A Trieste, una donna sgozza il figlio di nove anni. È accaduto mercoledì sera, 12 novembre, nella loro abitazione. Ha ucciso il figlio di nove anni tagliandogli la gola. Ha usato un grosso coltello da cucina e ha poi tentato di tagliarsi le vene.
19 Novembre: Madre uccide figlio e si suicida. Tragedia a Calimera, dove madre e figlio sono stati trovati morti. Si ipotizza un infanticidio-suicidio.
Due titoli apparsi su tutti i media.
Due donne ammazzano i propri figli.
Il terreno per la discussione è largo come una voragine.
Ma è una discussione che non appassiona.
Certo erano persone fragili, certo avranno subito pressioni relazionali, ambientali, economiche.
Ma niente giustifica questi atti orrendi, specie perché riferiti a esseri umani indifesi come i bambini, ancor più in ambito familiare che dovrebbe garantire loro la sicurezza.
Non appassiona comprendere ciò che ha scatenato questi atti. Possiamo, forse, immaginarli.
Non interessa né mettere al rogo queste due donne né tantomeno trovare una giustificazione possibile-impossibile.
Perché non basta essere uguali per il genere a fare scattare un moto di solidarietà.
Il peso e l’angoscia della maternità, il senso d’inadeguatezza a questa responsabilità sono ben conosciuti e riconosciuti.
Ma nelle donne, che dopo un impegnativo travaglio prendono coscienza e conoscenza di quel piccolo essere, scatta quella forza, quella capacità solo in parte naturali, e una volontà al mantenimento della vita che prende il sopravvento, come hanno fatto per secoli.
Allora, di queste donne-madri, infelici e portatrici di infelicità, possiamo provare a comprenderle ma la morte indotta in modo terribile ai loro figli impedisce ogni moto di sorellanza..
immagine: Medea, con i suoi figli morti, fugge da Corinto su un carro trainato dai draghi. Germán D. Hernández Amores. Olio su tela. 1887

