di Letizia Paolozzi
Io sono misogina. Lo sono perché pretendo molto dalle donne; perché sono pronta alla critica e poco comprensiva con il mio sesso (mentre rispetto agli uomini nutro una sorta di scetticismo soft). Lo sono perché, alla maniera del vecchio femminismo, del femminismo delle origini, le donne mi piacciono. Mi piace il loro pensiero. Ho curiosità per i loro comportamenti.
Allora, queste ultime nomine femminili “l’insistenza pop di Renzi che privilegia persone che già occupano posizioni di elevato potere” (Severino Salvemini sul “Corriere della Sera”) mi provocano un attacco di misoginia? Ma no. Il fatto che dopo decenni di assenza dalla scena illuminata, le donne siano nel Parlamento, al governo, nei gruppi dirigenti dei partiti (non tutti), a capo di società pubbliche, mi sembra un passo avanti. Perdonatemi l’ovvietà ma preferisco che le donne ci siano piuttosto che non ci siano. Dipende questa presenza dalle invocazioni alla “rappresentanza di sesso”, alla “democrazia di genere”, alle pari opportunità e alle quote rosa? Dipende dalla legge sulla parità di genere? Secondo me, comunque, una è una modificazione dell’ordine simbolico.
Certo, l’opinione pubblica chiede una presenza femminile là dove di donne ce n’erano poche. O nessuna. D’altronde, vederle dove non te l’aspetti, è una sorpresa o comunque un fatto che va a detrimento degli stereotipi. Sapete, di stereotipi ce ne sono tanti; ci inciampiamo a ogni passo. Del tipo che gli uomini coltivano lo spirito cartesiano e possiedono il senso dell’azione mentre le donne si trovano bene nelle funzioni di appoggio perché sono diplomatiche, multitasking, capaci di ascoltare. Oppure, all’opposto, che gli uomini sono tutti egocentrici, machi e narcisi mentre le donne più salgono nella gerarchia lavorativa, più si trasformano in un esercito di superwomen dure e in carriera.
Magari sarà possibile immaginare che anche le donne ricoprano ruoli apicali senza necessariamente essere dei geni. Sicuramente, rispetto alle nomine sono state privilegiate “persone che già occupano posizioni di elevato potere” (ancora Salvemini). E però se questa è un’osservazione di un dato di fatto, Sabina Guzzanti a “Ottoemezzo”, sfiorando pericolosamente la misoginia, ha detto: “Mettere tante donne in lista è un’ operazione demagogica per spacciare questa cosa per rinnovamento. Le donne scelte non hanno esperienza invece in un ministero importante ci vuole esperienza… Sono armi di distrazioni di massa vere e proprie e lo sono sempre state, Berlusconi ha cominciato con la gnocca laureata…”.
Un echeggiamento del discorso di Beppe Grillo: “Sono usate a fini di marketing secondo la migliore tradizione berlusconiana: quattro veline e Renzie a fare il Gabibbo”.
Naturalmente, conveniamo che esiste anche una misoginia al contrario. Se ne volete una prova ascoltate Lella Golfo quando si esalta di fronte alla “rivoluzione rosa”, quasi le donne avessero doti particolari, una sorta di superiorità in grado, magari, di risolvere il problema del debito o del riscaldamento globale. Per tornare al punto, Emma Marcegaglia, Patrizia Grieco, Luisa Todini, Catia Bastioli (quest’ultima non ancora confermata) sono alla presidenza Eni, Enel, Poste, Terna anche perché la loro presenza rientra nel segno dei tempi. Con il suo seguito di correttezza politica, buon senso, e noia per le foto opportunity sessuate al maschile.
Tuttavia, non solo di un ammodernamento sociale si tratta. Dobbiamo capire se la presenza femminile non significherà altro che blandire la realtà e lasciare le cose come stanno oppure si rivelerà un modo per cercare di porre rimedio ai guasti di un sistema economico e sociale. Secondo me possiamo guardare senza misoginia al cambiamento simbolico che abbiamo voluto.
Questo cambiamento non lo butterei via.
DeA 16, aprile