Hannah Arendt

da | Ott 14, 2016 | Nella storia

una filosofa controcorrente

Il 14 ottobre 1906 nacque ad Hannover, da una famiglia benestante di origine ebraica, Hannah Arendt, una delle più grandi menti del Novecento. Filosofa, storica, letterata, Hannah Arendt ha dedicato la vita agli studi e alle battaglie per i diritti civili. Fu perseguitata dal regime nazista e nel 1951 ottenne la cittadinanza statunitense. Passionale, energica, anticonformista, estremamente intelligente, la Arendt ha portato avanti le sue idee, impegnandosi sia nell’elaborazione delle teorie filosofiche e politiche che l’hanno resa celebre, che nelle rivendicazioni dei diritti civili per le popolazioni oppresse.

imagesPer capire meglio la complessità di questa donna straordinaria, occorre leggere le sue opere e ripercorrere le tappe fondamentali della sua vita. La Arendt crebbe dapprima a Königsberg e successivamente Berlino, fu studentessa di filosofia di Martin Heidegger all’Università di Marburgo. Ebbe con lui una relazione sentimentale segreta, scoprendone tardi i rapporti col nazismo, da cui si dissociò, conservando comunque l’affetto e la stima verso il suo primo maestro. In seguito, si trasferì a Heidelberg conseguendo la laurea con una tesi sul concetto di amore in Sant’Agostino, sotto la tutela del filosofo e psichiatra Karl Jaspers. La tesi fu pubblicata nel 1929, ma a causa delle sue origini ebraiche, nel 1933 le fu negata la possibilità di ottenere l’abilitazione all’insegnamento nelle università tedesche.

Nello stesso anno la Arendt abbandonò la Germania attraversando il cosiddetto “confine verde” delle foreste della Erz. Passando per Praga, Genova e Ginevra giunse a Parigi, dove conobbe lo scrittore Walter Benjamin e il filosofo e storico della scienza Alexander Koiré. Durante la sua permanenza in Francia, Hannah Arendt si prodigò per aiutare gli esuli ebrei fuggiti dalla Germania nazista. Nel 1940 sposò il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher, con cui emigrò negli Stati Uniti portando con sé la madre, con l’aiuto del giornalista statunitense Varian Fry. Dovette lasciare la Francia dato che in seguito all’occupazione tedesca durante la seconda guerra mondiale iniziarono le deportazioni di ebrei e ebree verso i campi di concentramento. Fu anche internata per un breve periodo nel campo di Gurs dal governo Vichy in quanto “straniera sospetta”.

Dal 1957, in America, per Hannah Arendt ebbe finalmente inizio la carriera accademica: ottenne infatti cattedre di insegnamento presso le Università di Berkeley, Columbia, Princeton e, dal 1967 fino alla morte, anche alla New School for Social Research di New York.

Tra il 1960 e il 1963 seguì il processo di Adolf Eichmann, un burocrate nazista, dal quale prese spunto per scrivere “La banalità del male”.

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Nel 1972 fu invitata a tenere le Gifford Lectures all’Università scozzese di Aberdeen, che già in passato aveva ospitato pensatori di prestigio come Bergson, Gilson e Marcel. Il 4 dicembre 1975 la grande pensatrice Hannah Arendt venne a mancare per arresto cardiaco nel suo appartamento di Riverside Drive a New York.

Nel 1985 a Parigi si tenne un convegno sulle opere della Arendt organizzato da Françoise Collin, filosofa e saggista belga nonché illustre esponente del Movimento femminista francese; questo ciclo di conferenze aprì la strada ad una innovativa interpretazione del pensiero arendtiano.

