La funzione equilibratrice non è finalizzata a ricostituire il tenore endoconiugale ma solo a riconoscere il contributo del richiedente alla situazione attuale. Da esibire subito i documenti fiscali
L’assegno divorzile ha anche una funzione di riequilibrare le condizioni delle parti, che però non serve a ricostituire il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Ma a riconoscere il ruolo del coniuge debole e il contributo fornito alla situazione economica al momento in cui cessano gli effetti civili del matrimonio. Il giudice deve accertare subito l’eventuale squilibrio creato dal divorzio, tenendo presente che lo scioglimento del vincolo deteriora le condizioni di vita del coniuge meno abbiente. Vanno dunque prodotte in prima battuta le dichiarazioni dei redditi e gli altri documenti fiscali degli ex coniugi. E alla luce di una valutazione comparativa della condizione economico-patrimoniale delle parti bisogna tenere presente gli elementi indicati dall’articolo 5, comma 6, della legge 898/70: l’apporto dal richiedente fornito al ménage familiare, la durata del matrimonio e l’età dell’avente diritto. Lo stabiliscono le Sezioni unite civili con la sentenza 18287/18, pubblicata l’11 luglio, che chiude il contrasto di giurisprudenza aperto dalla 11504/17: il revirement ha mandato in soffitta il criterio del tenore di vita endoconiugale, introducendo il principio di auto responsabilità degli ex coniugi dopo lo scioglimento del vincolo.
Realizzazione personale
Trova ingresso il primo motivo di ricorso secondo cui il criterio dell’autosufficienza economica è «foriero di gravi ingiustizie sostanziali». L’assegno, precisa il collegio esteso, va sempre riconosciuto se si accerta che chi lo chiede non ha mezzi adeguati né la possibilità di procurarseli. Ma l’inadeguatezza e l’incapacità vanno calate nel contesto sociale del richiedente. Il giudice del merito deve dunque applicare un criterio integrato che tenga conto di come oggi esistano vari modelli familiari. Lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte di vita: bisogna quindi tener conto di quanto è durato il matrimonio e valutare se il rapporto ha portato uno squilibrio nella realizzazione personale e professionale al di fuori della famiglia. Il nuovo testo dell’articolo 5 della legge divorzio, si legge in sentenza, consente di formulare un giudizio di adeguatezza sulle legittime aspettative reddituali che conseguono al contributo personale ed economico che ciascuna parte fornisce alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio, individuale e comune. E in fatto di accertamenti fiscali la legge ha potenziato i poteri istruttori che il giudice può esercitare d’ufficio, anche se i diritti in gioco hanno natura prevalentemente disponibile.
Prospettiva futura
Insomma: per valutare se il coniuge debole ha mezzi adeguati non bisogna guardare solo all’insufficienza oggettiva ma anche a ciò che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare: diversamente l’apporto produrrebbe vantaggi solamente per l’altra parte. E vanno valutate anche le potenzialità future del profilo economico e patrimoniale del coniuge più abbiente. Il tutto in base a un principio solidaristico desumibile dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo. Parola al giudice del rinvio.
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Intervista dell'avvocato Bernardini de Pace: «Un trionfo per gli avvocati le Sezioni unite sull’assegno»
Parla la top laywer: «Adeguatezza dei mezzi da valutare nel contesto sociale: pesa il principio di pari dignità fra coniugi, contano l’età e la salute. Servono tante prove, cause più lunghe e costose»
«Un trionfo per gli avvocati». Così Annamaria Bernardini de Pace commenta la sentenza 18287/18 delle Sezioni unite civili della Cassazione sull’assegno divorzile mentre l’accompagnano in auto per uno spostamento di lavoro (la pronuncia è qui disponibile in allegato). La top lawyer non nasconde la sua soddisfazione, è una vittoria per tutta la professione forense: il collegio esteso cassa con rinvio la pronuncia impugnata «fondata esclusivamente sul criterio dell’autosufficienza economica».
Perché è “un trionfo”, avvocato?
«Perché i giudici dopo la sentenza 11504 del 10 maggio 2017 si erano abituati a lavorare meno con il criterio dell’autosufficienza economica. Ora aumenta il lavoro per gli avvocati perché ci saranno molte prove da portare. Contano le condizioni di vita del coniuge che chiede l’assegno divorzile».
Ma il criterio per l’attribuzione del contributo economico resta l’inadeguatezza dei mezzi di sussistenza e l’impossibilità di procurarseli. Dov’è la svolta?
«La sentenza spiega che il criterio deve essere calato nel “contesto sociale” del richiedente e fa riferimento alle situazioni che sono conseguenza della relazione coniugale, ad esempio agli squilibri nella realizzazione personale fuori dal nucleo familiare. E qui si apre un mondo».
Bisognerà tutelare le donne che hanno rinunciato alla carriera per dedicarsi al marito e ai figli?
«Le Sezioni unite richiamano l’articolo 5 comma sesto della legge divorzio, bisogna tenere conto del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ognuno degli ex coniugi. Certo, un conto è se la signora avrebbe fatto la maestra d’asilo e un altro se è laureata alla Bocconi e per la famiglia ha rinunciato a fare la commercialista. La cause di divorzio saranno più lunghe e costose».
Come spiega l’aumento delle spese?
«Prevedo istruttorie molto piene. Non possiamo dimenticare che c’è tutta la componente biologica da considerare per chi chiede l’assegno divorzile».
Si riferisce all’età avanzata che complica l’accesso al lavoro?
«Non solo alla carta di identità ma anche alle condizioni di salute della donna. Che ad esempio potrà dire di essere depressa per aver rinunciato a tante opportunità mentre le amiche facevano carriera. Il marito potrà replicare di averle garantito una bella vita fra shopping, vacanze di lusso e personale di servizio a disposizione. Insomma: ci sarà da litigare».
Il collegio esteso puntualizza che l’assegno non serve a ricostituire il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Non c’è quindi il ritorno all’antico, non trova?
Non c’è sulla carta, ma di fatto c’è. Si dice che l’assegno ha una funzione compensativa e perequativa, si introduce un “criterio composito” che fa riferimento anche alla durata del matrimonio. La sentenza fa riferimento al principio di pari dignità che è alla base del principio solidaristico della convenzione europea dei diritti umani. Dice che lo scioglimento del vincolo incide sullo status dei coniugi ma non cancella tutti gli effetti della scelte di vita familiare».
Dunque?
«Due più due deve fare quattro e non tre».