Il Card. Martini nel ricordo delle Teologhe italiane
La Presidente del Coordinamento delle Teologhe italiane traccia un profilo del grande pastore e biblista
E’ stata la prima persona a cui ho espresso la mia volontà di dare vita a un’associazione teologica di donne. Era il 20 febbraio 2003, e l’atto di fondazione del CTI è datato 26 giugno 2003. Avevo chiesto a Maria-Luisa Rigato che, forte della lunga amicizia che li legava, poteva facilmente ottenere di incontrare Carlo Maria Martini, di parlare con lui, prima che con ogni altro, della mia esigenza di far sentire la voce delle donne all’interno del panorama teologico ed ecclesiale italiano.
Ci ha ricevuto, abbiamo parlato nell’unico modo in cui si poteva parlare con lui: con pacatezza e signorilità. Non aveva mai dimostrato particolare interesse per la causa delle donne nella chiesa. “Entia non sunt multiplicanda”, disse: perché un’altra associazione teologica? Ma poi, il discorso si è spostato sul laicato, sulla libertà come fondamento della fedeltà ecclesiale e sull’importanza che i laici e le donne ne fossero testimoni all’interno della chiesa italiana. Il colloquio si concluse con un incoraggiamento: se pensate sia importante farlo, fatelo.
Avevo sperato in un suo messaggio per l’apertura del nostro convegno (dal 4 al 6 Ottobre a Roma), perché in questi anni, nei frequenti incontri con Maria-Luisa, ha mostrato di recepire con sempre maggiore convinzione l’importanza che il discorso sulle donne e delle donne diventasse a pieno titolo un discorso ecclesiale.
Lo ho rivisto a marzo dello scorso anno nella casa dei gesuiti di Gallarate, capace di dare volto alla stessa libertà di sempre anche se prigioniero di una malattia implacabile: ha ringraziato e benedetto le suore che avevano avuto cura di lui e degli altri confratelli con lo sforzo di parole e gesti ormai più sentiti che espressi.
In questi anni ho sempre pensato che la “moltiplicazione degli enti”, per dirla con il linguaggio tomista, può essere principio di comunione o di divisione e credo che il CTI, tra le altre associazioni teologiche e nella chiesa italiana, è servito ad allargare le prospettive e la rete di relazioni, ha favorito l’apertura e il dialogo.
Grazie, Carlo Maria Martini! Ci hai insegnato che la signorilità dell’episcopos non è un tratto mondano, ma profondamente evangelico; che essere vescovo significa prima di tutto aprire insieme alla propria chiesa i sigilli del “Libro”; che essere credente significa “soltanto” farsi obbedienti, nella chiesa e con la chiesa, a una Parola di libertà che costruisce “Gerusalemme”, la città della pace.
Presidente CTI