Dove Dio è maschio (… il maschio è Dio)

da | Mar 27, 2018 | L'opinione

di María López Vigil

 

 

Ricordo perfettamente dove mi trovavo, una decina di anni fa, quando aprii un bollettino di notizie del Consiglio mondiale delle Chiese, che ricevevo periodicamente, e vi lessi quel titolo: «Dove Dio è maschio i maschi si credono dei». Non si cade solo sulla via di Damasco… In quel momento non caddi dalla sedia e continuai come sempre, ma quel titolo fu come una rivelazione. Divenni consapevole di qualcosa di essenziale. Catturata da quella idea, iniziai un cammino che da allora non ho mai smesso di percorrere.

Sotto questo titolo si trovavano le parole pronunciate dalla ministra protestante Judith van Osdol in un incontro regionale di donne svoltosi a Buenos Aires. «Le chiese che immaginano o rappresentano Dio come un maschio devono farsi carico di questa immagine che hanno creato come un’eresia. Perché là dove Dio è maschio, il maschio è Dio…».

Nel leggere queste due frasi sentii che stavo toccando le radici più antiche della discriminazione, dello svilimento, del disprezzo, della violenza contro le donne… Da allora ho continuato a riflettere, analizzando il modo in cui si è costituita questa antichissima radice.

Se ogni religione consiste nel rendere visibile in parole, narrazioni, immagini il Dio che nessuno ha mai visto, è evidente che la religione cristiana, di matrice ebraica, ha usato preghiere, lodi, pitture, canti, sculture e simboli tutti maschili per rendere “visibile” Dio. Solamente alcuni riferimenti biblici hanno un carattere femminile. Oltre al fatto che oggi si è incorporato nel linguaggio liturgico il richiamo a “Dio padre e madre”… Sarà sufficiente?

Partendo dalla nostra eredità culturale possiamo affermare che Dio, per quanto non abbia sesso, ha però da migliaia di anni genere: il genere maschile. Sappiamo che il sesso è una caratteristica biologica e il genere una costruzione culturale. Per questo, sebbene in Dio sia presente tanto il femminile quanto il maschile come espressioni della Vita, nella cultura ebraico-cristiana, cattolica, ortodossa o protestante, nei testi di quattromila anni di scrittura, nella letteratura dell’ebraismo, in quella di duemila anni di cristianesimo, come pure nell’islam, Dio ha un genere e questo genere è quello maschile. Ciò significa che Dio è immaginato, pensato, concepito, pregato, cantato, lodato o rifiutato… come un maschio. Come non pensare allora che questa millenaria identificazione culturale di Dio con la maschilità non abbia conseguenze nella società umana?

Essendo il genere una costruzione culturale, è naturalmente suscettibile di cambiamenti. Perché tutto ciò che si costruisce si può disfare per ricostruirlo di nuovo. Credo che di questo si tratti: di ricostruire il volto di Dio anche al femminile, un compito non da poco, ma come non pensare che avrebbe importanti conseguenze sull’etica, sulla spiritualità…?

Dall’antropologia culturale sappiamo che al principio Dio “è nato” nella mente umana al femminile, che l’idea di Dio è sorta in connessione con la sfera femminile. Per millenni l’Umanità, piena di meraviglia dinanzi alla capacità della donna di generare nel suo corpo il miracolo della vita, venerò la Dea Madre, vedendo nel corpo della donna l’immagine divina.

Millenni dopo, la rivoluzione agricola portò all’accumulazione di cereali, di terra e di animali… e portò con sé anche la necessità di difendere con le armi i granai, le terre e il bestiame. In questa fase, e a poco a poco, la Dea Madre venne spinta ai margini e divinità maschili e guerriere, che decretavano la guerra ed esigevano sacrifici sanguinosi, si imposero su tutti i popoli della Terra. Le divinità maschili assunsero il dominio delle culture del mondo antico e da allora presero il sopravvento in tutte le religioni che oggi conosciamo. Anche in Israele la Dea Madre venne soppianta e Yahveh si impose nell’immaginario del popolo ebraico. È l’origine di ciò che oggi chiamiamo «cultura religiosa patriarcale».

