di Viola Brancatella
Dal Medio Oriente all’Ucraina, le donne soldato al fronte fanno sempre più notizia, ma si percepisce ancora la differenza di genere all’interno del mondo militare, da colmare tramite provvedimenti di legge e buone pratiche.
Come è stato per le donne curde del Rojava che nel 2012 hanno imbracciato i fucili contro l’avanzata di Daesh in Siria, le donne combattenti tornano al centro dei notiziari dieci anni dopo in occasione della guerra in Ucraina. Donne soldato che nel febbraio scorso si sono volontariamente arruolate nella Guardia nazionale ucraina, come Olena Kushnir, sergente maggiore e medico, una delle cento donne ucraine rimaste a combattere a Mariupol, che ha perso la vita il giorno di Pasqua durante l’assedio della sua città, dopo aver messo in salvo il figlio grazie a un corridoio umanitario.
Donne soldato come Alla Akimova, 38 anni, che ha scelto di arruolarsi nell’esercito ucraino come cuoca, per difendere il suo Paese e stare accanto a suo marito durante la guerra. Donne soldato come Giulia Schiff, italiana, detta Jasmine, pilota dell’Aeronautica, vittima nel 2018 di atti di nonnismo da parte dei suoi colleghi nell’esercito italiano, oggi unica donna volontaria nella legione straniera in Ucraina, arruolata per combattere insieme ad altri foreign fighters provenienti da tutto il mondo. Donne militari che oggi rappresentano il 15,6% dell’esercito ucraino, una cifra aumentata di 15 volte negli ultimi dieci anni, a causa dell’inasprimento delle relazioni tra l’Ucraina e la Russia e a seguito dell’annessione della Crimea da parte di Mosca.
Le donne ucraine prestano il servizio militare dal 1993, due anni dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, e ricoprono anche ruoli di prima linea. Secondo i dati del ministero della Difesa, nel 2008 si è registrata nell’esercito ucraino la presenza di 1.800 donne, nel 2017 di 23 mila, nel 2018 di 24.487 mila, nel 2019 di 27.074 mila e di 29.760 mila soldatesse nel 2020. Dopo anni di arruolamento volontario a partire dal 2014 nei cosiddetti “battaglioni invisibili”, nel 2017 le donne soldato ucraine sono state autorizzate dalle Forze armate ad arruolarsi in 62 posizioni di combattimento, precluse invece alle donne soldato russe, che non possono svolgere le mansioni di sentinella e di presidio e non vengono mandate in prima linea al fronte in caso di guerra, nonostante siano autorizzate da un decreto presidenziale ad arruolarsi regolarmente dal 1992.
L’esercito russo, inoltre, secondo il Center for Strategic & International Studies, nel 2020 contava il 4,26% di donne (circa 41 mila in totale), un numero relativamente basso rispetto al totale dei militari russi.
Se guardiamo alla storia contemporanea, le donne hanno fatto il primo ingresso nell’esercito regolare durante la Prima guerra mondiale proprio con la creazione di un battaglione di cosacche travestite da uomini capitanate dalla russa Marija Bochkareva, chiamato il “Battaglione della morte delle donne”, che ha combattuto in Bielorussia nel 1917 contro i nemici dello Zar. A cui sono seguiti i battaglioni femminili della Seconda guerra mondiale di provenienza prevalentemente britannica e statunitense, come crocerossine e nell’antiaerea, e le 100mila soldatesse dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia di Tito schierate contro le potenze dell’Asse, che hanno combattuto a fianco dei loro colleghi maschi fin dall’inizio della lotta partigiana.
Fondato nel 1942 come ramo femminile dello United States Army in occasione del secondo conflitto mondiale, il Women’s army auxiliary corps (Waac) è stato integrato nell’esercito regolare americano nel 1976, anno in cui le donne statunitensi sono state ammesse all’Accademia militare e poi arruolate nei teatri di guerra internazionali, come è avvenuto nella prima Guerra del Golfo, ricoprendo una percentuale del 16% sul totale dell’esercito.
Risale al 1948 invece la creazione delle Forze di difesa israeliane (Idf), che da allora prevede il servizio militare obbligatorio per le donne della durata di due anni, a fronte dei due anni e otto mesi per gli uomini, con deroga per le donne sposate, con figli o che prestano servizio nella comunità religiosa ultraortodossa. Nel 2011 il 34% dell’esercito israeliano era costituito da donne, mentre nel 2021 la percentuale femminile è salita al 40% e a oggi si ritiene che Israele abbia il maggior numero di donne arruolate al mondo in percentuale, impegnate nel territorio nazionale.
