Il riconoscimento all’avvocata iraniana e Premio Nobel per la Pace. Minacciata, arrestata, perseguitata, oggi vive in esilio. Questo premio è un omaggio al coraggio delle donne iraniane Avvocata in prima linea per i diritti umani, attivista, Premio Nobel per la Pace, l’iraniana Shirin Ebadi ha vinto il Premio Hemingway 2023 come “Testimone del nostro tempo”. Sarà in Italia, a Lignano, per ritirare il premio sabato prossimo. Venerdì incontrerà il pubblico alla Terrazza Mare di Lignano (ore 18.30), intervistata dallo scrittore Alberto Garlini.
Minacciata, arrestata, perseguitata in Iran, Shirin Ebadi continua a dare voce a donne e bambini e a chi subisce violenze e soprusi. Su questi temi ruota anche il suo libro, che presenterà a Lignano, “Finché non saremo liberi. La mia lotta per i diritti umani” (Bompiani), una storia di coraggio e di ribellione. Insieme a Ebadi, sabato a Lignano riceveranno il “Premio Hemingway 2023” la scrittrice Amelie Nothomb, lo storico Carlo Ginzburg, il fotoartista Marco Zanta e l’atleta paralimpico Antonio Fantin.
Ebadi, che oggi vive in esilio, è stata la prima giudice in Iran e la prima donna musulmana ad avere ricevuto il premio Nobel per la Pace, nel 2003. Ha ispirato milioni di persone in tutto il mondo con il suo impegno per i diritti umani. Quando Khomeini salì al potere, fu costretta a dimettersi da giudice, minacciata più volte e poi arrestata. La motivazione del Premio Hemingway a Ebadi dice: “La sua è una storia di grandi convinzioni morali e di coraggio personale contro un potere che ha tentato di portarle via tutto, che ha minacciato lei e i suoi cari con metodi violenti, ma non è riuscito a intaccare il suo bisogno di giustizia e l’amore per il suo popolo”.
Ebadi, nel libro “Finché non saremo liberi” fa capire molto bene come uno stato di polizia distrugge la vita delle persone. Com’è oggi la situazione in Iran?
“In Iran è in atto una rivoluzione che si fermerà solo quando crollerà il regime. La rivoluzione è un processo che deve fare il suo corso, qualche volta va più veloce, qualche volta più lenta. Gli iraniani e le iraniane lottano per la democrazia e la libertà, per questo sacrificano la loro vita e nessuno può fermare questo processo. Nemmeno violenza, torture e omicidi”.
Come l’Italia e l’Europa possono aiutare l’Iran?
“Chiediamo ai Paesi democratici di non firmare accordi commerciali con il regime iraniano, di non contribuire a farlo diventare più forte. L’Italia e l’Europa devono sempre ricordare che il regime iraniano uccide le persone e non si preoccupa del popolo dell’Iran. Con altri giuristi ho invocato una commissione internazionale d’inchiesta sulla repressione nel mio Paese. Chiediamo all’Europa di ritirare gli ambasciatori dall’Iran e di ridurre le relazioni diplomatiche e consolari”.
Cosa significa lottare per difendere i diritti umani in Iran?
“Nessuno può restare indifferente a quello che sta accadendo. Dall’inizio della rivoluzione “Donna vita libertà” sono state uccise 600 persone tra cui 68 bambini. Tantissime altre persone, soprattutto donne, sono state accecate sparando loro negli occhi. Il mondo non può girarsi dall’altra parte”.
La sua famiglia torturata, lei è stata minacciata e arrestata. Qual è stato il momento più difficile?
“Hanno sequestrato le mie proprietà, mi hanno preso anche la medaglia del Nobel per la Pace, hanno chiuso i miei conti bancari, arrestato mia sorella, mio marito e anche me. Questo è accaduto e continua ad accadere anche a tante altre persone in Iran. Ma i momenti più dolorosi e difficili per me sono stati quando in tribunale difendevo innocenti che venivano condannati dal regime alla pena di morte o a molti anni di carcere, solo per motivi ideologici, perché si ribellavano ai soprusi. Quando la giustizia crolla e perde, è quello il momento peggiore”
Le donne iraniane hanno avuto il diritto di voto prima di quelle svizzere, eppure sono ancora obbligate al velo e non hanno nessun tipo di libertà. Che futuro vede?
“La situazione delle donne in Iran un tempo era decisamente migliore. Tra l’altro le donne in Iran sono molto istruite, più del 50% di chi studia all’Università sono ragazze. Ma con il regime sono state introdotte tante leggi discriminatorie, le donne hanno perso tutti i loro diritti ed è stato introdotto l’obbligo del velo. Ora le donne iraniane stanno combattendo, la rivoluzione in atto è iniziata dalle donne, è guidata dalle donne. Gli uomini lottano con loro, fianco a fianco”.
Madri e figlie in Iran scendono in piazza insieme. La rivoluzione unisce più generazioni?
“Il futuro sarà diverso. Le adolescenti scendono in piazza a protestare contro il regime con mamme e nonne. Chi continua a lottare prima o poi vincerà”
L’educazione e la formazione che parte hanno nel cambiamento?
“Costruire una nuova cultura attraverso l’educazione è la cosa più importante. Per un futuro diverso bisogna partire dall’educazione”.
Saranno le donne a cambiare i Paesi islamici?
“Le donne, piano, piano, hanno acquisito una consapevolezza che le ha portate a combattere per i loro diritti. È più difficile schiavizzare e sottomettere al regime patriarcale una donna che studia e che è consapevole. Credo in un futuro diverso, luminoso, un futuro di libertà”.
Oggi teme per la sua vita?
“Per me non è cambiato nulla. Il regime è sempre feroce, ma io ho un compito importante e non permetto che la paura interferisca con il mio impegno”
Che significato ha per lei il “Premio Hemingway”?
“Credo che questo premio sia un segno di ringraziamento e incoraggiamento verso tutte le donne iraniane. Con il loro coraggio denunciano e lottano per il cambiamento. Il Premio Hemingway lo interpreto così, un omaggio a tutte le donne iraniane”.
Corriere della Sera, 18 giugno 2023