Nell’iconografia cristiana, nelle immagini che abbiamo visto da bambini, Dio è un vecchio con la barba. È pure un Re con corona e scettro seduto su un trono. È un Giudice inappellabile, dalle decisioni imperscrutabili. È anche il Dio degli Eserciti. È sempre un’autorità maschile. I dogmi cristologici ci dicono che questo Dio Padre ha un Figlio, anch’egli Dio, che si «fece» uomo, il che indicherebbe una sua essenza anteriore a questo «farsi» anch’essa maschile. La terza persona in questa «famiglia divina» è lo Spirito Santo. Benché in ebraico il termine spirito sia femminile, la ruah, la forza vitale e creatrice di Dio, quella che mette tutto in movimento e anima tutte le cose, ci viene insegnato che lo Spirito lasciò incinta Maria, il che ci induce a pensare che lo Spirito sia un principio vitale maschile.

Persino in espressioni religiose più recenti, popolari e liberatrici come quelle presenti nella Misa Campesina nicaraguense, Dio appare come un uomo. Lo cantiamo come «artigiano, carpentiere, muratore e operaio». Non ha, questo Dio, nessun impiego femminile. E lo «vediamo» alla pompa di benzina controllare i pneumatici di un camion, pattugliare le strade, lucidare scarpe nel parco, sempre in lavori da uomini. Non lo vediamo lavare o cucinare o cucire, tantomeno allattare. È un Dio povero e popolano, ma… è maschio. Il Dio della Teologia della Liberazione continua a essere un Maschio.

Gesù di Nazareth era stato educato alla religione dei suoi padri. Nell’ebraismo Dio era immaginato e pensato sempre in chiave maschile. Gesù ce lo ha presentato come un Padre buono e lo ha chiamato Abbà, non Immà. Tuttavia, negli atteggiamenti di Gesù si nota un approccio nei confronti delle donne simile a quello adottato nei riguardi degli uomini, in contrasto con la sua religione. E nella proposta etica di Gesù si trovano valori attribuiti dalla cultura al «femminile»: la cura, la passione e la compassione, la non violenza, la vicinanza, l’empatia, l’intuizione, la spontaneità…

Anche in qualche sua parabola c’è una pista interessante. Forse un’intuizione dell’uomo di Nazareth? Gesù rese le donne protagoniste delle sue similitudini con Dio e con l’agire di Dio. Nella parabola del lievito ha parlato di quello che avviene con il Regno di Dio, che basta un pizzico di lievito per far fermentare la pasta, ed erano le donne che facevano il pane, che avviavano questo processo. Ha parlato anche della cura di Dio per tutti i suoi figli, paragonando Dio a un pastore che lascia le sue novantanove pecore nel deserto per andare in cerca di quella che si era smarrita. E immediatamente il Maestro «femminilizza» la similitudine dicendo che Dio assomiglia anche a una donna che cerca ansiosamente una delle dieci monete che aveva perduto…

Questi paragoni dovevano risultare sorprendenti ai suoi ascoltatori, educati a una cultura religiosa in cui Dio aveva un genere maschile e in cui le donne erano totalmente discriminate nelle pratiche, nei riti e nei simboli della religione. Confrontando i sentimenti di gioia di Dio con quelli del pastore che ritrova la sua pecora e con quelli della donna che recupera la sua monetina, Gesù ha ampliato l’immagine di Dio, parlando di un Dio che nessuno ha mai visto, ma che sia gli uomini che le donne rivelano e manifestano quando si prendono cura della vita.

L’immagine maschile di Dio, tanto radicata nella nostra mente, produce delle conseguenze. Non è forse la più ovvia quella di dedurre che, se Dio è visto come maschio, i maschi vedranno se stessi come dei? E, inoltre, se Dio è visto come un maschio che ordina, impone e giudica, i maschi, che si vedono come dei, non si metteranno anche loro a ordinare, a imporsi e a giudicare? Non starà forse qui la radice più antica e più nascosta che giustifica e legittima l’ineguaglianza fra uomini e donne? Non starà qui anche la spiegazione, per quanto sotterranea, della discriminazione e della violenza degli uomini contro le donne? Non sarà che questa radice, essendo rimasta così nascosta, per così tanto tempo intatta, ci ha anestetizzato tutti, uomini e donne, rispetto alle conseguenze?

Tutta la nostra cultura cristiana è articolata a partire dall’immagine di un Dio maschile che regge la sua creazione dall’alto e da fuori. La Dea Madre unificava tutti gli esseri viventi, umani, animali e piante, dall’interno di tutto il creato. Il risultato dello squilibrio storico che l’ha sostituita per imporre lui, che ha opposto il maschile al femminile trasferendo questo conflitto all’immagine di Dio, ha delle conseguenze sul modo in cui abbiamo costruito il mondo e su come viviamo nel mondo. Non sarà un compito urgente quello di studiarle?

tratto da https://comune-info.net