Alle combattenti israeliane, ritenute per diversi decenni un unicum in Medio Oriente, si è aggiunto negli ultimi anni un gran numero di soldatesse mediorientali, per l’inasprirsi dei conflitti interni e soprattutto per l’avanzata dell’Isis nei loro Paesi. È questo il caso del primo battaglione femminile peshmerga (letteralmente “combattenti che si battono fino alla morte”), nato nel 1996 tra le donne curde stanziate nel nord dell’Iraq, durante la guerra civile scoppiata in Iraq a seguito della prima Guerra del Golfo.
Una formazione attiva nel nord della Siria è, invece, quella delle Ypj, le le donne del Rojava che combattono i battaglioni dell’Isis alla pari dei loro compagni d’armi uomini, secondo l'ideologia egualitaria della parità di genere promulgata dal Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Nel 2014 queste soldatesse sono intervenute nella regione di Shengal in Iraq in difesa della comunità ezida sotto attacco dell'Isis. Dopo la cacciata dei miliziani del sedicente califfato, le donne della comunità ezida hanno creato la formazione militare femminile Yje sotto la supervisione del Pkk.
Sul fronte yemenita, invece, all’interno del conflitto tra sciiti e sunniti, si sono schierate le donne houthi di origine zaidi, che combattono i sauditi, gli americani, Israele e al-Qaeda e diffondono la dottrina radicale militarista e religiosa, pur ponendosi sul fronte opposto dei jihadisti.
Di matrice anti-americana sono anche le kamikaze di Al-Qaeda in Iraq, mentre sul fronte jihadista troviamo le donne in nero della Brigata di sicurezza interna dello Stato Islamico di Al Baghdadi impiegate nella vigilanza dei costumi femminili.
In forte crescita anche il numero di donne soldato in Cina, dopo la decisione del governo a gennaio 2020 di aumentare da una a due volte l’anno la coscrizione militare per le donne, tra ragazze diplomate, laureate e studentesse universitarie. Le donne, secondo i dati diffusi nel 1994 dallo US Congressional Research Service, poi confermati nel 2015 da China Military Online, costituiscono poco più del 4,5% del personale militare dell’Esercito Popolare di Liberazione, per un totale di 53 mila donne a fronte di uno degli eserciti più grandi del mondo. In Cina le soldatesse prestano servizio anche nel Corpo dei Marines, nelle Forze Speciali e nella polizia antidroga. Il servizio militare è incoraggiato dal governo cinese ed è popolare tra le giovani donne perché offre una buona istruzione e migliora la posizione sociale, grazie alle apparizioni in televisione nelle parate ufficiali, facendo presagire un aumento progressivo delle soldatesse cinesi nel prossimo futuro.
In Italia il servizio militare femminile è stato avviato nel 2000 con l’entrata in vigore della legge n. 380/1999 che ha permesso alle donne di arruolarsi nelle Forze Armate, nell’Arma dei Carabinieri e nella Capitaneria di porto, registrando in vent’anni la presenza di 18mila unità femminili, equivalente al 6% del personale militare, come riportato sul sito della Camera dei deputati. I dati italiani riportano un aumento della presenza femminile negli ultimi anni, con una crescita sostanziale tra il 2018 e il 2020 e un numero, a fine 2019, di 1.924 ufficiali, 2.663 sottufficiali, 12.694 graduate e militari di truppa e 664 allieve di accademie e scuole militari. Secondo un sondaggio di Eumetra promosso dallo Stato maggiore della Difesa sull’attrattiva della carriera militare per le ragazze italiane, condotto su un campione di 2.026 giovani di cui 1.029 ragazze e 997 ragazzi tra i 17 e i 25 anni, le ragazze in linea teorica sono più interessate dei loro coetanei maschi alla carriera militare (il 52% rispetto al 48% dei ragazzi), ma non trasformano questo interesse nell’arruolamento vero e proprio, perché lo trovano incompatibile con la vita privata. Per il 28% delle ragazze (a fronte del 17% dei ragazzi), infatti, la carriera militare richiede troppo tempo e non lascia spazio alla vita personale, mentre per il 15% delle donne (12% degli uomini) l'arruolamento non consente di avere una famiglia e di prendersene cura.
