«Pertanto, l’indagine storica non può usare i termini ortodossia ed eresia nel significato ecclesiale di fede retta o sbagliata, ma deve piuttosto cercare di comprendere il senso profondo di ogni scelta religiosa all’interno delle tante coordinate culturali nelle quali si collocano il pensiero ˂eretico˃ e le motivazioni e i comportamenti che hanno portato al contrasto con le istituzioni. La questione di fondo è che i detentori dell’ortodossia e gli autori e gli autori dei testi canonici sono stati uomini…».
Lo scrive nelle prime pagine di “Eretiche. Donne che riflettono, osano resistono”, pubblicato da Il Mulino, Adriana Valerio che sostanzia con il rigore della ricerca storica una approfondita analisi rispetto a due temi: la definizione dell’eresia e la presenza di donne considerate eretiche nel corso dei millenni.
In base a quali criteri si definisce una persona eretica? Qual è la linea di demarcazione tra ortodossia ed eresia? Essa non è immutabile, quel che risulta ortodosso in un determinato momento storico per un gruppo di persone potrebbe non esserlo più a distanza di tempo, l’equilibrio tra i due estremi contrapposti – ortodossia ed eresia – è variabile e risente della dinamicità del cambiamento del modello socio-politico di riferimento, è un concetto in continua evoluzione.
Siamo di fronte a una categoria di pensiero cui la fissità non è applicabile. Se quel che cerchiamo in questo ambito sono delle costanti possiamo, allora, considerare un singolo aspetto della materia: in ogni epoca a definire la natura del comportamento ortodosso e la sua devianza sono stati gli uomini, questo è un dato monolitico e statico.
Le donne, solo in rare occasioni, hanno avuto voce in capitolo nelle questioni religiose e se dovessi nominare quelle tra loro che hanno esercitato un potere decisionale al riguardo dopo Caterina de’ Medici ed Elisabetta Tudor ho difficoltà a individuarne altre.
Che Gesù fosse in disaccordo con alcune posizioni degli esponenti del clero dei suoi tempi è cosa nota, che avesse un carattere deciso lo testimonia l’episodio della cacciata dei mercanti dal tempio così come altri avvenimenti riportati dalle scritture testimoniano il suo parlare con le donne. Ma che questo fosse un dialogo su un piano paritario non è cosa di pubblico dominio e il lavoro di Valerio è interessante perché indaga nelle pieghe della storia – partendo dal rapporto tra Gesù e le discepole – al fine di restituire alla memoria collettiva i nomi e le vite di mistiche, profetesse, false sante, streghe e donne che hanno seguito le proprie idee sfidando il potere costituito della propria epoca – un potere religioso e temporale- che nel migliore dei casi le ha stigmatizzate, emarginate e sanzionate e nel peggiore le ha torturate e mandate al rogo.
L’analisi storica dell’autrice, che abbraccia un arco temporale di duemila anni, si concentra sull’ortodossia della religione cattolica. Quando questa diventò religione di stato in epoca romana, con l’editto di Costantino nel 313 e quello di Teodosio nel 380, assunse le caratteristiche di un potere gerarchicamente strutturato, elaborò un codice di comportamento cui impose di uniformarsi al fine di garantire stabilità sociale e politica, tutti i pensieri e le azioni che potessero arrecare una minaccia all’ordine costituito furono considerati eretici e – pertanto – severamente puniti.
Alle donne fu precluso il ruolo ecclesiale, esse dovevano – in quanto creature inferiori all’uomo – essere guidate e controllate, per affermare tale sistema di governo anche falsificare le fonti fu ritenuta cosa ammissibile. Le profetesse come Massimilla, Priscilla e Quintilla con il loro comportamento costituivano un pericolo e andavano fermate. Come? Ricorrendo a uno degli strumenti ancora oggi in uso: screditandone la reputazione, esse furono descritte come donne di facili costumi.
Il cattolicesimo si impegnò con zelo nell’operazione di cancellazione dei culti pagani in cui le donne svolgevano una funzione sacerdotale e ricoprivano ruoli di prestigio cristallizzando la divisione dello spazio in una prescrittiva differenza tra maschile e femminile, nel primo caso nessuna limitazione nel secondo la preclusione della sfera pubblica.
Per chi si allontanava e si allontana dai canoni scatta la sanzione in vita, graduata secondo il tempo storico in cui avviene e quella post mortem con la damnatio memoriae.
