano nella Genesi, e sulle traduzioni poco chiare dall’ebraico di “costola” – ma da filosofa non posso che ricordare e rammentare il problema sollevato da Willard Van Quine con l’esperimento mentale della “radical translation”, volto a testare l’indeterminatezza della traduzione.

In ogni caso, nella Genesi (2.21-22), in italiano, leggo:
«Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo».
Parecchio generoso questo dio, ottimo anestesista e chirurgo, se si tratta di operare sull’uomo, il maschio. Poi giunge sulla scena il serpente (forse, un fallo, quello che feconda in alcuni miti la Dea Madre, o simbolo variegato nella psicoanalisi?), un animale parlante (perché no?), il più “astuto di tutti gli animali” (e, al momento, sorvolo sui paradossi che riguardano l’onnipotenza di dio, anche per quanto riguarda la conoscenza, o meglio la sua onniscienza). Che vuol dire in ogni caso astuto? Sta mentendo (ovvero, non sta dicendo a quel che crede?).
Sottotesti a parte sul serpente,

Dio alla donna dice:
«Moltiplicherò
i tuoi dolori e le tue gravidanze,
con dolore partorirai figli.
Verso tuo marito sarà il tuo istinto,
ma egli ti dominerà».
(fonte https://www.vatican.va/archive/ITA0001/_P3.HTM)

La donna è giunta alla conoscenza del dolore, della condanna, a partorire, di un istinto animale, quello maschile direi, non femminile (sebbene “istinto”, “femminile”, “maschile” cosa significano?). Conoscenza che dona, sacrificandosi all’uomo, conoscenza destinata a dolori, gravidanze, parti, figli, domini di mariti. E non è solo conoscenza del bene e del male. Sarebbe banale.
Si tratta piuttosto di conoscere: conoscenza competenziale, conoscenza diretta, conoscenza proposizionale, per limitarmi a tre tipologie.
Perché conoscere? O aspirare dalla conoscenza? Perché altrimenti (primo libro della Metafisica del comunque misogino Aristotele), non si è esseri umani.
Ma, a differenza di quanto fanno i vari adepti alle religioni, in filosofia si deve argomentare bene, altrimenti non si è filosofi, non si fa filosofia. E vi sono domande prioritarie: che cos’è la realtà? che cos’è la conoscenza. Ci si deve pertanto chiedere anche che cos’è la donna? che cosa è la conoscenza della donna?
Credo che le donne debbano conoscere, che sia un dovere umano e civile garantire loro tale possibilità, una necessità, affinché siano esseri umani, non oggetti, non passivi/e; che loro stesse la rivendichino è un tragitto, un guado, una traversata vitale, di bolina, per uscire dalle gabbie dell’essere donna stereotipate su La Donna.

Ragionare sulla cura delle donne è domandarsi cosa sia la cura (e la teoria dell’etica della cura di Carol Gilligan non mi pare la migliore risposta); è domandarsi perché mai le donne, e non gli uomini, si debbano prendere cura di? Non si dovrebbero forse prendere cura innanzitutto di loro stesse, e non in funzione di? E delle donne non ci si dovrebbe forse prendere cura? O lo ricordiamo solo ogni tanto, snocciolando buoni propositi, che assai di rado verranno messi in atto?
Non è che non ci si debba prendere cura degli altri, anzi. Generosità e umanità debbono essere sempre essere vigili e all’opera, e oggi lo dovremmo tener ben presente.

Ma la cura delle donne per gli altri non deve costituire un destino, una caverna, non deve essere una delle tante gabbie, che costringono le donne a non essere se stesse, ad abdicare alla propria identità personale.
Si pensi a quando si è in stato di ipossia. È noto che non si riesce a ragione, e ciò vale per gli uomini e per le donne. Così, su un aereo, in caso di depressurizzazione, occorre indossare la maschera dell’ossigeno, e farlo correttamente, per poter essere lucidi, al fine di tentare di aiutare gli altri a mettere la maschera, salvando al contempo se stessi. Lucidamente, al meglio. Questo sull’aereo. E sulla terra? Spesso mi pare che alle donne sia richiesto di non indossare per prime la maschera d’ossigeno.
Mettiamo poi che una donna si trovi su un aereo, e le sia stata negata fino all’ora molta troppa conoscenza, si trova in una gabbia – questo sulla terra e sull’aereo. Se conosce così poco, immagino che non sappia leggere le Flight Safety Instructions, né a comprendere cosa dice l’assistente di volo, figuriamoci sapere cosa sia una maschera d’ossigeno, o l’ipossia.

