Il dramma delle afghane, che subiscono violenze e le giustificano

da | Lug 12, 2018 | Testimonianze e contributi

Nella terza giornata dei Dialoghi di Spoleto Alka Sadat, produttrice cinematografica afghana, racconta la condizione femminile nel suo Paese

 

Terzo incontro dei Dialoghi di Spoleto coordinati da Paola Severini Melograni. Al centro della giornata la condizione delle donne afghane e il ruolo delle donne nel cinema afghano. Presente Alka Sadat produttrice cinematografica afgana e Irene Bignardi, che tutti conosciamo, raffinata critica cinematografica. Un pubblico molto interessato si ferma anche alla proiezione sottotitolata in inglese dell’ultimo film di Roya Sadat, sua sorella, la prima regista donna in Afganistan. Il film si chiama Letter to the President. La Sadat racconta come sia stato difficile produrlo, i produttori accettavano e poi si tiravano indietro. Hanno iniziato a lavorare per questo film dal 2006, ci sono voluti 12 anni per riuscire a farlo uscire. Una determinazione encomiabile.

Irene Bignardi esprime la sua sorpresa, ritiene il film di alta qualità, bellissima e bravissima la protagonista, i colori delicati, un pò come usano anche nel cinema iraniano. Il film secondo lei è molto duro, ma non fa propaganda, è asciutto, severo. Un bellissimo film ,sottolinea Irene Bignardi, aggiungendo che è veramente straordinario che, nonostante tutti i problemi incontrati dalle due sorelle, nonostante il tema, siano riuscite a produrre un film così rilevante. Le Sadat sono abituate alle difficoltà, sono cinque sorelle, la mamma sotto i Talebani non le mandava a scuola, le istruiva lei stessa. Il film è stato proiettato a Kabul, ma poche persone sono andate a vederlo. Tanta strada si deve ancora fare culturalmente. Ricordo nel mio intervento di contesto e sui numeri una frase di Nadine Labaki, regista libanese .: “ il cinema è un’arma non violenta potente per provocare cambiamenti nella società.” Le narrazioni entrano nel profondo, più donne si affermano nel cinema, più avanza il punto di vista femminile e più facilmente si combattono gli stereotipi. Il Movimento #Metoo ha dato un grande scossone al mondo profondamente maschilista del cinema in tutto il mondo. Ma in Afganistan ovviamente la situazione è molto indietro. Il Paese è al 169 posto nella graduatoria del Gender Inequality Index calcolato da UNDP.

La speranza di vita delle donne afgane è 62 anni, bassissima. Gli analfabeti sono più di 10 milioni, il 60% sono donne. Addirittura tra le giovani le analfabete sono il 70% Pochissime donne lavorano, il 13% tra le giovani. Estromesse dal lavoro escluse dall’istruzione le donne afgane fanno fatica a trovare il loro percorso di liberazione. Subiscono violenza ma in molti casi la giustificano. Il 46% ritiene giustificato che il marito la picchi se si rifiuta di avere rapporti sessuali,e il 78% se esce di casa senza dirlo al marito. Le donne sono anonime, vengono chiamate con il nome del marito.Anche quando muoiono al momento della sepoltura sono anonime. Thamina Arian attivista dei diritti umani delle donne del Women Committee ha lanciato l’ashtag molto ripreso ”where is my name” Roya e Alka Sadat danno voce alle donne afgane e alle violenze che subiscono. Il loro lavoro è encomiabile e simbolico. Di tante donne come loro, indipendenti, determinate, competenti, coraggiose hanno bisogno le donne afgane. Sono un simbolo , un esempio per migliorare la qualità della vita di tutte.

di Linda Laura Sabbadini, pubblicato su La Stampa