Accade, però, che anche quando il potere ecclesiastico si è capillarmente strutturato dotandosi di un efficace sistema di controllo si verifichino episodi di contestazione che danno luogo alla nascita di movimenti, gruppi e comunità. Ad alcuni credenti non sfugge la dissonanza tra il messaggio evangelico di Gesù, il suo stile di vita, e la ricchezza, gli usi e i costumi dei ministri di culto e degli apparati clericali.
È il caso delle beghine che dal XII al XV secolo avvertendo lo iato creano comunità, in varie parti d’Europa, improntate alla povertà e al sostegno degli svantaggiati. Dopo la loro esperienza altri gruppi misero in discussione i fondamenti dell’edificio burocratico amministrativo della chiesa cattolica rivendendo altre incongruenze in un modello di fede dogmatica in cui il rapporto tra l’individuo e Dio dovesse – necessariamente – essere mediato da un pervasivo apparato clericale che divenne sistema di controllo sociale, un sistema nel quale ogni cosa andava osservata e riportata al confessore affinché qualsiasi comportamento ritenuto non consono fosse bollato come deviante.
La vita di Margherita Porete e il movimento delle inquiete furono tra questi ma neanche le Valdesi poterono vivere la loro fede in armonia e serenità, definite sfrontate donnette che portavano i fedeli sulla cattiva strada con il loro recitare preghiere e predicare furono accusate di contravvenire a due prescrizioni fondanti: alle donne è fatto divieto di parlare in pubblico – secondo quanto scritto da San Paolo in una delle lettere ai Corinti “Le donne tacciano in assemblea” (1 Cor 14,34) – ed esse devono condursi in modo umile e sottomesso.
Margherita Boninsegna da Trento aveva una idea di chiesa povera, accogliente ed egualitaria e condannava la dissolutezza delle gerarchie ecclesiastiche, con Dolcino da Novara (Davide Tornielli) fece parte del movimento degli apostolici epurati da papa Clemente V e all’inizio del Trecento entrambi furono torturati e mandati al rogo.
Ma i processi e le condanne avvennero anche post mortem, è il caso di Guglielma di Milano considerata santa in vita (morta tra il 1281 e il 1282) e inquisita nel 1300, la sua fu una colpa grave affermò che lo Spirito Santo si fosse in lei incarnato: «Se lo spirito si può incarnare in una donna, Guglielma, significa che il corpo femminile non è ne inadeguato né inappropriato per esprimere il trascendente, così come, invece, riteneva Tommaso d’Aquino e con lui la teologia scolastica».
Nel 1431 fu la volta di Giovanna d’Arco, la condanna alle fiamme – di matrice politica- fu motivata con la sua scelta di indossare abiti maschili sovvertendo l’ordine naturale che non prevede per le donne la possibilità di compiere gesta consentite esclusivamente agli uomini.
Agli inizi del Cinquecento, in Spagna, le illuminate Isabel de la Cruz e María de Cazalla manifestano nuovamente insofferenza nei confronti dell’ingerenza clericale nel rapporto tra il singolo credente e Dio e vengono condannate per aver minato le basi dell’istituzione cattolica.
Il pensiero illuminato dalla Spagna arrivò a Napoli con Juan de Valdés che qui creò un cenacolo di aristocratici interessati a una fede concepita come percorso interiore più che come apparenza ritualizzata esteriore. Tra le aristocratiche che destarono l’attenzione dell’Inquisizione ci fu anche Vittoria Colonna donna di lettere e poesia.
Ancora a Napoli l’autrice si riferisce a proposito di Alfonsina Rispola che nel 1589 fu processata per simulata santità e internata in monastero: «La finzione di santità fu da allora giudicato un delitto contro la fede […] Alcune volte, le donne ritenute oggetto del favore divino, e dunque, considerate già sante in vita, sono state appoggiate in chiave antiereticale per combattere l’antimodello rappresentato dalla strega».
La caccia alle streghe avvenne con modalità diverse secondo il luogo e la natura dei persecutori ma, ad ogni latitudine e in ciascuna circostanza, aveva un fondamento comune: la donna risultava la creatura prediletta dal demonio.