Come si può riuscire a vivere, anzi, mettiamo pure, a sopravvivere, in una gabbia?
Le gabbie delle donne: quelle ove sono imprigionate realmente dai propri aguzzini, o metaforicamente. E le donne che, causa mancanza di conoscenza, d’amore, non si rendono conto di coloro con cui hanno a che fare.
Da qualche anno, va di moda in Italia parlare di gender, genere, e su tale categoria (il genere non può aspirare allo status di concetto) si sta elevando un po’ di troppo, e lo si eleva, senza saperlo, sulle sabbie mobili. All’estero, sono anni che argomentiamo contro l’abolizione dell’appartenenza, appartenenza che è una costrizione, una gabbia. Impone alle donne che ingabbiate quale vere donne dal punto di vista sociale, e di conseguenza individuale, donne alla fin fine di essere donne vere, come sono veri i pomodori, colti nell’orto, non quelli dell’ipermercato. O come il frutto proibito che Eva ha colto?

E tuttavia ritengo che la categoria di donne (non di donna, non di “La donna”: maddalena o madonna, stereotipi che, tra l’altro si prendono cura degli uomini, e soggiacciono a un deprecabile dualismo) vada conservata sul piano descrittivo, mentre abolita, come dicevo, sul piano normativo: se non la conservassimo, in attesa di tempi migliori, al fine di abolirla, non riusciremmo a testimoniare, denunciare quanto le donne subiscono, incatenate a follie, pregiudizi, narcisismi maschili, maschilisti, patriarcali.
Di donne ingabbiate ve ne sono molte troppe. Specie, ma non solo, sotto i totalitarismi, gli oscurantismi, gli imperialismi, i fondamentalismi, che da sempre rendono impongono l’ignoranza ai popoli, perché così sono più controllabili. E le donne devono essere sempre maggiormente controllabili, così la loro ignoranza diventa indispensabile, per ingabbiarle ancor di più.

L’Afghanistan di oggi, e chissà quello anche solo tra qualche mese, ce lo esplicita. Non avremmo dovuto accorgercene prima, parecchio prima? Da anni, troppi dati, fatti attestano che l’Afghanistan è uno dei luoghi peggiori, pessimo per le donne: si colloca al 156º posto sui 156 paesi per The Global Gender Gap Index 2021 ranking. Con l’Italia, in ogni caso, non in brillanti condizioni: 63° posto.
1939, Europa. Hitler che, le tante cose, afferma “Una donna deve essere una piccola cosa carina, carezzevole, ingenua – tenera, dolce, e stupida”: le donne devono essere madri e spose, e vengono escluse da ogni altro “ruolo”, in particolare dall’accademia e dalla politica. Le gabbie. Con Stalin, invece, dal 1934 al 1940, il numero delle donne nei gulag passa da 30.108 a 108.898: atrocità assicurata.

Ma ci sono donne non ingabbiate, che si sanno prendere cura di sé, donne fuori dagli stereotipi, inquiete, trasgressive, androgine, estranee alla propria appartenenza al genere “donna”.
1939: Marlene Dietrich, rinuncia alla cittadinanza tedesca, per quella americana, si oppone al regime, aiuta, insieme ad altri fuoriusciti, le vittime della discriminazione nazista, per condurle fuori dalla Germania.
1939: Annemarie Schwarzenbach lascia la Svizzera su una Ford, con Ella Maillart: due donne sole verso l’Oriente. Dalla Turchia alla Persia. In Afganistan, tra l’altro “la mobilitazione a Kabul”, “Nel giardino delle belle ragazze di Kaisar”, “Il chador”, scritti e foto – cfr. il taccuino contenuto in Dalla Parte dell’ombra (Il Saggiatore 2001). Un anno prima, del 2000, esce Lei così amata di Melania Mazzucco (Rizzoli).