locandinapg1Dalla sua opera più famosa: “La banalità del male”, la regista Margarethe Von Trotta ha tratto un film in cui la filosofa è interpretata da Barbara Sukowa. Il film ne tratteggia il carattere, la vivacità intellettuale e l’impegno, grazie anche alla mirabile interpretazione dell’attrice Barbara Sukowa. La pellicola ricostruisce un periodo fondamentale della vita di Hannah Arendt: quello tra il 1960 e il 1964. Riguarda la fase in cui l’intellettuale emigrata negli Stati Uniti nel 1940 vive a New York con il marito, il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher. La Arendt ha già pubblicato testi fondamentali di teoria filosofica e politica, ed insegna in una prestigiosa Università. Nel 1961, quando il Servizio Segreto israeliano rapisce il criminale di guerra nazista Adolf Eichmann, nascosto sotto falsa identità a Buenos Aires, la Arendt si convince a seguire il successivo storico processo che si tiene a Gerusalemme. Nonostante i dubbi da parte del marito, la filosofa, sostenuta dall’amica scrittrice Mary McCarthy, chiede e ottiene di essere inviata in Israele come reporter della prestigiosa rivista ‘New Yorker’. Hannah nota che Eichman, uno dei gerarchi artefice dello sterminio degli ebrei nei lager, è un mediocre burocrate, che si dichiara semplice esecutore di ordini odiosi. Inoltre, con sorpresa e amarezza ascolta le testimonianze di sopravvissuti che mettono in evidenza la condiscendenza dei leader delle comunità ebraiche in Europa rispetto ai nazisti.

Dai suoi resoconti, e in seguito dal suo libro, “La banalità del male: Eichman a Gerusalemme” (1963), emerge la controversa teoria per cui proprio l’assenza di radici e di memoria, insieme alla mancata riflessione sulla responsabilità delle proprie azioni criminali, farebbero in modo che esseri spesso banali (non persone) si trasformino in autentici agenti del male.

L’ebreo Kurt Blumefeld, uno dei suoi più cari amici, non riesce a perdonarla per quanto scritto nel suo libro, e i contenuti de “La banalità del male” creano uno scandalo che si diffonde in Israele e negli USA. La presidenza della sua Università è fortemente contrariata, la stampa la attacca violentemente, ma il marito, la sua devota allieva tedesca Lotte Köhler e molti studenti approvano e sostengono l’essenza, apparentemente paradossale, del suo pensiero.

Fra le innumerevoli opere della studiosa, in cui si evincono il suo pensiero e la filosofia applicata alla politica e alla condizione umana, cito “Le origini del totalitarismo” pubblicata nel 1951, in un momento politico-culturale cruciale, ovvero in piena guerra fredda. Il testo, seguito dalle conferenze della Harendt ha messo al centro tematiche di assimilazione fra nazismo e stalinismo.

Alcuni brani tratti da “Le origini del totalitarismo” :

“Dietro ciascuno di questi elementi si nasconde un problema irreale e irrisolto: dietro l’antisemitismo, la questione ebraica; dietro il decadimento dello Stato nazionale, il problema irrisolto di una nuova organizzazione dei popoli; dietro il razzismo, il problema irrisolto di una nuova concezione del genere umano; dietro l’espansionismo fine a sé stesso, il problema irrisolto di riorganizzare un mondo che diventa sempre più piccolo, e che siamo costretti a dividere con popoli la cui storia e le cui tradizioni sono estranee al mondo occidentale. La grande attrazione esercitata dal totalitarismo si fondava sulla convinzione diffusa, e spesso consapevole, che esso fosse in grado di dare una risposta a tali problemi, e potesse quindi adempiere ai compiti della nostra epoca “.

“I lager sono i laboratori dove si sperimenta la trasformazione della natura umana[…]. Finora la convinzione che tutto sia possibile sembra aver provato soltanto che tutto può essere distrutto. Ma nel loro sforzo di tradurla in pratica, i regimi totalitari hanno scoperto, senza saperlo, che ci sono crimini che gli uomini non possono né punire né perdonare. Quando l’impossibile è stato reso possibile, è diventato il male assoluto, impunibile e imperdonabile, che non poteva più essere compreso e spiegato coi malvagi motivi dell’interesse egoistico, dell’avidità, dell’invidia, del risentimento; e che quindi la collera non poteva vendicare, la carità sopportare, l’amicizia perdonare, la legge punire.”

Silvia Lorusso

per Bambole&Diavole