Il francescano Àlvaro Pelagio nel “De statu et planctu Ecclesiae” pubblicato nel 1474 elenca centodue motivazioni per argomentare la tesi per la quale il demonio si impossessa delle creature femminili: la donna si distingue, oltre che per la sua inferiorità, per la connaturata pericolosità di peccatrice che induce alla corruzione. «La religione di Gesù Cristo fu rovesciata e sostituita dalla religione di Satana. E quelle pratiche ancestrali di riti di guarigioni e di rimedi sui malesseri della vita che esercitavano le donne guaritrici, spesso portatrici di conoscenze segrete, si colorarono di nuove valenze dal momento che si pose al centro di quei poteri oscuri il demonio e il suo patto».
L’autrice interviene a sgomberare il campo da una diffusa convinzione secondo cui la caccia alle streghe vada considerata e ricordata come un terribile capitolo della storia da rubricare nel Medioevo, essa fu considerata manifestazione dell’eresia alla fine del Quattrocento nel periodo umanista. Nel periodo umanista si bruciavano le donne accusate di stregoneria. È bene fissare gli accadimenti nel tempo esatto in cui sono avvenuti.
Procedendo nella lettura ci troviamo ancora a Napoli nel 1607 quando il Sant’Uffizio si occupa di Giulia Di Marco fondatrice di una comunità chiamata “Carità carnale” per accusarla di lussuria e sfrenata sessualità, anch’ella fu oggetto di una campagna di denigrazione e Valerio ne spiega bene i motivi.
Le donne di cui si legge sono numerose e mi domando: quanti di noi ne conoscono i nomi, le storie e le coraggiose scelte? Da anni ricerco e leggo storie di donne del passato che hanno intrapreso strade difficili per seguire il proprio libero pensiero sfidando i canoni della loro epoca e – tra loro – ne conosco pochissime. Attraverso la disamina delle diverse esperienze mistiche e religiose dalle pagine emergono diverse considerazioni, chiavi di lettura e spunti di riflessione, uno di questi riguarda la differenza del registro comunicativo – in tutte le sue manifestazioni e canali verbale, non verbale e para verbale – tra uomini e donne.
Il misticismo, l’ispirazione, le visioni e il rapporto con il divino si esprimono in maniera differente per gli uni e le altre e – come ben si sa – quel che non si comprende lo si teme così, gli uomini che formano l’apparato gerarchico ecclesiale, non capendo come le donne vivessero e testimoniassero la propria fede la osteggiarono ritenendola pericolosa, inadeguata e non ortodossa.
Avvenne ancora nel Seicento con il quietismo e con la sua componente inquieta che con Madame Jeanne Guyon (1648-1717) manifestò il lato emotivo e sensoriale contrapposto a quello concettuale. Alla fine del saggio, arrivate all’epoca a noi più vicina, leggiamo della patriota Cristina Trivulzio di Belgiojoso che nella vita si occupò di politica, religione e di emancipazione femminile, anche lei esprime una posizione critica nei confronti di una fede obbligata ad essere mediata da un clero nel quale non si riconosce.
Avviandoci alla conclusione leggiamo di avvenimenti storici cui Valerio ha dedicato un precedente saggio, l’anticoncilio in opposizione al Concilio Vaticano I che si tenne a Napoli nel 1869 ad opera di Giuseppe Ricciardi, deputato democratico radicale del parlamento, che coinvolse più di cento donne nell’assemblea internazionale.
“Eretiche” fornisce un’analisi articolata di un argomento denso e pregnante che si compone di molte sfaccettature, il rapporto tra l’umano e il divino, la concezione del potere, la costruzione di un apparato gerarchico di controllo, la realizzazione di un corpus concettuale e codificato per la subordinazione del genere femminile a quello maschile. Al di là delle opinioni personali è di analisi storiche ragionate e letture comparate che abbiamo bisogno per scardinare un sistema di pensiero consolidato e recuperare alla memoria collettiva idee, esperienze e critica.
Valerio, docente universitaria di Storia del cristianesimo e delle chiese, ha aperto anni fa un cammino che con questa ultima pubblicazione si arricchisce di un nuovo importante tassello, un cammino di conoscenza aperto a tutte/i coloro cui non basta il raccontino delle sacre scritture filtrato dal catechismo infantile, coloro che nutrono molti, tanti, dubbi tranne uno: il pensiero critico è l’esercizio intellettuale che caratterizza l’essere umano.
Recensione di Francesca Vitelli