Oggi donne afgane rinunciano all’Afghanistan e si adoperano per donne e uomini del loro paese, ma non credo ci possano essere donne “occidentali” alla guida di un’automobile, nel senso che temo fortemente che sopravviverebbero.
Gli esseri umani, appartenenti, al momento, al genere “donna”, oltre che al genere “uomo”, debbono venir “curati” con la conoscenza, e si debbano curare con la conoscenza, perché solo e solo se si conosce si aprono di fronte a sé ventagli di scelte di libertà possibili, per fuggire dalle gabbie.
Credo che ognuno di noi abbia il diritto, il dovere, la responsabilità della propria identità personale, e a che a ognuno vada assicurata la possibilità di cercarla, di aspiravi.
Confido sempre più nel valore della testimonianza, ovvero nella trasmissione della conoscenza. Se fossimo egoisti epistemici, che fine avremmo mai fatto e dove ci troveremmo? Ma nel passato e nel presente quali e quante sono le donne che possono testimoniare, che sono libere di farlo, e che dispongono della conoscenza di sé, della propria condizione, della conoscenza degli altri e di quella del mondo, per farlo?

Percezione, ragione, memoria, introspezione, testimonianza sono le nostre tre fonti conoscitive principali. Nei Dieci Comandamenti viene considerata sono la fonte della testimonianza, e sia nell’Esodo, sia nel Deuteronomio si legge: «Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo». In quanti totalitarismi si testimonia il falso, contro le donne? E, laddove le donne non possono testimoniare, come è possibile che vengano accusate di falsa testimonianza? Eppure, accade.
11 settembre 2001, in Gallura tira maestrale forte, mi riparo in una caletta a Sa Maddalena. Un sms di un’amica: “Ascolta la radio!”. Con la Vespa corro in paese. Deserto.

Perché? Entro in un bar: la sola. Su uno schermo scorrono immagini. Aerei. Torri Gemelle. Persone che si gettano nel vuoto. Fatico a comprendere. Quel che so è che l’Isola di Santo Stefano è lì, di fronte, con i suoi sommergibili americani nucleari. Mi chiederò dopo, e forse capirò, come mai una base militare americana, e non solo quella della Maddalena, si trovasse in un allarme rosso, in cui alcune persone civili potessero camminare per le vie del centro della cittadina.

Non so quante donne si siano gettate nel vuoto, dalle Twin Towers, per salvarsi. Sono venuta a sapere che Kathy N. Mazza, Yamel Josefina Merino, Moira Ann Smith, e chissà quante altre, hanno donato la propria vita per salvare altre vite.
Qualche giorno fa, su uno schermo, vedo, sgomenta, altre persone che si gettano nel vuoto. Ci vengono trasmesse immagini e immagini, non solo di aerei che decollano comunque, ma di donne che in tante fotografie non ci sono. Il terrore, un incubo incombe su di loro, su bambine, ragazze, donne. E il burqa è il minore dei problemi, ammettiamolo. Anzi è il modo, forse l’unico modo, in quel “mondo” di difendersi, di salvarsi. Come, in fondo, è stato il velo da noi per molti secoli. E di donne con il burqa se ne vedono parecchie anche quando passeggio nel centro di Londra. Ma Londra non è Kabul.

Tra l'estate e l’autunno del 1940, il Regno Unito e in particolare Londra vengono bombardati dalla Luftwaffe – la Londra di Virginia Woolf, anche lei inquieta, trasgressiva, androgina, estranea alla propria appartenenza al genere “donna”. Nelle ultime lettere a Vita Sackville-West parla dell’importanza del burro e del fieno, e in quella del 22 marzo 1941 – sei giorni dopo si toglierà la vita – esprime di desiderio di recarsi col marito dall’amica, e si domanda: Quando verremo? Lo sa Dio”. (cfr. Cara Virginia. Le lettere di Vita Sackville-West a Virginia Woolf, La Tartaruga 1985).
Virginia Woolf grande scrittrice, attivista, sostenitrice del fabianesimo, non solo sa scrivere (e più che mai eccelso scrivere), ma può anche scrivere lettere all’amica di sempre, spedirle, l’amica di sempre le risponde, e viceversa. Sotto i bombardamenti.

E in Afghanistan?
7 ottobre 2001, le forze armate statunitensi e britanniche iniziano a bombardare l’Afghanistan.

Oggi rileggo e rifletto su un articolo della filosofa Marion Young, “The Logic of Masculinist Protection: Reflections on the Current Security State”, (Signs 2003), e su un volume collettaneo, curato da Carol Cohn, Women&Wars (Polity Press 2013) per comprendere meglio il valore della conoscenza, rispetto alla cura, e alla libertà, per riflettere meglio sull’amicizia tra donne quale forma di conoscenza, di cura, di libertà, e tornare così a rivedere quanto dirò a con-vivere e al festivalfilosofia.