A differenza di altri Paesi, l’impiego delle donne nell’esercito italiano non segue un protocollo differenziato per quanto riguarda le mansioni nazionali e le carriere maschili e femminili sono equiparate, come ha spiegato al Sole 24 Ore il tenente colonnello Rosa Vinciguerra, capo della sezione Pari opportunità e prospettiva di genere dello Stato maggiore della Difesa: “l’assenza di preclusioni di incarichi e di impieghi oltre di ruolo o di categorie rende il modello di reclutamento italiano tra i più avanzati del mondo per quanto riguarda le pari opportunità”.
Sul piano internazionale, invece, la Difesa italiana favorisce il coinvolgimento delle donne nei ruoli di staff e osservatori militari soprattutto all’interno delle missioni delle Nazioni unite, in seguito all’approvazione della Risoluzione 1325 del 2000 “Donne, Pace e Sicurezza”, che incoraggia una prospettiva di genere nei processi di mantenimento di pace e sicurezza internazionale. I dati della Camera dei deputati riportano che nel 2020 sono state impiegate 42 unità femminili nella missione Unifil in Libano; 7 nella missione bilaterale di addestramento delle Forze di sicurezza libanesi; 21 nella missione Resolute support in Afghanistan; 7 in Iraq nella coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica del Daesh; 17 nella missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia; 7 nella missione Minusma in Mali; 7 nella missione Nato Joint Enterprise nei Balcani; 7 in Lettonia (Nato); 2 nella missione Unficyp; 2 a Gibuti; 2 nell’Air Policing Nato.
Per quanto riguarda il dispositivo Nato per la sorveglianza navale nell’area sud dell’Alleanza, si registra l’8% di presenza femminile negli equipaggi navali e il 10% nel dispositivo aeronavale del Golfo di Guinea.
L’unico caso di impiego differenziato sulla base del genere di appartenenza, spiega il dossier della Camera dei deputati, è rappresentato dal Female Engagement Team (Fet): nuclei di donne militari specializzate nell’interazione con le popolazioni locali dei territori in cui operano, “al fine di accrescere il consenso della comunità locale verso il personale militare e creare un ambiente di cooperazione ottimale per il raggiungimento degli obiettivi della missione”.
Secondo quanto affermato dal tenente colonnello Rosa Vinciguerra, “la presenza delle donne è ancora limitata sia per numero sia per grado. La proporzione in cui uomini e donne sono rappresentati nella compagine militare non rispecchia, neanche in parte, la reale composizione per genere della società. Anche nelle Forze armate c’è quindi ancora tanta strada da fare per avere un’equa rappresentanza di genere. Obiettivo non facile da raggiungere soprattutto se si pensa che la media del personale militare femminile degli altri Paesi Nato che hanno ammesso le donne molto prima dell’Italia è ancora dell’11%”.
C’è, infatti, chi parla di strada in salita per le donne militari, sul piano della parità di genere e nel trattamento ricevuto dalle donne nell’esercito, spesso legato a episodi di nonnismo e discriminazione di genere, come quelli denunciati dalla già citata Giulia Schiff, allieva ufficiale pilota dell’Aeronautica militare italiana all’epoca dei fatti (espulsa dall’Accademia in seguito alla denuncia) e dalla carabiniera Angela Rizzo in forza al nulceo investigativo di Livorno, molestata da un suo collega maresciallo. Il caso di Angela Rizzo ha portato l’attenzione sugli aspetti obsoleti del codice penale militare italiano, risalente al 1941, che non prevede, tra gli altri, il reato di violenza e minaccia sessuale. Una mancanza sottolineata dal procuratore generale militare presso la Suprema Corte di Cassazione Maurizio Bloch, che ha chiesto un intervento normativo al Parlamento “per rendere effettiva e incisiva la tutela penale anche nei confronti della donna che svolge servizio in armi, all’interno di un contesto sottoposto alla soggezione gerarchica quale è quello militare”. Nel caso di Giulia Schiff, figlia di un ex pilota ed ex allieva dell’Aeronautica militare di Pozzuoli, oggi volontaria in Ucraina, la denuncia degli atti di violenza fisica da parte dei colleghi maschi durante il rito di iniziazione per piloti chiamato “il battesimo del volo” (che consiste nel lancio in una piscina d’acqua) le è costata una serie di sanzioni tale da essere espulsa dall’Accademia militare.
Ma i casi di molestie e discriminazione di genere nelle Forze armate sembrano molti di più, nonostante i casi denunciati siano pochi.
