Edda Mussolini e Galeazzo Ciano sono state una delle coppie più controverse e invidiate degli anni Trenta.
La loro storia, il loro amore, i loro contrasti, i loro caratteri e la loro parabola di vita vengono narrati nel film dal titolo “QUEI DUE”
attraverso l’uso di materiale originale che rispetta esattamente le loro parole.
ATTENTI A “QUEI DUE”: LA PARABOLA DI EDDA E GALEAZZO CIANO
SU RAITRE VENERDÌ 3 IL BEL DOCUMENTARIO DI LABATE E ATTENE
■ di Michele Anselmi per Cinemonitor
“Quei due”, come recita il titolo, sono Edda Mussolini e Galeazzo Ciano, una delle coppie più controverse e invidiate degli anni Trenta, s’intende sotto il fascismo. Un bel film di Wilma Labate, in bilico tra documentario d’archivio e reinvenzione drammaturgica, ricostruisce adesso il loro amore, il loro rapporto non facile con il Duce, specialmente la fine tragica di Ciano, fucilato a 41 anni, per volere del suocero illustre, l’11 gennaio 1944, in quel di Verona. Lo potrete vedere venerdì 3 febbraio su Raitre, in prima serata, nel quadro di una serie di ritratti che merita attenzione e forse qualche spettatore in più.
Prodotto da Istituto Luce-Cinecittà partendo da un’idea di Beppe Attene, che firma anche la sceneggiatura insieme alla regista, “Quei due” è abbastanza atipico nel suo genere storico: non adotta una voce off a pilotare il racconto, usa il materiale d’epoca in modo non convenzionale, affida a due giovani e bravi attori, Silvia D’Amico e Simone Liberati, lei in jeans e lui con orecchino, il compito di incarnare liberamente Edda e Galeazzo in uno studio di posa, lasciando che le loro voci facciano da doppio “io narrante” attraverso l’utilizzo, rigoroso ed esclusivo, di parole dette o scritte da “quei due” (diari, discorsi pubblici, biografie, confidenze).
Dal film, lungo meno di un’ora e mezza, scandito dalle musiche bluesy di Riccardo Giagni e ben fotografato da Daniele Ciprì, emerge un ritratto interessante della famosa coppia, anche delle dinamiche contraddittorie che la fecero resistere ai tumultuosi eventi storici.
Edda, moglie fascistissima e insofferente alle scappatelle sessuali del marito, risalenti ai primi mesi dopo il matrimonio del 1930, sostiene da subito l’alleanza con Hitler, di cui sente il fascino “straordinario”, vorrebbe che l’Italia entrasse in guerra nel 1939, è fermamente antisemita, oltre che fiera di essere “ariana”. Galeazzo, così salottiero, godereccio, astuto, remissivo e machiavellico, invece avverte subito il rischio di quel patto malefico nel quale l’Italia non sarà socio alla pari bensì servo. E anche sulle “leggi razziali”, meglio razziste, il suo atteggiamento è più blando, pragmatico: “Gli ebrei? Sono pochi in Italia, e salvo eccezioni, buoni. Non bisogna mai perseguitarli come tali, perché ciò provoca la solidarietà di tutti gli ebrei”.
La ricostruzione parte dal crudo filmato della fucilazione del 1944 (servirono due colpi alla testa sparati da vicino per finire Ciano), poi torna indietro al 1928 e da lì, tra spezzoni d’archivio, confessioni, canzoni, duetti recitativi, anche balletti moderni e immagini in controluce, Labate conduce la narrazione sui destini intrecciati dei due. Lui “figlioccio” del Duce, due volte ministro, ambasciatore presso la Santa Sede e infine tra gli artefici del “tradimento” che portò alla defenestrazione di Mussolini il 25 luglio 1943; lei, figlia prediletta del Duce, donna dura e ruvida, un po’ sartina e un po’ crocerossina, ma infine di nuovo accanto al marito, pronta a minacciare il padre, in prossimità della condanna a morte.
Qualcosa forse non torna nel sincrono tra immagini di repertorio e cronologia degli eventi, qua e là per i miei gusti c’è un di più di “messa in scena” metacinematografica e poco mi spiego l’uso di una canzone armena, ancorché suggestiva, sui titoli di coda. Ma “Quei due” è certamente da vedere: per ciò che racconta e per come lo racconta.
Gli attori Silvia D’Amico e Simone Liberati