È violenza sessuale costringere la moglie a un rapporto intimo anche se lei non si oppone

da | Ott 8, 2015 | Anno 2015

Rilevante il contesto di sopraffazione e infedeltà nell'ambito del quale si consuma l'atto – Sentenza del 5 ottobre 2015

 

Commette violenza sessuale il marito, violento e pericoloso, che obbliga la moglie ad avere rapporti con lui, soprattutto se la coppia ha perso da tempo l’intimità. E’ infatti da escludere che sussista un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali come mero sfogo dell’istinto sessuale contro la volontà del partner, tanto più se tali rapporti avvengano in un contesto di sopraffazioni, infedeltà e/o violenze che costituiscono l’opposto rispetto al sentimento di stima, affiatamento e reciproca solidarietà in cui il rapporto sessuale si pone come una delle tante manifestazioni. Bene dunque sottolineare che perché si configuri il reato previsto dall’art. 609 bis Cp è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psico-fisico che incida sull’altrui libertà di autodeterminazione. Il rapporto coniugale non fa sì che un coniuge sia oggetto di possesso dell’altro. Quindi laddove l’atto sessuale venga compiuto quale mera manifestazione di possesso del corpo, esso acquista rilevanza penale. E ancora è bene evidenziare che non basta a escludere il reato la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli. Infatti l’agente che si rende protagonista di una sopraffazione e che umili la vittima, già è consapevole della mancata volontà di essa di avere un rapporto. A sancirlo è la sentenza 39865 del 5 ottobre 2015 della terza sezione penale della Cassazione che ha rigettato il ricorso del coniuge aguzzino che nel tempo si è reso protagonista di maltrattamenti in famiglia e di violenza sessuale nei confronti della moglie. Con varie censure l’uomo ha tentato di impugnare la sentenza della Corte distrettuale che lo scagionava dall’accusa di lesioni personali, per tardività della querela ma non dalle altre, rideterminando la sua pena in tre anni e nove mesi di reclusione. In ogni modo la difesa del ricorrente ha tentato, vanamente, di dimostrare che anche la donna avesse le sue responsabilità nella conflittualità di coppia, accusandola, addirittura, di essere incline al divertimento, trascurando la famiglia, allacciando varie relazioni sentimentali durante il matrimonio. Accuse smentite dai vari testi succedutisi dinanzi al giudice. La Corte territoriale, ben ha giudicato secondo gli “ermellini”, inquadrando l’episodio di violenza sessuale in un contesto complessivo di maltrattamenti seriali. La Suprema corte sottolinea anche che se da un lato la libertà sessuale va intesa come libertà di espressione e autodeterminazione afferente alla sfera esistenziale della persona, e come tale inviolabile, è comunque innegabile che tale libertà non è indisponibile occorrendo pur sempre una forma di collaborazione reciproca tra soggetti che vengono in relazione (sessuale) tra loro.