Sono qui proposte le interviste realizzate dall’Autrice a tredici donne albanesi, alcune delle quali emigrate in Italia. Il racconto delle loro esperienze riflette le problematiche proprie dei regimi totalitari, ma anche quelle della difficoltosa integrazione nel Paese che le ha accolte.
«Durante il regime di Enver Hoxha le donne albanesi erano protagoniste di un discorso pubblico di parità ed emancipazione. Se prima del 1944 società e famiglia erano modellate su principi “clanistici” e patriarcali, con la presa del potere del Partito dei lavoratori (e delle lavoratrici) viene trapiantata, quasi chirurgicamente, una realtà nuova. Le donne, nelle città e nelle campagne, vengono inserite nei programmi di alfabetizzazione forzata. Le tradizioni religiose vengono bandite, l’intero Paese è messo a lavoro e addestrato militarmente. Il regime per alcuni aspetti migliorò la condizione della donna, inserendola in strutture sociali collettive ed equiparandola dal punto di vista dei diritti formali agli uomini. Ma la libertà di scelta era del tutto assente nell’Albania comunista. Non solo erano vietati l’aborto e l’omosessualità, ma i vecchi schemi culturali patriarcali venivano interamente riassorbiti dal nuovo corso socialista. Non era socialmente accettata la libertà sessuale, non venivano riconosciuti diritti riproduttivi, e soprattutto le donne continuavano a essere le uniche titolari del lavoro di cura. Sul genere femminile pesava un triplo carico: dovevano lavorare, partecipare alle attività politiche e propagandistiche, e occuparsi a titolo esclusivo dei lavori domestici e della cura dei figli. Erano senza dubbio i soggetti più sfruttati». (dalla Prefazione di IRENE STRAZZERI)