La Relazione sullo stato della disciplina militare e dell’organizzazione delle Forze Armate, pubblicata a dicembre 2020, infatti, riporta nove denunce per molestie e quattro per stalking nel 2019, un numero che sembra essere inferiore rispetto ai casi reali di molestie, spesso non denunciati per non incorrere in ritorsioni sul posto di lavoro.
Anche a livello internazionale, si evidenzia la necessità di prevenire e denunciare le molestie sessuali e le discriminazioni verso le soldatesse.
Negli Stati Uniti, riporta il New York Times, una donna militare su quattro riferisce di essere stata molestata nell’esercito, e le segnalazioni di aggressioni sessuali durante l’anno accademico 2020-2021 sono aumentate del 25% e nelle accademie militari del 150% rispetto all’anno precedente, secondo un rapporto del Dipartimento della Difesa, riportato dalla Cnn. Negli Stati Uniti, per far fronte a questa situazione e per favorire un clima di fiducia, sono sorte diverse iniziative che supportano chi decide di denunciare gli episodi di violenza all’interno dell’esercito, come la Sexual Harassment Assault Response Prevention (Sharp). Ciò che impedisce il perseguimento di questi reati, spiega il NY Times, è il modo in cui tali crimini vengono indagati e perseguiti: secondo lo Uniform Code of Military Justice, infatti, sono i comandanti militari a decidere se procedere con un’indagine e per questo motivo i casi di violenza spesso non arrivano in tribunale.
Secondo i dati riportati da Al Jazeera nel 2018, in Israele sono stati segnalati 893 casi di aggressione in un anno, negli Stati Uniti 15 mila, nell’esercito britannico quattro militari su 10 sono vittime di violenze sessuali e un sondaggio del 2016 ha stimato che il 27% delle soldatesse canadesi ha subito violenze e abusi sessuali durante la carriera militare. Per quanto riguarda i Paesi in via di sviluppo, come l'India, il Perù, la Corea del Nord, l'Eritrea e la Siria, riporta Al Jazeera, ci sono stati soltanto occasionali resoconti dei media su aggressioni sessuali commesse da truppe o prove aneddotiche pubblicate nei rapporti sui diritti umani.
Insieme al pericolo di molestie e aggressioni, in un clima di aumento generale dell’arruolamento femminile nei reparti delle Forze armate di tutto il mondo, si evidenzia anche la mancanza di pari opportunità per le donne che intraprendono la carriera militare.
Nonostante gli avanzamenti realizzati dalla Gran Bretagna nel 2017 con l’apertura della Royal Air Force alle donne e nel 2018 con l’ammissione delle soldatesse nei reparti di combattimento e nelle unità speciali, le donne sono sottorappresentate nei ruoli di comando dello Uk Royal Force, nonostante rappresentino l’11% dei soldati totali. Ad aprile 2021, infatti, le donne ufficiali rappresentavano il 13,8% e soltanto 24 donne erano alte funzionarie, arrivando al 5,6% tra tutti gli ufficiali. Le donne sono sottorappresentate anche nella Royal Navy e nella Royal Marines, con 5 senior officer su 127, raggiungendo il 3,9% del totale, nonostante l’aumento annuale di arruolamento femminile negli ultimi tre decenni.
A settembre 2021 si è parlato di un avanzamento verso la parità di genere nell’esercito indiano, con l’apertura da parte della Corte Suprema delle accademie militari d'élite alle donne, come incentivo alla carriera femminile di alto livello nell’esercito, in un Paese in cui, secondo i dati riportati dal Center for Monitoring Indian Economy, soltanto il 9% delle donne in età lavorativa ha un impiego. Fino all’anno scorso, infatti, le donne, che rappresentano il 3% delle forze militari indiane, potevano accedere soltanto a un corso di formazione militare di 11 mesi dopo la laurea, a differenza degli uomini che potevano entrare nelle forze armate dall’età di 17 anni dopo aver sostenuto il programma quadriennale alla National Defense Academy.
Nonostante l’esclusione dalle accademie militari, le donne indiane hanno preso parte alla vita militare già a partire dalla dominazione britannica e durante i conflitti mondiali hanno prestato servizio come infermiere, per poi intervenire come ufficiali in Liberia nel 2007 con una missione delle Nazioni Unite. Dal 2016 in poi l’accesso alle donne è stato ulteriormente ampliato al reparto dei “Fucili di Assam”, la più antica forza paramilitare indiana, e nel 2019 alla polizia e all’esercito.
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