«Lasciata sola a partorire»: senza esami clinici la sofferenza del feto non si esclude, anzi si presume
Sì al ricorso per la bimba malformata: non si può imporre alla madre di dimostrare un fatto clinico
Non si può rovesciare addosso al paziente che si dice danneggiato dalla struttura sanitaria l’onere di provare un fatto clinico. È quanto emerge da una sentenza depositata il 9 giugno 2011 dalla terza sezione civile della Cassazione.
Inversione vietata
Dopo due sconfitte in sede di merito segna un punto la madre della bambina nata malformata. La donna ascrive la responsabilità alla clinica e all’ostetrica, addebitando loro una scarsa assistenza durante il travaglio prima e il parto poi: la nascita della bimba avviene senza la presenza di un neonatologo che possa prestare immediata assistenza alla piccola. Sbaglia il giudice del merito: in assenza di esami clinici che escludano la sofferenza del feto, quest’ultima circostanza non può essere negata recisamente, anzi la sussistenza della situazione patologica deve ritenersi presunta. La Corte d’appello incorre nell’errore di porre a carico della parte attrice l’onere della prova che invece spetta alle convenute laddove afferma che «incombe al paziente l’onere di dimostrare che le concrete modalità di esecuzione dell’intervento medico-sanitario differivano nel caso in esame da quelle comunemente ritenute idonee». Mancano, fra l’altro, dati certi sul momento in cui cominciarono le contrazioni che danno il via al travaglio (e che rendono necessario il monitoraggio cardiaco), ma l’omissione finisce paradossalmente per giocare a favore dell’ospedale e dell’ostetrica che ne sono in qualche modo responsabili. Sarà dunque il giudice del rinvio a mettere la parola “fine” alla vicenda.