Il monito arriva dalla Suprema corte che, con una sentenza di oggi (si veda link sotto), ha confermato la condanna a sei mesi di reclusione nei confronti di un maresciallo dell’esercito, istruttore di nuoto, che c’era andato pesante con due reclute donne, davanti agli altri colleghi.
Lui si era difeso sostenendo che le battute “erano state consumate in un ambiente militare, ove non può distinguersi lo spirito militaresco tra militari donne e militari di sesso maschile, distinzione viceversa, valorizzata dalla Corte di merito, che avrebbe altresì ghettizzato le posizioni delle due parti offese anche quando la condotta dell’imputato si rivolse a tutti i partecipanti all’addestramento”.
Questa tesi non ha convinto la prima sezione penale della Cassazione che ha ritenuto il ricorso del maresciallo inammissibile perché manifestamente infondato e anche perché la difesa chiedeva una rivisitazione dei fatti e delle prove preclusa in sede di legittimità.
“Né – motivano gli Ermellini – possono ravvisarsi gli estremi della esimente atteso che anche in relazione a tale punto